“Jeanne d’Arc au bûcher” di Honegger al Teatro Real di Madrid

Madrid, Teatro Real, Temporada 2021-2022
“JEANNE D’ARC AU BÛCHER”
Oratorio drammatico in undici scene su libretto di Paul Claudel
Musica Arthur Honegger
Jeanne d’Arc MARION COTILLARD
Frère Dominique SÉBASTIEN DUTRIEUX
La Vierge SYLVIA SCHWARTZ
Marguerite ELENA COPONS
Catherine ENKELEJDA SHKOZA
Porcus CHARLES WORKMAN
Héraut TORBEN JÜRGENS
In funzione di Prologo:
“LA DAMOISELLE ÉLUE”
Cantata sull’omonimo poema di Dante Gabriel Rossetti
Musica Claude Debussy
Soprano Camilla Tilling
Mezzosoprano Enkelejda Shkosa
Direttore Juanjo Mena
Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real
Pequeños Cantores de la JORCAM
Maestro del Coro Andrés Máspero
Direttrice del Coro di voci bianche Ana González
Regia Àlex Ollé (La Fura dels Baus)
Scene Alfons Flores
Costumi Lluc Castells 
Videoproiezioni Franc Aleu
Luci Joachim Klein
Nuova produzione del Teatro Real in coproduzione con la Oper Frankfurt
Madrid, 14 giugno 2022
Quando un obbiettivo artistico si profila con chiarezza sin dall’origine, è molto probabile che a ogni ripresa si ripeta la forza di quella trasparenza, indispensabile perché l’idea conduttrice risulti sempre attuale e stimolante. È quanto accade a una partitura come Jeanne d’Arc au bûcher di Arthur Honegger, composta in anni in cui l’ascesa del nazismo preoccupava tutta Europa, rammemorandone le antiche guerre e le terribili ingiustizie. L’umanità corrotta, degenerata e imbestialita è il motivo conduttore dello spettacolo che Álex Ollé, della Fura dels Baus, ha montato per il Teatro Real di Madrid, in coproduzione con la Oper Frankfurt. Recuperando l’acutezza delle denunce che animano il libretto di Paul Claudel, il regista catalano ha approntato un apparato visuale di forte impatto (come non avrebbe potuto essere diversamente) ma anche molto coerente. Sul piano musicale e drammaturgico, va sottolineata la scelta felicissima di aggiungere un prologo alla partitura di Honegger, ricorrendo alla Damoiselle élue di Claude Debussy, che mette in musica un poema di Dante Gabriel Rossetti. Juanjo Mena, uno dei direttori d’orchestra spagnoli più competenti ed esperti (fu allievo di Sergiu Celibidache) interpreta la partitura introduttiva come un progressivo sovrapporsi di fasce di colore, ossia di toni che si sviluppano in volute sempre più ampie e poderose. Anche nella partitura successiva e ben più estesa, quella di Honegger, la resa calligrafica e il vibrato degli archi sono un merito tecnico dello stesso Mena. È ben evidente il contrasto stilistico, quando le eteree armonie di Debussy cedono il passo alle fanfare grottesche e circensi che percorrono Jeanne d’Arc, soprattutto durante la rievocazione del tribunale; il direttore insiste però anche sui debiti wagneriani dell’orchestrazione di Honegger, in particolare nella scena del gioco di carte, o sulla suggestione sonora – costante nella seconda parte dell’oratorio – delle Ondes Martenots quale sfondo sonoro.
Il personaggio protagonista è interpretato dalla celebre attrice francese Marion Cotillard (vincitrice di un premio Oscar per il film La Môme), di cui si apprezza molto la misura espressiva: non urla, non declama, non enfatizza il testo, ma lo recita con naturalezza, come confidando nella musica che lo appoggia e lo sorregge, per rivelare con fierezza la verità dell’azione di Jeanne. La compagnia vocale annovera poi alcuni nomi di grande prestigio, come il soprano svedese Camilla Tilling (La damoiselle élue, alter ego lirico della Jeanne di Honegger), il mezzosoprano albanese Enkelejda Shkosa (narratrice e poi Catherine), il tenore statunitense Charles Workman (impegnato in più ruoli, ma in particolare nell’acutissima tessitura di Porcus, che disimpegna con disinvoltura). Tutti eseguono la loro parte con tecnica precisa e linea di canto adeguata (anche se non sempre superano tutte le difficoltà della scrittura vocale di Honegger, per esempio i salti di registro), al pari degli altri numerosi artisti impegnati, del Coro del Teatro Real e dei bravissimi Pequeños Cantores de la JORCAM, uno dei cori di voci bianche migliori di tutta la Spagna. Cantanti, solisti e cori, attori e figuranti sono accomunati da un continuo e articolato movimento sulla scena, sempre attorno a una colonna meccanica su cui si alza e si abbassa Jeanne, isolata da tutti, a metà tra cielo e terra. Al termine dell’opera-oratorio il pubblico libera un applauso di ammirazione, prolungato e commosso; ed è bello osservare che, al momento delle chiamate, i due artisti più acclamati siano la Cotillard e Mena, ossia le anime drammatica e musicale dell’esecuzione.
Sul piano visivo, la diffusa ostentazione di organi genitali maschili posticci, appiccati ai costumi dei personaggi e dei figuranti, sostituisce il macchinismo tipico di molti allestimenti della Fura; qui è funzionale alla resa dell’animalità, della «matta bestialitade» e della barbarie fanatica. Dal momento che i potenti indossano pellicce e sfoggiano i simboli più tipici del presunto mondo civilizzato (cravatte, borsette o altri accessori di lusso), quella raffigurata da Ollé è l’umanità contemporanea, e sarebbe un errore limitare la condanna al tempo finale del Medioevo e alla Guerra dei cent’anni. La difficoltà principale, in particolare per una compagnia “provocatrice” come La fura, deve essere stato rappresentare la fede di Jeanne, e come rispettare l’enfasi ascendente del libretto di Claudel e della partitura di Honegger. Dare corpo e forma alla bestialità e alla scurrilità, al grottesco e all’abbietto, è un compito molto facile; al contrario, la fede e la purezza sono valori morali o spirituali che il teatro d’opera d’oggi tende per lo più a mettere in dubbio, a frustrare o addirittura a parodiare. Al trasporto religioso di Jeanne, La fura ha risposto rispettando in buona sostanza il libretto di Claudel; soltanto il contorno di personaggi sacri, ossia le sante del paradiso con cui Jean dialoga, riceve un trattamento speciale, rivestito di carta dorata e di parrucche d’oro esageratamente finte, come per imbalsamare la santità femminile in un immaginario stereotipato, prevedibile e banale. Forse in tutto questo c’è un’ombra di parodia (o, almeno, di ironia), che però non contrasta con l’impianto narrativo né disturba le strutture musicali dell’oratorio. Del resto, com’è prevedibile, nella scena finale la regia è impegnata a elaborare il meccanismo del rogo e del martirio; proprio il finale permette di spiegare perché un’opera come Jean d’Arc au bûcher interessi alla Fura: nella conclusione è l’acme drammatico a cui tende unidirezionalmente tutto lo spettacolo, ossia il rogo, secondo la tradizione letteraria che ripercorre i finali del IV libro dell’Eneide e giunge fino alla Göttedämmerung. Di fronte al simbolismo della fiamma, quasi stupisce che Alex Ollé abbia preferito adottare la modalità più semplice, quella realistica (una catasta di sedie e libri, altra allusione storica alla barbarie nazista), per mettere in scena il rogo della santa, anziché ricorrere a una sovrastruttura metaforica che, del resto, sarebbe stata perfettamente coerente con la sensibilità medievale del libretto di Claudel. “Non è forse Jeanne una fiamma ella stessa?”   Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid