Napoli, Teatro di San Carlo: “Otello”

Napoli, Teatro di San Carlo, Inaugurazione Stagione d’opera e danza 2021/2022
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Arrigo Boito dalla tragedia “Othello, the Moor of Venice” di William Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Otello JONAS KAUFMANN
Jago IGOR GOLOVATENKO
Cassio ALESSANDRO LIBERATORE
Roderigo MATTEO MEZZARO
Lodovico EMANUELE CORDARO
Montano BIAGIO PIZZUTI
Un araldo FRANCESCO ESPOSITO
Desdemona MARIA AGRESTA
Emilia MANUELA CUSTER
Orchestra, Coro e Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo.
Direttore Michele Mariotti
Maestro del Coro José Luis Basso
Maestro del Coro di Voci Bianche Stefania Rinaldi
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ortensia De Francesco
Luci Pasquale Mari
Video Alessandro Papa
Napoli, 28 novembre 2021
A Napoli, Otello non è africano. E, in effetti, potrebbe anche non esserlo più. Al San Carlo, per l’inaugurazione della Stagione d’opera 2021/2022, il regista Mario Martone costruisce la messinscena partendo da quest’elemento: Otello uccide e s’uccide perché affetto da una delirante e psicopatologica gelosia. La questione razziale viene spazzata via. Ma, già nel dramma di Shakespeare, Jago (rappresentante dell’Occidente apparentemente onesto) s’impegna involontariamente a smontare – attraverso la sua scelleratezza – il pregiudizio razzistico per cui vi sarebbe una correlazione tra l’etnia ed un delitto commesso. E, in effetti, tale cliché appare anche già ampiamente smontato da Verdi. Qualcuno, leggendo ciò, potrebbe obiettare: “beh, caspita, bella scoperta!”… ma, siam proprio certi che tutto questo, oggi, sia effettivamente scontato? La risposta è una e triste: no! Certi pregiudizi, purtroppo, ancora sopravvivono. Dunque, a cosa può servire Otello nel 2021?
Martone affida al dramma una funzione politica, civile: l’immagine d’un Otello brancolante sopra il cadavere della moglie viene eliminata: meglio sottrarre la salma della vittima agli ultimi baci del suo carnefice; il viavai di aristocratici, di popolani e di brigate d’ufficiali è anch’esso fatto fuori. Cosa resta? Una porzione territoriale d’un fiabesco e diroccato Medioriente. Qui, è di stanza una guarnigione militare (nelle uniformi di Ortensia De Francesco), comandata da Otello. Accanto a lui, Desdemona, soldatessa. E, proprio perché resa tale dal regista, certe suppliche rivolte al marito documentano, per effetto di contrasto, quanto sia malato quell’amore apparentemente puro. Questa ambiguità, inoltre, trova perfetta corrispondenza anche nella scenografia: da un lato, le proiezioni sul fondale di Alessandro Papa, riproducenti romantiche notti stellate; dall’altro, finte rovine di colonnati ed austere fortificazioni ideate da Margherita Palli, e toccate dalle luci rarefatte di Pasquale Mari.
La tragica fine di Desdemona potrebbe figurare all’interno d’un tg come una notizia di femminicidio. Possiamo, quindi – adesso e con fermezza –, rispondere alla domanda di cui sopra: a cosa può servire Otello nel 2021? A denunciare tutto ciò. Martone ci riesce. Stessa cosa Michele Mariotti, alla testa dell’Orchestra del San Carlo, con un’esecuzione da manuale: egli plasma poeticamente la nuda materia sonora del selvaggio espressionismo verdiano: anche gli scoppi, gli schianti infernali della spaventosa scena iniziale della tempesta, conservano tutta la finezza timbrica d’un romantico e naturalistico lampo sonoro. E poi: scatenamenti delle percussioni, veemenza degli ottoni, estrema sensualità cromatica del tremolo dei violini e degli strumentini… tutto ciò al servizio della parola, del declamato, del parlato e dell’azione. La bellezza dello staccato degli archi sopra cui il Coro – ottimamente diretto da José Luis Basso – canta “Fuoco di gioia!” (Atto I) consente di godere del piacere auricolare della pagina; così come accade con l’irresistibile serenata coi mandolini, attraverso cui voci bianche – preparate da Stefania Rinaldi – rendono omaggio a Desdemona, che è interpretata dal soprano Maria Agresta. Il soprano colora le frasi d’una commovente dolcezza; carica il parlato d’un’intensa espressività, d’un pathos lirico degni d’una donna che affronta coraggiosamente il marito violento, tenendogli testa nei suoi frequenti scatti d’ira. Commuove quell’assillante ritorno, quella mesta reiterazione della parola “Salce!” nella “Canzone” dell’Atto IV: anche le brevi pause che precedono la parola erano tutte intrise d’emozione. E non soltanto nel parlato poetico, ma anche in quello prosaico, negli incisi, nelle grida, la cantante appare saggiamente padrona dei vari piani del registro vocale. Otello è, invece, interpretato da Jonas Kaufmann. Certo: il tenore – dobbiamo ammetterlo! – non vanta un autentico corpo vocale che richiederebbe ad Otello… però, questo limite  viene risolto con sapiente maestria: Kaufmann modella la parola, sillabando con sensibilità le frasi. Ciò s’avverte anche nei cantabili affrontati con grande lirisimo e sensibilità. Il tenore riesce anche ad essere anche nei momenti più tesi e drammatici. Jago, interpretato da Igor Golovatenko, finalmente, non mostra più  ghigni mefistofelici. Jago è un uomo… un uomo scellerato, certo, ma sempre un uomo. Il baritono l’interpreta con un ampio uso delle mezzevoci, sfoderando sottigliezza e varietà d’espressione nel declamato, con un tocco di  sarcasmo ed affettazione. Ottime, inoltre, le prove vocali e teatrali di Alessandro Liberatore (Cassio), Matteo Mezzaro (Roderigo), Emanuele Cordaro (Lodovico), Biagio Pizzuti (Montano), Francesco Esposito (Un araldo), Manuela Custer (Emilia).