Recensioni - Opera

Il Don Josè di Roberto Alagna si impone in Arena fra le moltitudini della Carmen firmata Zeffirelli

Bella prova per il tenore nel trentennale allestimento oleografico del regista fiorentino

Il 99° Festival dell’Arena di Verona prosegue sfoggiando ogni sera grandi nomi della lirica internazionale.

L’altra sera Roberto Alagna vestiva magistralmente i panni di Don Josè regalandoci un’interpretazione complessa e calibrata. La voce è ancora piena, duttile, sonora ed espressiva; capace di cesellare alla perfezione i tormenti del brigadiere innamorato di Carmen, ma al contempo in grado di svettare in acuti luminosi e sciabolati anche nella grande cavea dell’Arena. L’ennesima riconferma del momento magico di un grande artista lirico.

Al suo fianco la Carmen di J’Nai Bridges ben si destreggia, grazie anche ad un fisico del ruolo assolutamente calzante. I suoni gravi sono pieni e timbrati, tuttavia non sempre il registro acuto convince per ampiezza e squillo. Nel complesso il personaggio risulta convincente anche se probabilmente l’Arena è troppo vasta per la sua voce. Micaela era Maria Teresa Leva, che esegue molto bene la sua aria del terzo atto e non sfigura nel duetto con il tenore del primo atto, forte di una voce ben sorretta anche se a tratti l’interpretazione è parsa eccessivamente trattenuta e prudente.

Gëzim Myshketa ha disegnato un Escamillo irruento e dalla voce torrenziale. Giocando su suoni aperti e su un centro di tutto rispetto, il baritono rinuncia alle sfumature in favore di un volume adatto all’anfiteatro. Nel complesso un esito convincente per lui.

Ottimi anche il quartetto degli zingari, Frasquita, Mercedes, Dancairo e Remendado, rispettivamente Caterina Sala, Caterina Dellaere, Jan Antem e Vincent Ordonneau. Tutti con voce sonora e ben impostata, ci regalano un ottimo quartetto nel secondo atto e sono coerenti e precisi in tutta l’opera, ben disegnando parti tutt’altro che secondarie per la buona riuscita della serata.

Gabriele Sagona era uno Zuniga sonoro ma abbastanza monocorde, mentre Alessio Verna canta senza sbavature la parte di Morales.

A capo dell’orchestra dell’Arena di Verona troviamo Marco Armiliato, che, reduce dalla Traviata della sera prima e in vista della Turandot di giovedì, non può per ovvi motivi di ubiquità andare oltre una corretta orchestrazione a cui, pur senza sprazzi particolari, dobbiamo comunque riconoscere una meticolosa professionalità e una buona attenzione al rapporto buca palcoscenico.

Ma veniamo alla messa in scena, ovvero l’ennesima versione dello storico allestimento di Franco Zeffirelli risalente ormai agli anni novanta del secolo scorso.

Dopo averlo visto in varie rivisitazioni, dobbiamo rendere comunque onore alla perizia scenografica di Zeffirelli, i cui colpi d’occhio restano comunque validi, suggestivi, dettagliati, piacevoli al netto della cifra naturalistica, a tratti oleografica, che caratterizza l’ultima fase della sua lunga carriera.

Grande mestiere prospettico per un’infilata di case e vicoli sovrastati dalla cattedrale per la Siviglia del primo atto; richiami all’arte del primo novecento nei cartelloni con pubblicità di tauromachie nel secondo; una bozzettistica, ma comunque efficace montagna per il terzo e la piazza davanti all’arena dei tori per l’ultimo atto con tanto di crocefisso centrale.

E poi la cifra più caratteristica degli ultimi allestimenti di Zeffirelli in Arena: ovvero la moltitudine di personaggi, comparse, bambini, ragazzi, coristi, cavalli, asini, carri e carretti che affollano quasi ininterrottamente il fluire dell’opera. Non manca veramente nulla: i carabinieri che inseguono un ladruncolo, i dragoni che fanno esercitazioni militari, il prete in processione con gli incappucciati che benedice solennemente il popolo prima della corrida, la sfilata di muli stracarichi di merce di contrabbando (come è possibile che i doganieri non vedano un tale adunata di contrabbandieri?), un barettino quasi parigino per il duetto Micaela Don Josè, il carretto che vende libri, la buona borghesia a passeggio, il venditore di cesti di vimini…

Si raggiunge il culmine nella sfilata del quarto atto in cui passano soldati, picadores, toreri, un’abbondanza di cavalli mostrati più volte, una folla straboccante in cui quasi non si vede il passaggio di Escamillo e Carmen.

Una gioia per gli occhi per alcuni, un eccesso di bozzettismo per altri. Gli animi dei melomani si sono sempre divisi su questo, ergendosi o a difesa o a detrazione degli allestimenti cosiddetti tradizionali.

Al netto di molti eccessi, una cosa bisogna dirla, in un luogo come l’Arena lo spettacolo tutto sommato funziona, avendo comunque sempre attenzione a rispettare la musica. Certo possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che una messa in scena di questo tipo illustra la partitura più che illuminarla, ma se consideriamo che molto del pubblico areniano si accosta per la prima volta alla lirica forse questa Carmen fa un ottimo servizio all’arte del teatro musicale.

Il pubblico areniano infatti era in visibilio e ha regalato applausi convinti ed entusiasti a tutti gli interpreti.

Raffaello Malesci (31 Luglio 2022)