“Dialogues des Carmèlites” inaugurano la stagione all’Opera di Roma

Teatro dell’Opera di Roma, stagione lirica 2022-23
“DIALOGUES DES CARMÈLITES”
Opera in tre atti e dodici quadri. Libretto dalla piéce di George Bernanos.
Musica di Francis Poulenc
Marquis de la Force  JEAN-FRANCOIS LAPOINTE
Blanche de la Force CORINNE WINTERS
Chevalier de la Force BOGDAN VOLKOV
Madame de Croissy ANNA CATERINA ANTONACCI
Madame Lidoine EWA VESIN
Mère Marie de l’Incarnation  EKATERINA GUBANOVA
Soeur Constance de Saints-Denis  EMOKE BARÀTH
Mère Jeanne de L’Enfant-Jésus  IRENE SAVIGNANO**
Soeur Mathilde SARA ROCCHI**
L’Aumonier du Carmel  KRYSTIAN ADAM
Officier ROBERTO ACCURSO
I Commissaire WILLIAM MORGAN
Le Geolier/II Commissaire ALESSIO VERNA
Thierry/Javelinot  ANDRII GANCHUK**
**diplomati del progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Michele Mariotti
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Movimenti coreografici Sandro Campagna
Nuovo Allestimento del Teatro dell’Opera di Roma in coproduzione con il teatro La fenice di Venezia
Roma, 27 novembre 2022
Spettacolo inaugurale della nuova stagione 2022/2023 del Teatro dell’Opera di Roma è una nuova edizione de I dialoghi delle Carmelitane di Francis Poulenc in versione francese, visto che ci troviamo in Italia, affidati per la parte musicale ai due nuovi direttori stabili, rispettivamente per l’orchestra il maestro Michele Mariotti e per il coro il maestro Ciro Visco, e per la regia ad Emma Dante. Nei suoi non molti anni di vita la rappresentazione di questa opera e più in generale l’esecuzione della musica del compositore sono sempre state accompagnate da polemiche vivaci e dal tentativo di tirarla ora dalla destra ora dalla sinistra per esprimere esecrazione o penosi tentativi di giustificazione di un periodo storico oggettivamente indifendibile e che ancor oggi a quasi 250 anni di distanza nella cultura e nella storiografia europea non riesce a trovare una serena elaborazione. Basterà ricordare che è ancora del 21 febbraio 2007 la proposta di legge alla Assemblea Nazionale Francese per il riconoscimento del genocidio vandeano. La strada scelta dalla regista è quella di una scena con pochi elementi che trasformano lo spazio scenico, in particolare delle grate che ingabbiano la vita delle suore, il tutto immerso in una inquietante semioscurità. Una operazione ovviamente improntata al corrente e globalizzante politically correct in nome del quale senza dubbio le suore pregano, sono tanto sante ed hanno una gran fede ma secondo gli stereotipi che imperversano dal secolo dei lumi in poi e alimentati ad arte dalla successiva cultura liberal massonica sono purtroppo anche divorate dalla paura, dal dubbio, dall’astinenza sessuale e sono state vittime di chissà quali violenze prima di entrare in convento e poi ancora nel segreto delle mura ove chissà che cosa sarà potuto accadere. Gli uomini poi, non nella fattispecie i rivoluzionari, sono violenti per definizione ma il pittore David al quale dobbiamo i ritratti che simboleggiano le suore raffigurate nella vita che ha preceduto l’entrata nel Carmelo, nonostante sia stato un personaggio veramente molto discutibile nella realtà, forse diviene meritevole di considerazione poiché ammise per primo o tra i primi  le donne nelle sue accademie di pittura. Infine quattro servitori di colore, forse una citazione dell’infame e ingrato Zamor paggio di madame Du Barry  artefice della sua condanna a morte, con tanto di pennacchio e turbante si agitano spesso per la scena con effetto di distrarre inutilmente l’attenzione dello spettatore. La dimensione della contemplazione e di una spiritualità profonda ed autentica sia pure con tutti i dubbi e le esitazioni che sorreggono una fede vera sembrerebbero proprio esser precluse a queste donne che hanno scelto il Carmelo. Questo percorso di lettura oltre a riproporre gli stereotipi più triti di un anticlericalismo scontato ma che è utile e anche un po’ divertente smascherare, purtroppo affossa un po’ la immensa carica emozionale dell’opera. Un esempio per tutti. L’espediente scenico delle voci che si affievoliscono man mano che i personaggi vengono uccisi era già stato messo in atto da Mayerbeer nell’ultimo atto degli Ugonotti ovviamente con altre intenzioni narrative, in altro contesto ma sempre nell’ambito del doloroso argomento delle guerre di religione. Di questo teatro un collega malevolo, forse con una buona dose di invidia per la enorme fama di questo compositore ebreo e ricchissimo, disse a suo tempo che si trattava di “effetti senza cause”. La inattesa ripresa del Salve Regina nel finale dei Dialogues oltre a sorprendere Soeur Constance dovrebbe sorprendere il pubblico e rappresenta uno straordinario effetto teatrale sostanziato da cause chiarite più che a sufficienza nei quadri precedenti e sulle quali sarebbe tempo di ridiscutere con serenità anziché continuare a ripetere vecchi luoghi comuni nella segreta speranza che a forza di dirli possano alla fine divenire veri o, peggio, essere creduti tali. Mostrare Blanche sulla croce nel finale senza alcuna sorpresa oltre ad essere una gratuita blasfemia, affossa completamente l’emozione del momento. Infine dall’Illuminismo e durante il Terrore furono perseguitati con particolare accanimento proprio i movimenti caratterizzati da una spiritualità più contemplativa poiché ritenuti più pericolosi per il previsto piano di scristianizzazione della società, un po’ come oggi da alcune correnti di pensiero si continua a guardarli con sospetto, tentando di ridurre l’opera della Chiesa al lavoro di una Onlus buonista. Nihil novi sub sole. Finalmente veniamo alla parte musicale della serata. Assai interessante e ricca di colori la direzione di Michele Mariotti salutato dal pubblico con sincero e meritato affetto. Grande equilibrio si apprezza nella sua concertazione e nella attenta ricerca di armonizzazione dei silenzi con le tinte di un’orchestra ora ruvida ora morbida a seconda delle necessità espressive. Buona del pari anche la prova del coro per fusione timbrica e precisione diretto dal maestro Ciro Visco, anch’egli ben noto al pubblico romano e salutato con affetto. Tutti molto bravi e soprattutto ben amalgamate nel lavoro di assieme le voci delle numerose parti soliste sulle quali nonostante la relativa giovane età dell’opera grava il confronto con interpreti che hanno fatto la storia del teatro. Intensa come di consueto Anna Caterina Antonacci nei panni della Priora, dolce ed umanamente inquieta la Blanche di Corinne Winters, autorevole la Mère Marie di Ekaterina Gubanova e spontaneamente diretta la Soeur Constance di Emoke Baràth. Sul versante maschile notevoli sono apparse la prestazione vocale ed interpretativa di Jean Francois Lapointe nel ruolo del Marquis de la Force e di Alessio Verna quale secondo commissario ed il canto dolce e ricco di sfumature di Bogdan Volkov che ha vestito con efficacia i panni del fratello di Blanche. Infine, anche a conferma della serietà del lavoro preparatorio svolto, tutti molto professionali e “in parte” i cantanti diplomati del progetto “Fabbrica”  Sara Rocchi, Andrii Ganchuk ed Irene Savignano. Ricco di preziosi contributi testuali ed iconografici il bel programma di sala, valido strumento per approfondire la conoscenza di un’opera così poco eseguita e utile anche per iniziare a riguardare con orizzonte più ampio e sguardo limpido un periodo ancora molto controverso della storia europea nonostante qui riproposto con una regia nella sostanza poco innovativa nella trattazione dell’argomento. Alla fine lunghi e calorosi applausi per tutti grazie soprattutto ad un evidente e attento lavoro di assieme e ad una compagnia di canto omogenea e di ottimo livello. Foto Fabrizio Sansoni