Venezia: un Olandese senz’acqua

Der Fliegende Holländer (Dresda, 2 gennaio 1843) è l’opera nella quale, al di là del legame ancora evidente e per molti aspetti determinante con la tradizione formale del melodramma ottocentesco (arie e duetti, cori, introduzioni e finali), Richard Wagner disegna per la prima volta due elementi rappresentativi ed espressivi che diventeranno cardinali nella sua futura poetica musicale e drammatica: il fantastico e il naturalistico-simbolico. Aspirazione alla redenzione e sacrificio d’amore appaiono qui per la prima volta come cardini di una narrazione che si sviluppa nell’incrocio casuale fra un dannato degli oceani, punito per la sua hybris a navigare in eterno, salvo poter mettere piede a terra ogni sette anni nella speranza di trovare chi lo salvi grazie alla sua dedizione assoluta; e una fanciulla che oggi potremmo definire innamorata dell’amore tanto quanto è affascinata dal peccato (altrui) e dal mistero, fino a scegliere di annullarsi nel nome dello stesso principio di fedeltà cercato dal maledetto.

Sullo sfondo, s’intravvede il nichilismo che di lì a una ventina d’anni avrà il suo trionfo nel Tristano: l’Olandese è portatore di un cupio dissolvi destinato a sublimarsi nell’interazione quasi chimica con l’inclinazione sentimentale di Senta, che in fondo anela allo stesso destino. L’eterna punizione del marinaio consiste proprio nella impossibilità della fine: «In nessun luogo una fossa / Mai, mai la morte!». E la soluzione wagneriana al dramma è il comune annullamento di sé dei due protagonisti in una sorta di ascensione sopra quel simbolico elemento vitale che è costituito dalla distesa marina. Autentico terzo personaggio principale del dramma, catalizzatore di grandiose idee musicali e luogo archetipico della “filosofia” che impronta di sé tutta la vicenda.

Non è sorprendente, dunque, che una ventina d’anni più tardi, proprio all’epoca del Tristano, Wagner abbia rimesso mano in vari punti alla partitura – segnatamente la conclusione del Preludio e il Finale ultimo dell’opera. Il suo obiettivo era “aggiustarne” il colore espressivo, dal punto di vista armonico oltre che strumentale, in più stretta e aggiornata adesione alla sua implicita dimensione psicologica ed esistenziale.

Decisamente più sorprendente è l’idea di Marcin Łakomicki, il giovane regista del Fliegende Holländer che ha debuttato giovedì sera alla Fenice, quarta volta negli ultimi sessant’anni (e a distanza di quasi un trentennio dalla precedente), secondo il quale nulla di ciò che accade in quest’opera ha davvero a che fare con il mare. «In realtà, se si guarda bene, nessuna azione – dice in un’intervista pubblicata nel programma di sala – si svolge sul mare […] Il mare appare solo come simbolo, come forza naturale». E pazienza per le puntigliose didascalie wagneriane – del resto riportate nel libretto pubblicato nello stesso programma – che descrivono la presenza e la vera e propria “parte” sostenuta dal mare, entità misteriosamente vivente, che determina molto se non tutto quel che accade anche in senso fisico, concreto, nel primo e specialmente nel terzo atto.

Nella lettura del regista polacco, quest’opera è soprattutto un aspro confronto psichico, un’immersione nell’inconscio che in certo modo cristallizza un drammatico confronto fra il maschile e il femminile, peraltro delineato da Wagner su coordinate di paternalismo e maschilismo oggi inevitabilmente datati, dei quali l’autore dello spettacolo vuole dimostrare l’inattualità, rimescolando non poco le carte. Il risultato è un Fliegende Holländer nel quale la chiave psicologica – adottata per mettere a fuoco l’irrazionalismo wagneriano, vero o presunto che sia – spesso appare psicologismo un po’ pretestuoso. Espunta ogni allusione naturalistica (la sola nave che si vede – peraltro ridotta a relitto – è l’imbarcazione del padre di Senta nel primo atto), la scena diventa astratta e a suo modo simbolica. L’unico elemento visivo davvero suggestivo sono le torri rocciose della scogliera che nel primo atto appaiono e scompaiono dietro a un lugubre velario nero. Nel secondo atto, Senta è all’esterno di una cornice dentro alla quale si muovono le filatrici del celebre coro iniziale, ma si rispecchia con il suo doppio peraltro confinato all’interno. Del resto, fin dall’inizio la protagonista femminile è attorniata, o seguita, o cercata da una piccola schiera di bambine, sue “proiezioni” o presenze fantasmatiche. Nel terzo atto, questa impostazione diventa intricata. I cori stanno in cornice, gli uomini ciascuno con un mazzo di fiori in mano. Anche l’Olandese (bendato…) e il cacciatore innamorato di Senta, Erik (colui che scatena la catastrofe conclusiva), sono dotati di un doppio e l’azione passa dagli attori ai cantanti in maniera non particolarmente chiara, per quanto tutti siano schierati a proscenio. Sullo sfondo, le cornici si moltiplicano. L’Olandese, che si ritiene tradito da Senta, dovrebbe salire fulmineamente sul vascello fantasma per tornare alla sua punizione eterna, mentre lei dovrebbe riunirsi a lui tuffandosi in mare da una rupe, ma queste sono cose da Romantische Oper, evidentemente lontane dal modo di vedere di Łakomicki, con il quale hanno collaborato per le scene Leonie Wolf, per i costumi (Ottocento wagneriano) Cristina Aceti, per le luci (intriganti) Irene Selka. Il motto del regista, come da dichiarazioni ai giornali, è piuttosto «Senta non deve morire».

La guida musicale dello spettacolo era affidata all’esperto Markus Stenz, che di fronte al carattere stilisticamente composito della partitura wagneriana ha giustamente scelto di evitare la rischiosa ricerca di un punto mediano: ne è sortita un’esecuzione ora densa e presaga dei futuri exploit del dramma musicale, ora brillante ed esteriore, ben stagliata ritmicamente, capace di leggerezze da opéra-comique (del resto, l’autore inizialmente sperava di fare rappresentare questo lavoro a Parigi) o di estroverso vigore drammatico di stampo quasi donizettiano, assecondando l’impulso melodico delle parti vocali. Dentro a questa impostazione, anche il ricorrere strumentale del tema dell’Olandese assume il carattere che in effetti possiede: non un’anticipazione dei concettosi leitmotive che verranno, ma un’esuberante utilizzazione di reminiscenze melodiche caratterizzanti dal punto di vista narrativo. L’orchestra della Fenice è sembrata adeguatamente concentrata ed efficace per rigore espressivo e lucidità strumentale, mentre il coro istruito da Alfonso Caiani (al quale si è unito per questa produzione il coro ucraino Taras Shevchenko guidato da Bogdan Plish) ha risolto con misura in generale adeguata – eccezion fatta per qualche eccesso dinamico alla fine – le pagine fondamentali che gli sono affidate nei momenti cruciali della partitura.

Nella compagnia di canto, Samuel Youn è stato un Olandese nel quale la tensione drammatica è risultata sempre commisurata all’espressività della linea di canto; la Senta di Anja Kampe si è fatta apprezzare per la sorvegliata misura del fraseggio quando la sua parte rimane nella zona centrale della tessitura, come nella Ballata al secondo atto, ma ha palesato qualche forzatura di colore e di emissione nel finale, quando la scrittura di Wagner si spinge nella zona acuta. Interessante il tenore Toby Spence, che ha dato al cacciatore Erik, innamorato deluso di Senta, eleganza di accenti e di colore, sottolineando nel fraseggio la forza emotiva della parte, in buon equilibrio fra dolcezza sentimentale e meditabonda introversione. Preciso ed espressivamente duttile Leonardo Cortellazzi nella parte del Timoniere della nave di Daland, il padre di Senta, che ha avuto la caratterizzazione giustamente lontana dal caricaturale del basso Franz-Josef Selig. Completava il cast Annely Peebo, Mary, interlocutrice di Senta nel secondo atto.

Alla prova generale, molti consensi da parte del pubblico. Dopo la prima di giovedì, sono in programma quattro repliche fino al 4 luglio. La rappresentazione del 28 giugno alle 19 sarà trasmessa in diretta su Radiotre.

Cesare Galla
(20 giugno 2023)

La locandina

Direttore Markus Stenz
Regia Marcin Lakomicki
Scene Leonie Wolf
Costumi Cristina Aceti
Light designer Irene Selka
Personaggi e interpreti:
Daland Franz-Josef Selig
Senta Anja Kampe
Erik Toby Spence
Mary Annely Peebo
Der Steuermann Leonardo Cortellazzi
Der Holländer Samuel Youn
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro  Alfonso Caiani
Con la partecipazione del Coro Taras Shevchenko National Academic Opera and Ballet Theatre of Ukraine
Maestro del Coro  Bogdan Plish

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