Verona: inossidabile Tosca

Tredici anni e non sentirli; la Tosca secondo Hugo de Ana appartiene alla categoria degli “inossidabili”, ovvero a quegli spettacoli che non perdono smalto con il passare degli anni mantenedo vivo il loro fascino e la presa sugli spettatori.

Cannoni, fucili, picche e soldati, ovunque ossessivamente presenti, quasi a voler sublimare nel teatro la guerra reale; la presenza dell’elemento militare è costante, l’artiglieria in scena tuona sommessamente durante il “Te Deum”, soldatacci malmenano Spoletta reo di non aver trovato il nascondiglio dell’Angelotti; tuttavia la guerra guerreggiata – quella della sconfitta di Marengo –resta sullo sfondo; a rombare sono i cannoni delle anime dei protagonisti.

Lo spettacolo funziona soprattutto grazie ad un apparato scenico di grande suggestione, dominato dall’immensa testa dell’Angelo di Castello che campeggia al centro della scena; ai lati della testa sono le braccia, quello destro con la spada levata in alto, che si abbasserà solo alla fine, segno della sconfitta di tutti, perché in Tosca non vince nessuno.

Sensazionale il finale primo, con l’ostensione di una lunga teoria di prelati dalle facce di teschio, vestiti benissimo da costumi opulenti, così come splendidamente sovraccarichi sono gli abiti della protagonista e di Scarpia.

Alla magnificenza dell’allestimento non corrisponde, in questa occasione, un’esecuzione musicale di pari livello.

Daniel Oren appare svogliato – eppure Tosca è da sempre uno dei cavalli di battaglia – e dall’Orchestra trae un suono arido e piccino; i tempi sono inopinatamente dilatati e le scelte dinamiche svogliate.

Del rôle-titre Saioa Hernandez possiede tutte le note ma non l’anima; la sua Tosca è visceralmente esteriorizzata, incline ad un canto spiegato e poco concentrato sulle sfumature: il “Vissi d’arte” suona più come una minaccia che non come una preghiera. La voce è comunque come sempre bella e profusa con generosità, riscuotendo il pieno consenso del pubblico.

Fabio Sartori è Cavaradossi dallo squillo possente, virilmente nobile ma anche pervaso momenti di tenerezza quasi fanciullesca; la voce corre sicura su una linea di canto di bello smalto e il fraseggio è ricco. Per lui bis di “E lucevan le stelle”.

Lo Scarpia di Ambrogio Maestri, protagonista di una prova in crescendo, abbandona gli stereotipi della “tradizione” per vestire i panni di un vilain raffinato, il tutto sostenuto da una voce florida e impiegata con giudizio.

Ottimo il Sagrestano di Biagio Pizzuti, anch’egli saggiamente lontano da “caccole” vecchio stile, deciso nei modi e dalla vocalità salda.

Bene fa anche Krzysztof Bączyk, Angelotti statuario e possente nella cavata grave, come decisamente bravo risulta Roberto Covatta, che nel disegnare il suo Spoletta vi insinua una vena di melliflua crudeltà perfettamente in linea con il carattere del personaggio.

Enrico Ommassini, doppio figlio d’arte, è un Pastorello deciso e sicuro nel rendere lo stornello che Puccini gli assegna.

Onorano i rispettivi ruoli di contorno Nicolò Ceriani come Sciarrone e Stefano Rinaldi Miliani nei panni del Carceriere.

Il Coro, preparato da Vito Lombardi, si rende protagonista di una prova positiva, così come il Coro di Voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani.

Pubblico soddisfatto e plaudente.

Alessandro Cammarano
(16 agosto 2019)

La locandina

Direttore Daniel Oren
Regia, scene, costumi e luci Hugo de Ana
Personaggi e interpreti:
Tosca Saioa Hernández
Mario Cavaradossi Fabio Sartori
Scarpia Ambrogio Maestri
Angelotti Krzysztof Bączyk
Sagrestano Biagio Pizzuti
Spoletta Roberto Covatta
Sciarrone Nicolò Ceriani
Un carceriere Stefano Rinaldi Miliani
Un pastorello Enrico Ommassini
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Arena di Verona
Coro di Voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani
Maestro del Coro  Vito Lombardi

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