Verona: Cavalleria e Pagliacci, metti una sera un drone

E all’ultimo momento – ma si sa, quando c’è di mezzo la Rai, le cose comunque arrivano da lontano – nell’inaugurazione della stagione operistica in Arena con il dittico Cavalleria rusticana-Pagliacci ha fatto irruzione anche la Tv. Annunciata a poche ore dall’andata in scena, ecco l’inedita coppia Antonio Di Bella-Pippo Baudo trasformare l’anfiteatro in una sorta di studio televisivo dove sono stati realizzati i primi due “speciali” di un breve ciclo di tre, che andranno in onda su Raitre nel cuore dell’estate. Prima dell’inizio, le loro conversazioni sono state riprese e rimandate in diretta in doppia visione – a destra e a sinistra – sul già mitico led wall di 400 metri quadrati che costituisce la grande novità della stagione della ripartenza.

La Tv è fondamentale, certo. Soprattutto per la divulgazione della cultura cosiddetta “alta”. Ma andare all’opera per trovarsi di fronte a due immensi schermi che prima dello spettacolo rimandavano le immagini di una sorta di talk show un po’ banale, che si stava svolgendo in quel momento da qualche parte in platea, era piuttosto straniante. Almeno, così avrebbe detto un carismatico protagonista di ere teatrali ormai antiche. Più semplicemente, si è perso perfino il gusto della piccola ritualità dei colpi di gong che annunciano l’inizio sempre più vicino delle rappresentazioni.

La Tv è fondamentale e invadente, così anche quando l’opera è iniziata non ha mancato di far sentire la sua presenza. Non si dice delle telecamere che riprendevano quello che avveniva in scena, ma dell’indiscreto drone munito di video, che è svolazzato lungamente sopra le gradinate, la platea e la scena. Il drone, si sa, nella Tv di oggi è imprescindibile. E non a caso il brillante e ironico Pif se ne fa beffe nei video promozionali della nona serie de “Il testimone”, che andrà su Sky Documentaries dal mese prossimo, garantendo, a quel che si capisce, che nei suoi lavori di immagini dal drone “per cucire le scene” non ce ne saranno.

In casa Rai, comunque, non ci rinunciano: vuoi mettere il fascino di una visione a perpendicolo dell’Arena durante uno spettacolo?

Pare che i tecnici avessero promesso che non sarebbe stata una presenza importuna. Qualcuno fra il pubblico non deve averla pensata allo stesso modo. Così, quando erano passati 39 minuti dopo le 21 e già il drone si era lungamente librato sull’opera di Mascagni e sulle nostre teste – due lucine verdi a renderlo ben identificabile non bastasse il ronzio insistente da zanzara gigante – ecco l’imponderabile tipicamente areniano. Mentre si spegnevano gli applausi dopo il coro “Inneggiamo, il signor non è morto”, uno spettatore sulle gradinate ha fatto sentire con voce potente poche ma sentite parole: “Mandate via il drone”. E si è preso la sua dose di applausi. Effetto miracoloso: l’aggeggio volante è scomparso e non si è più visto per tutto il resto della serata. Mentre scriviamo, non sappiamo ancora se tornerà durante Aida, che pure sarà oggetto di uno “speciale” su Raitre.

L’irruzione della Tv si è verificata in una serata nella quale il teatro musicale guardava al cinema per le sue scelte narrative. La chiave di lettura – che non si può attribuire a nessuno, visto che il nome del regista non figura, anche se è noto il ruolo centrale sostenuto nelle produzioni dal vicedirettore artistico Stefano Trespidi – non è nuova ed ha avuto risultati diversi. Cavalleria rusticana è stata proposta in bianco e nero, secondo moduli neorealistici, con una stringatezza perfino esagerata, specialmente nella vastità del palcoscenico areniano, “recintato” dal led wall sul quale passavano specialmente statici paesaggi mediterranei, dopo l’iniziale apparizione di una veduta della Valle dei templi di Agrigento e fatta eccezione per alcune fotografie di processioni.

Sgargiante invece l’immaginario per Pagliacci, ambientato nel mitico teatro di posa numero 5 di Cinecittà, in costante riferimento ai film di Fellini e specialmente a La strada. In questo caso, la presenza delle comparse (comunque tutte con mascherina) era ben più robusta rispetto a Cavalleria e anche un po’ confusa, per quanto allegramente, visto che metteva insieme personaggi e immagini di quasi tutta la produzione del regista riminese. C’è stato perfino, e non c’entrava nulla, una sorta di omaggio a una celeberrima scena con Ciccio Ingrassia in Amarcord, con tanto di urlo “Voglio una donnaaa!”. L’Intermezzo alla fine del primo atto dell’opera di Leoncavallo è stata l’occasione per valorizzare il led wall, con una serie di fotografie di Fellini, alcune poco note, provenienti dal Museo del Cinema di Torino. Ma in generale, oltre le immagini, gli elementi scenografici erano ben più cospicui ed efficaci che in Cavalleria. E lo si è apprezzato soprattutto nella tragica scena conclusiva, preceduta da un mutamento scenografico a vista: una prima timida riapparizione del kolossal areniano.

Dirigeva Marco Armiliato, bacchetta esperta che ha tenuto insieme quasi sempre come si conveniva il coro (piazzato fermo sulle gradinate a sinistra), l’orchestra e i cantanti e ha proposto una lettura nitida, scevra di esagerata passionalità, più ricca di colori in Leoncavallo, a sottolineare la maggiore “rifinitura” nella scrittura del compositore napoletano. Compagnia di canto notevole in entrambe le parti del dittico. In Cavalleria, Sonia Ganassi è stata una Santuzza di ragguardevole e coinvolgente peso drammatico, grazie a una linea di canto tesa e incisiva. Interessante il Turiddu di Murat Karahan, che cerca anche un taglio introspettivo per il personaggio ed ha comunque apprezzabile colore, e positive sia Clarissa Leonardi (Lola) che Agostina Smimmero (mamma Lucia). Amartuvshin Enkhbat ha dato ad Alfio sprezzante irruenza e considerevole spessore di mezzi vocali, esaltati poi nella maiuscola prova offerta in Pagliacci nel ruolo del Prologo e di Tonio. Colore, flessibilità nel fraseggio e ricchezza espressiva nella cantabilità, anche di forza, hanno caratterizzato la sua prova. Ma in Leoncavallo si sono fatti valere con notevoli risultati anche Marina Rebeka, una Nedda capace di passare dalla corda sentimentale a quella drammatica con grande duttilità, e Yusif Eyvazov, un Canio di tragica consapevolezza, mai sopra le righe, capace di indicare nella misura intensa della parola cantata il senso del destino tragico dal quale è sopraffatto. Equilibrato ed efficace il resto del cast, con Riccardo Rados nei panni di Peppe e Arlecchino, Mario Cassi in quelli un po’ fatui di Silvio, Max René Cosotti e Dario Giorgelè.

Il pubblico, che non riempiva tutti i posti consentiti dal distanziamento, ha salutato il dittico verista con convinti applausi.

Cesare Galla
(25 giugno 2021)

La locandina

Direttore Marco Armiliato
Direttore allestimenti scenici Michele Olcese
Personaggi e interpreti:
Cavalleria Rusticana
Santuzza Sonia Ganassi
Lola Clarissa Leonardi
Turiddu Murat Karahan
Alfio Amartuvshin Enkhbat
Lucia Agostina Smimmero
Pagliacci
Nedda Marina Rebeka
Canio Yusif Eyvazov
Peppe Riccardo Rados
Silvio Mario Cassi
Un contadino Max René Cosotti
Un altro contadino Dario Giorgelè
Tonio Amartuvshin Enkhbat
Orchestra, Coro e tecnici dell’Arena di Verona
Maestro del coro Vito Lombardi

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