Recensioni - Opera

Roma: Michele Mariotti ed Emma Dante toccano il cuore delle Carmelitane

Il Teatro dell’Opera ha inaugurato con un’intensa e commovente edizione del capolavoro di Poulenc

Rimanendo fedele alla sua tradizione di scegliere titoli al di fuori del grande repertorio per la serata inaugurale, il Teatro dell’Opera di Roma ha aperto la stagione 2022/23 con una memorabile edizione dei Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc con Michele Mariotti sul podio e la regia di Emma Dante.

Ispirata ad un fatto realmente accaduto, quello delle Carmelitane di Compiègne ghigliottinate nel 1794 nel pieno del furore anticlericale della Rivoluzione Francese, l’opera, composta su libretto di George Bernanos, debuttò al Teatro alla Scala (in traduzione italiana) nel 1957 e, dopo un periodo di relativo oblio, è stata riscoperta negli ultimi decenni conquistando un meritato posto tra i capolavori musicali del ‘900. Nonostante questo episodio costituisca ancora una delle ferite non rimarginate nel rapporto tra lo “Stato laico” Francese e la sua Rivoluzione, a Poulenc non interessava affrontare l’aspetto politico, bensì quello religioso, legato al sacrificio delle Carmelitane che, pur di non rinnegare la loro fede, scelsero di immolarsi salendo sul patibolo.

Partendo da questo spunto Emma Dante costruisce uno spettacolo in cui la figura del Cristo crocifisso, declinata in chiave femminile, torna in più scene, dapprima sospesa, poi portata a braccia dalle Carmelitane stesse nel tentativo di tenerla in equilibrio, per giungere al finale -uno dei più belli di tutto il repertorio del teatro musicale- in cui, prima che l’ultima consorella venga ghigliottinata, la stessa Blanche appare sulla croce per condividere la sorte con tutte le altre. Per la Dante le Carmelitane non sono però solo figure religiose: sono prima di tutto donne, con la loro femminilità, la loro sensualità, cui hanno scelto di rinunciare al momento di prendere i voti ma che rimangono cristallizzate nei loro ritratti, che noi vediamo nella prima scena e che nel finale verranno sostituiti nelle cornici dai loro corpi in carne ed ossa prima dell’esecuzione.
Il monastero, reso molto efficacemente dalle alte grate disegnate da Carmine Maringola ed ottimamente scolpite dalle luci di Cristian Zucaro che rappresentano sia la clausura che la prigione, è sia luogo di sacrificio, in cui prima di entrare i piedi vengono colpiti con delle grosse pietre, sia un luogo in cui la fede va perseguita in modo attivo. Per questo le monache sono abbigliate dalla costumista Vanessa Sannino con delle corazze metalliche e dei copricapi circolari che, dal punto di vista iconografico, prese ad una ad una rimandano a certe raffigurazioni di Giovanna D’Arco ma quando sono riunite insieme, come ad esempio nel canto della Salve Regina, ricordano le composizioni dei santi nelle pale d’altare della pittura senese del ‘300 creando un effetto di grande poesia, quasi la voce angelica fuoriuscisse da una Maestà di Duccio di Buoninsegna.
Su queste basi Emma Dante crea una regia ricchissima di spunti e suggestioni -le drammatizzazioni degli interludi sono una più bella ed efficace dell’altra- in cui il lavoro di scavo e di approfondimento dei personaggi è curatissimo ed altrettanto lo sono le controscene realizzate dagli attori della sua compagnia, nonostante forse un paio di eccessi, ma è peccato veniale.

Dal punto di vista musicale lo spettacolo è stato caratterizzato dalla straordinaria interpretazione di Michele Mariotti. Il neo Direttore Musicale del Teatro dell’Opera, assecondato da un’orchestra eccellente, ha impostato una lettura attenta alle dinamiche, alternando pianissimi -splendido l’attacco del Salve Regina a fior di labbra- a fortissimi sferzanti, senza mai sfociare nel calligrafismo o nell’effetto fine a sé stesso, anzi, trovando sempre il colore e la tensione giusta per ogni singolo quadro. Una scena su tutte: l’incontro tra Blanche ed il fratello in convento in cui allo straordinario pulsare dell’orchestra che trasmette la loro palpitante emozione, fanno da sfondo le suore che entrano in scena insieme ai quadri che le raffiguravano prima della loro vocazione, in un’ultima struggente testimonianza della loro femminilità.

Da applausi anche il cast. Corinne Winters è una Blanche credibilissima, sia vocalmente che scenicamente, che riesce a far evolvere il personaggio durante la rappresentazione senza mai perdere quella componente bambinesca che la caratterizza. Anna Caterina Antonacci è una Madame de Croissy icastica, sia nel colloquio con Blanche ma soprattutto nella scena della morte in cui sopperisce ad alcuni limiti vocali con il carisma della vera fuoriclasse.  Ekaterina Gubanova è una Mère Marie dal timbro magnifico e dalla linea di canto impeccabile mentre Ewa Vesin è una Madame Lidoin incisiva soprattutto nello struggente addio alle consorelle. Nel ruolo di Soeur Constance Emöke Barát sfoggia un timbro luminoso pur con qualche difficoltà nell’acuto mentre Bogdan Volkov è un efficace Chevalier de la Force. Ottima la prova del coro diretto da Ciro Visco.
Entusiasta al termine della rappresentazione la risposta del pubblico che riempiva il teatro.