Torino, Teatro Regio: “Nabucco”

Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera e balletto 2019-2020 NABUCCO”
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Temistocle Solera
Musica di 
Giuseppe Verdi
Nabucco GIOVANNI MEONI
Ismaele STEFAN POP
Zaccaria RICCARDO ZANELLATO
Abigaille CSILLA BOROSS
Fenena ENKELEJDA SHKOSA
il Gran Sacerdote di Belo ROMANO DAL ZOVO
Abdallo ENZO PERONI
Anna SARAH BARATTA
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino.
Direttore 
Donato Renzetti
Maestro del Coro Andrea Secchi
Regia Andrea Cigni
Scene Dario Gessati
Costumi Tommaso Lagattolla
Luci Fiammetta Baldisseri
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Torino in coproduzione con Teatro Massimo di Palermo.
Torino, 18 Febbraio 2020.
La più celebre catena di discount è stata fondata da un certo Schwarz. Prodotti buoni, per una clientela media che si accontenta, prezzi tirati. Speriamo che lo Schwartz tuttofare del Teatro Regio abbia un’altra visione del prodotto e che per la stagione prossima, tutta a sua responsabilità, trovi la chiave per fornire un prodotto più appetibili e di richiamo, scontato che oggi neppure un Nabucco, atteso da più di 20 anni, accende entusiasmi e un “va pensiero”, ben cantato da un coro appassionato, suscita applausi di cortesia. Abbiamo già  trattato esaurientemente della parte visiva, orchestrale, corale e del cast altro, per cui qui mi limito ad alcune note sulla prestazione dei 5 artisti, le parti principali, della prima compagnia e sulle reazioni del pubblico, nella serata a cui ho assistito. Mancavano le 2 “stelle” del cartellone iniziale: Leo Nucci, Nabucco ancora oggi di riferimento, ancorché ultrasettantenne, si è riservato due sole recite extraesaurite, impraticabili per gli imprevidenti come me. Saioa Hernandez, già Abigaille di successo a Dresda e a Parma nel 2019, ha dato forfait per motivi di salute. Giovanni Meoni veste quindi i panni di Nabucco. Canta bene con bel legato e voce aggraziata. Il timbro chiaro si sbianca ulteriormente quando azzarda piani e mezzevoci. Il carattere protervo di Nabucco gli è precluso. Credo che la sua personalità si esprima meglio in Germont padre, Rigoletto e Simone, per limitarmi a ruoli verdiani, che non nell’imperioso re di Babilonia. “O vinti il capo a terra! Il vincitor son io!” della prima parte non incute né terrore ai vinti, né testimonia la tracotante esultanza dei vincitori. Nel duetto con Abigaille nella terza parte, con troppa arrendevolezza, per un re, cede alla figlia che aggressivamente lo sovrasta e in “oh di quall’onta aggravasi” si fa troppo lamentoso. L’avvio della quarta parte presenta un “Dio di Giuda” di morbido bel legato, sfogo lirico nelle corde dell’artista di Genzano, con una sicura espansione in acuti precisi e timbrati. Peccato che il pubblico trattenga eccessivamente la propria approvazione: applausi di circostanza. Questo, purtroppo, è il clima della serata. A questo punto dell’opera attendo sempre con impazienza il liberatorio, “O prodi miei” , ma quello di Meoni non è stato tale da trascinar armate. A ennesima riprova del carattere poco incline alla regalità del baritono: prima di uscir di scena egli stesso si piega a raccoglier da terra l’elmo e un foglio (pagina di bibbia?) piovuto dal cielo. Ma chi glielo ha fatto fare? Csilla Boross è Abigaille che, forse con sorpresa, si è trovata nel primo cast del teatro in cui la sua grande connazionale Sylvia Sass era stata Lady Macbeth in una produzione storica del 1977. Come alla Sass, alla Boross non manca coraggio ed ardimento. Tutto quanto scarseggia al Nabucco della serata, in lei abbonda … fin troppo! Non ha, di natura, una gran voce ma quella che c’è la usa tutta, la gonfia , la sforza al limite dell’urlo. Per l’intonazione si creano molti scogli che, con difficoltà e non sempre, vengono superati. È una Abigaille dimentica delle origini belcantiste del personaggi0, si sottrae al patetismo del “anch’io dischiuso un giorno” in cui potrebbe eccellere e si sprofonda nel livoroso “Prode Guerrier” della prima parte e nell’esaltato “Salgo già del trono aurato”. Nella terza parte veste poi di sadismo il duetto col non-padre. Il re spodestato e sconvolto soccombe alla violenta ambizione della non-figlia. La resa dei recitativi, grazie ad una corretta dizione e a un fraseggio scolpito, è buona, non altrettanto i cantabili.Zaccaria, ha la voce e il maestoso portamento del basso Riccardo Zanellato. Che sfoggia la linea interpretativa e di canto vincente del grande protagonista. Il timbro è ancora quello a tratti morbido e suadente del pastore di popoli che, a necessità, muta in quello di imperioso baluardo all’invasore. C’è il dominio della parola intonata nei recitativi e cantata nelle arie. Il volume, per il tempo e forse per la stanchezza di repliche troppo ravvicinate, tende ad affievolirsi e a perdere di smalto. Le lunghe frasi legate e le discese ai bassi soffrono, a tratti, di un sostegno incerto. Le salite all’acuto sono ancora baldanzose. Se la preghiera “Tu sul labbro dei veggenti” è stata vittima del clima generale della serata, segnato da una inspiegabile apatia del pubblico, “vieni o Levita” e la profezia della terza parte sono state correttamente apprezzate. Stefan Pop , Ismaele, interprete di gran lusso per un personaggio dai pochi interventi, ha brillato per la bellissima tenorilità squillante. Si è rivelato carta vincente della serata ed ha illuminato, in concertati e insiemi, una recita che, per il resto, poteva scivolare verso toni più foschi. E’ un piacere sentire una voce sana e sicura riempire la sala con armonici ben risuonanti. “ Fenena o mia diletta” è energico e volitivo, peccato che a dargli replica sia una incerta Enkelejda Shkosa, Fenena a cui un vibrato poco gradevole preclude anche la buona riuscita di “Oh dischiuso il firmamento” . Costante nelle recite del Regio, la qualità dei comprimari, qui confermata da Romano Dal Zovo come Gran Sacerdote; Enzo Peroni come Abdallo; Sarah Baratta come Anna. Validissima l’appassionata prestazione del coro del Regio ottimamente istruito da Andrea Secchi. Il pubblico, a discapito della buona prestazione, l’ha poco gratificato; purtroppo il clima della serata era tale da non invogliare all’applauso a scena aperta. In certe recite rimpiangi che non ci sia più una claque a ravvivarle. Andrebbe ripristinata. Si sa, gli applausi sono come le valanghe, basta avviarli. Da ultimo l’orchestra che dopo un incerto avvio dei tromboni, gli accordi in piano dell’inizio sono stati assai sfuocati, ha trovato la giusta calibratura sotto il provato valore dell’esperta bacchetta di Donato Renzetti. Foto Edoardo Piva