Recensioni - Opera

Arena e Nabucco, ovvero del bis non richiesto

Sempre solida e di areniana spettacolarità la regia e messa in scena di Arnaud Bernard. A fasi alterne la compagnia di canto

Torna il grande spettacolo all’Arena di Verona con Nabucco di Giuseppe Verdi, presentato senza restrizioni, con l’anfiteatro veronese a piena capienza. Il pubblico ha risposto affollando in ogni ordine e grado l’Arena, stipata da ogni nazionalità e con una splendida e confortante babele di lingue, stili e modi di essere.

Questo è in fondo l’Arena Opera Festival: una grande kermesse popolare. Niente a che fare ormai con la concezione di festival nato dall’invenzione di Max Reinhardt e Hugo von Hofmannstahl a inizio novecento, bensì, paradossalmente, l’unico vero teatro di repertorio in Italia. L’Arena è infatti capace di riproporre anno dopo anno i grandi titoli della tradizione operistica, spesso tornando ad allestimenti di successo, come nella miglior tradizione del teatro di repertorio transalpino. Non per niente siamo a Verona e la direttrice verso il Brennero e la Germania ha tracciato sicuramente la strada.

Ritroviamo pertanto l’allestimento di Arnaud Bernard, che debuttò ormai nel 2017 e che si conferma una delle migliori produzioni della precoce opera verdiana. La regia e la ricerca drammaturgica sono accurate e coerenti nel trasportare la vicenda in un non meglio precisato periodo risorgimentale. Non si tratta di un’operazione di facciata, la storia infatti viene riscritta con un susseguirsi di scene coerenti e ben articolate e con una drammaturgia coesa e consequenziale.

Ne consegue che gli oppressi sono ovviamente gli “Italiani” sotto il giogo della dominazione asburgica, al cui interno avviene una specie di “colpo di mano” che porta al potere Abigaille, a capo dell’ala “dura” del regime austriaco. Geniale poi l’idea di trasformare la vendetta divina verso Nabucco in un attentato dei “ribelli” italiani, che lascia il protagonista preda di deliqui causati dallo shock.

Il tutto si conclude all’interno del Teatro alla Scala durante una “vera/finta” rappresentazione proprio di Nabucco, che culmina con le ovazioni del loggione per il coro del “Va pensiero” e con il pentimento della “regina/governatrice” allorché, nel finale, il protagonista, questa volta sul palco e in costume storico, sventola il tricolore alla fine dell’invocazione “Dio degli ebrei, perdono”.

Coerenza e rigore drammaturgico ci sono, sviluppo logico della storia e meta teatralità fanno il resto per quello che ormai è un classico in Arena e che vale proprio la pena di rivisitare in questo modo.

Come è giusto non mancano le grandi scene di massa e le concessioni spettacolari, che sono la cifra dell’anfiteatro e che accontentano un pubblico prevalentemente estivo e “turistico”. Si perdonano volentieri perciò alcuni eccessi didascalici nell’uso delle bandiere; l’affastellarsi pletorico di masse e figuranti, che spesso ingenera confusione; così come le sfilate di carrozze e corazzieri a cavallo che ben poco apportano alla drammaturgia, ma che dilettano la voglia di spettacolo del pubblico.

Al resto provvede l’imponente scenografia di Alessandro Camera, che, con i suoi cambi a vista e l’accurata riproduzione dell’interno del Teatro alla Scala, strappa al pubblico estasiato applausi a scena aperta. Non manca il bis del “Va pensiero”, che paradossalmente viene richiesto dai finti spettatori del teatro e non dal vero pubblico, rimasto questa volta in silenzio. Ne risulta un effetto comunque straniante, che ha lasciato il pubblico abbastanza freddo. Ormai ripetere il celebre coro è una tradizione, ma serve davvero farlo sempre? Noi dal pubblico “vero” di richieste di bis non ne abbiamo udite.

Daniel Oren inoltre si gira verso il pubblico (quello vero), reo di aver applaudito ben prima della fine in pianissimo della musica del “Va pensiero”. Il direttore chiede, per il bis, di non applaudire fino a quando il pezzo non fosse del tutto concluso. Mai richiesta fu più vana, forse perché fatta in Italiano e perciò non capita dalla stragrande maggioranza straniera del pubblico: appena finito il canto, riparte puntuale l’applauso, con buona pace di Oren, che prosegue, immaginiamo un tantino sconsolato. Anche questo in fondo è l’Arena.

Daniel Oren dirige con il consueto piglio e tempi serrati la grande orchestra dell’Arena, non riuscendo sempre ad evitare alcuni scollamenti fra buca e interpreti.

La compagnia di canto è partita contratta nel primo atto, per poi prendere sicurezza durante la recita. Forse la pressione della prima si faceva sentire e, nonostante un buon risultato complessivo, la serata non ha brillato in modo particolare.

Nabucco era il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, reduce da numerosi Rigoletti alla Scala, ci è parso affaticato, in particolare all’inizio e nella cabaletta del terzo atto. La voce resta importante e si distingue in particolare nell’aria “Dio di Giuda”, tuttavia l’interprete si concentra nei pezzi solistici, tradendo una certa genericità di fraseggio nel complesso. Tallone d’Achille resta poi una presenza scenica non incisiva, che purtroppo si nota per un immobilismo ripetitivo anche nei grandi spazi dell’Arena.

Maria Josè Siri porta a casa una Abigaille nel complesso dignitosa, senza tuttavia mai risaltare per potenza e incisività. Voce poco areniana, spesso si perdeva in mezze voci non adatte all’anfiteatro veronese. Abramo Rosalen, Zaccaria, è dotato di un centro luminoso, ben proiettato e di un registro profondo sonoro, tuttavia risultava spesso affaticato nelle cabalette con evidenti sbiancamenti di voce.

Ottima la Fenena di Francesca di Sauro, dalla voce piena e ben impostata. Affaticato l’Ismaele di Samuele Simoncini. Carlo Bosi e Nicolò Ceriani sono, come sempre, una garanzia di professionalità nelle parti minori.

Lo spettacolo alla prima non risultava ancora ben rodato, in particolare per i complessi cambi scena che hanno allungato notevolmente il secondo intervallo. L’opera così è andata “lunga”, terminando poco prima dell’una con un pubblico affaticato nel finale, tanto che si sono registrate numerose defezioni dopo il “Va pensiero”.

Alla fine calorosi applausi per tutti, perché l’Arena resta pur sempre una grande festa per l’opera nelle calde serate estive di Verona.

Raffaello Malesci (25 Giugno 2022)