“Aida” al Teatro dell’Opera di Roma

 

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2022/2023
“AIDA”
Opera in quattro atti. 
Libretto di Antonio Ghislanzoni

Musica di Giuseppe Verdi 
Il Re GIORGI MANOSHVILI
Amneris  EKATERINA SEMENCHUK

Aida  KRASSIMIRA STOYANOVA
Radames GREGORY KUNDE

Ramfis  RICCARDO ZANELLATO
Amonasro VLADIMIR STOYANOV
Un Messaggero CARLO BOSI
Una Sacerdotessa VERONICA MARINI
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Michele Mariotti
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia e movimenti coreografici Davide Livermore
Scene Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-Work
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma 

Roma, 31 gennaio 2023
Il nuovo allestimento di Aida di Giuseppe Verdi andato in scena al Teatro dell’Opera di Roma è stato per l’occasione affidato al Direttore Musicale del Teatro maestro Michele Mariotti, al Direttore del Coro maestro Ciro Visco e per la parte scenica al regista Davide Livermore. Un grande parallelepipedo, probabilmente una mastaba, in cui fin dalle prime note della sinfonia si scorge il cadavere di Radames, sulla parete che volge al pubblico ha un Ledwall che mostra movimenti della sabbia ora in su, ora in giù e personaggi che appaiono e si dissolvono, con qualche richiamo all’ambientazione egizia. L’idea sembrerebbe quella di collocare la vicenda nel cinema in bianco e nero  con alcuni richiami alla grecia cretese-micenea, con il risultato che la monotona palette cromatica delle scene  e dei costumi poco si addica alla timbrica della partitura e la divertente impressione che il minotauro possa allegramente comparire all’improvviso da sotto la chaise longue di Amneris. In modo prudente e astuto, Aida è rigorosamente bianca ed anche il gruppo dei prigionieri etiopi sembra provenire direttamente dalla Scandinavia. Il Re vene calato dall’alto sovrastando un doppio triangolo luminoso forse massonico e le masse e i ballerini si agitano come ci si aspetta che si muovano i selvaggi, probabilmente per significare che non solo i barbari etiopi sono tali ma anche i nobili e raffinati egizi in fondo lo erano, tanto per non discriminare nessuno. Perfino nelle danze della scena della consacrazione c’è un accenno ad un sacrificio umano. Il trionfo infine è spogliato da qualsiasi retorica militare, Radames entra a piedi come in una cordiale riunione di amici e la marcia trionfale, magistralmente eseguita musicalmente, risuona nel vuoto scenico più assoluto e desolante, per evitare rigurgiti di sovranismi e di altri -ismi dei quali si fa un gran parlare di questi tempi. Molto curata nella recitazione invece è parsa la scena del giudizio grazie anche alla sorprendente bravura scenica ed alla composta immedesimazione del mezzosoprano.Assai interessante è parsa la direzione di Michele Mariotti per la chiarezza della concertazione, la ricca tavolozza timbrica e la cura del particolare che a tratti però potrebbe sconfinare nel calligrafismo e nell’autocompiacimento e produrre una sorta di frammentarietà. L’agogica infine molto varia e personale, oltre a destare indubbio e rinnovato interesse rischia qualche volta, forse per felice e benvenuta ispirazione estemporanea, di cogliere di sorpresa le masse in scena. Assolutamente splendida la prova del coro diretto dal maestro Ciro Visco per intonazione, splendore e rotondità degli acuti ed omogeneità timbrica. Nel suono del coro era possibile scorgere il bagliore dell’oro della Nubia nel quale fu fusa la maschera funebre di Tutankamon a dimostrazione del fatto che il teatro è nel suono stesso e che la musica autonomamente è in grado di evocare ambienti e situazioni senza bisogno di videoproiezioni, animazioni, mimi e tanti inutili movimenti. E veniamo ai cantanti di questa serata. Nel ruolo eponimo il soprano Krassimira Stoyanova ha destato qualche perplessità per la dizione non chiara, la tendenza alla vocalizzazione, un uso dei fiati personale e soprattutto un volume vocale esiguo, tale da farla quasi scomparire nei concertati. Gregory Kunde chiamato in extremis a sostituire il tenore previsto per la parte di Radames ha invece realizzato sia pure con una recitazione convenzionale un personaggio sensibile, ricco di sfaccettature e reso con voce solida e acuti sicuri e squillanti. Amonasro era interpretato con nobiltà ed efficacia dal baritono Vladimir Stoyanov grazie ad un canto ricco di intenzioni teatrali e di sfumature vocali di non comune ascolto. Un po’ trasandata e prudentemente sorvegliata nei primi quadri l’Amneris di Ekaterina Semenchuk si è invece riscattata nella scena del giudizio interpretata con autentica intensità e senza scomposte esagitazioni. Assai ben cantato ma privo di autorevolezza e di personalità è apparso il Ramfis di Riccardo Zanellato, come pure corretto e eseguito con voce morbida è stato il Re di Giorgi Manoshvili. Bene la sacerdotessa di Veronica Marini ma davvero notevole ci è sembrato il messaggero di Carlo Bosi che ha ben saputo farsi apprezzare in un ruolo brevissimo, spesso trascurato e affidato a voci sciagurate ma di fondamentale importanza drammaturgica. Ricchissimo di contributi ed iconografia è il bel programma di sala approntato per la serata. Alla fine applausi educati per tutti per l’esecuzione di un titolo arcinoto con una regia troppo ideologizzata e che forse avrebbe meritato, senza voler fare paragoni inutili ed offensivi con il passato, altre tipologie di voci. Foto Fabrizio Sansoni