Verona: Netreb-dot

Torna in un’arena torrida – dopo la parentesi “tecnologica” dello scorso anno – la Turandot-kolossal firmata Franco Zeffirelli.

L’allestimento, che nel 2010 fu presentato come “nuovo”, è in realtà buon mix tra quello realizzato dal maestro fiorentino per la Scala nel 1983 e la produzione del Metropolitan del 1988, il tutto con occhio più che attento a quello che Galileo Chini creò per la prima scaligera del 1926, il tutto con l’apporto dei costumi cinematografici di Emi Wada.

Se è bella l’idea del popolo che, color della terra, striscia senza mai aver il coraggio di levare il capo, ancora una volta risultano poco sopportabili movimenti circensi – tra capriole e sventolare di fazzolettini – della pletora di ancelle, dignitari ed armigeri che affollano il palazzo imperiale.

La scena, come detto, già vista, rifulge di tetti d’oro e di bagliori di verdi e rosa iridescenti: ridondante e pompier, ma in ogni modo ben distribuita sull’ampia superficie del palcoscenico e di sicuro effetto sul pubblico, che infatti applaude allo svelarsi della reggia.

La ripresa, nonostante tutto sembri sempre un po’ lasciato al caso ed alla buona volontà di solisti e masse, è apparsa meno approssimativa del solito.

L’elemento di maggior interesse della produzione era ancora una volta la presenza di Anna Netrebko che, al netto delle improvvide esternazioni “extra opera” dei mesi scorsi, si conferma interprete di primissimo ordine.

La sua non è la Turandot “tutta voce” che si ci si potrebbe aspettare – vista la potenza di mezzi di cui il soprano russo dispone – e che decenni di tradizione hanno contribuito a consolidare nell’immaginario degli appassionati, anzi: la voce si articola con incantevole duttilità aprendosi ad un fraseggio ricco di colori, animato da un’infinita tavolozza dinamica, capace di trovare inattese trasparenze e arricchito da un gesto scenico tanto autorevole quanto naturale. La Principessa di Gelo non è qui una vendicatrice spietata, ma una giovane donna spaventata dai suoi stessi sentimenti, celati per non dover loro cedere. E poi mezzevoci, filati, controllo perfetto dei fiati: una meraviglia.

Con lei in scena Yusif Eyvazov, Calaf sempre generoso, poggiato su una linea di canto impeccabile e capace di non cedere un colpo per quanto attiene all’intonazione. Il personaggio emerge in ogni sua sfaccettatura. Il suo “Nessun dorma”, bissato, è una fantasmagoria di accenti

Maria Teresa Leva è Liù dall’approccio delicatamente lirico, mentre Ferruccio Furlanetto – complice un Crono impietoso – canta il suo Timur tutto in “corsivœ”

Ottimo il trio delle maschere con il Ping extralusso di Gëzim Myshketa, e gli impeccabili Matteo Mezzaro come Pong e Riccardo Rados nei panni di Pang.

Carlo Bosi – Altoum e Principe di Persia – è come sempre capace di impartire una lezione di canto tanto è bravo, mentre Youngjun Park è un Mandarino assai ben disegnato.

La solida bacchetta di Marco Armiliato, dopo un primo atto guardingo, si dimostra perfettamente in grado di reggere gli equilibri tra buca e palcoscenico aprendosi a una lettura improntata ad una condivisibile intimità e quasi in contrasto con l’opulenza dell’allestimento.

Partecipe il coro diretto da Ulisse Trabacchin e discreto il Coro di Voci bianche A.d’A.Mus. preparato da Marco Tonini.

Successone.

Alessandro Cammarano
(4 agosto 2022)

La locandina

Direttore Marco Armiliato
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Emi Wada
Luci Paolo Mazzon
Movimenti coreografici Maria Grazia Garofoli
Personaggi e interpreti:
Turandot Anna Netrebko
Altoum Carlo Bosi
Timur Ferruccio Furlanetto
Calaf Yusif Eyvazov
Liù Maria Teresa Leva
Ping Gëzim Myshketa
Pong Matteo Mezzaro
Pang Riccardo Rados
Mandarino Youngjun Park
Principe di Persia Carlo Bosi
Orchestra, coro e corpo di ballo dell’Arena di Verona
Maestro del coro UlisseTrabacchin
Coro di Voci bianche A.d’A.Mus.
Maestro del coro Marco Tonini

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