Madrid: Turandot si fa luce

L’emozione è a fior di pelle quando il pubblico prende coscienza della familiarità che ha con l’opera. La parte finale che genera una miriade di sensazioni ed emozioni risuona nella testa di tutti e senza dubbio il “Nessun Dorma” è perennemente in un modo o nell’altro nella nostra memoria. Non oserei garantire che la maggior parte delle persone identifichi che si tratta dell’opera Turandot, ma ciò che può essere certo è che queste note sono presenti nel memoriale collettivo e ciò le rende eterne, imperiture e magnifiche e questo è l’unico importante. L’opera trascende non solo i concetti ma il tempo nel suo principio più puro l’applauso e il riconoscimento dello spettatore. Questa volta la tragedia è inquadrata nella metafora visiva che rende presente ancora oggi quel metaforico teatro di ombre dell’eredità cinese, tradizione e modernità si uniscono come la forza e la grandezza del mitico e cupo racconto del freddo, spietato e crudele. Principessa Turandot.

Quello della principessa Turandot è un ruolo che comporta una grande sfida vocale e una grande abilità per la cantante che deve interpretarlo. Lo splendido soprano madrileno, Saioa Hernández, fa un lavoro straordinario di questo personaggio complesso ed esigente in cui i soprani più che complicati la portano a fare uso della sua tecnica. Lei è bravissima e lo è sempre sul palco, in piedi su una pedana in cui le luci e i costumi sono impeccabili e bellissimi, con movimenti rigorosamente ed esageratamente tagliati, riempie l’intero spazio fisico e raggiunge ogni angolo del palco e il cuore di chi la ascolta con la sua voce più che straordinaria. Il lavoro di Fernando Radó affascina in modo significativo. Questo basso-baritono argentino con la sua giovinezza conferisce forza e presenza a un Timur indimenticabile. Tuttavia, devo ammettere che il lavoro di Martin Muehle nei panni dell’augusto Principe Ignoto non è riuscito ad affascinarmi, forse perché la sua interpretazione di Nessun Dorma non è riuscita a commuovermi quanto mi aspettavo. Il suo lavoro è impeccabile e di altissimo livello, non lo negherà. Alto come quell’imbracatura da cui a un certo punto dello spettacolo pende a lungo e in cui, sospeso nelle altezze, svolge il suo lavoro, aggiungendo quel punto di pericolo in più per aumentare la sfida. E, naturalmente, la più applaudita e quella che lega il pubblico per la sua arte, per la sua brillante esecuzione e soprattutto per quello che risveglia sul palco, nonostante quel tipo di coreografia a cui è sottoposta che definisce il suo carattere ma non A darle la possibilità di muoversi con disinvoltura sulla scena è Miren Urbieta-Vega e la sua più che emotiva Liù. Il magnifico e perfetto soprano di San Sebastian ti fa trasalire dall’emozione. E senza dubbio l’elemento catalizzatore dell’ordine e soprattutto della diversità sul palco è la risorsa ben portata di Ping, Pang e Pong, il meraviglioso Mikeldi Atxalandabaso, tenore, Moisés Marín, anche tenore e il baritono Germán Olvera che con quel tocco di fiducia in se stessi introducono l’elemento ludico, l’elemento della commedia o meglio la complicità con il pubblico, che non solo abbassa le tensioni, che è necessario in questo dramma a volte saturo è che raggiunga la commedia senza cadere nel riso ma per dimostrare il valore di il sorriso in mezzo alla tragedia.

La luce è l’asse principale del protagonista in ogni momento. La scusa che il sole nasce o sorge in scena è il preambolo perché la luce domini tutto. Gli spazi minimalisti dove c’è solo un numero infinito di colori sono amplificati dalle luci che vanno, salgono, salgono o scendono o restano ferme, creando atmosfere, realtà e soprattutto vita. Si potrebbe dire che tutto è nero, sì, si potrebbe anche dire che tutto è bianco, sì, ma è vero che tutto è luce. L’uso di quei meravigliosi tubi di luce che scendono, salgono, definiscono spazi, creano contorni, ecc. È quel concetto della luce dritta e perfetta che è ovunque e che rimane nascosto in sé dietro o dentro il suo splendore. Il gioco degli effetti di retroilluminazione della silhouette è così perfetto che a volte ci sono dei veri successi nella scena con personaggi, non elementi, che sono lì, smettono di esserci, rimangono onnipresenti o scompaiono grazie alla luce e al modo in cui sono illuminati. Il regista, che firma anche la scenografia, mostra una superba capacità di utilizzare al massimo la risorsa luce, non per illuminare la scena ma per crearla. E non potrebbe essere diversamente ricordando le parole di Puccini così saggiamente citate nel programma: «Vorrei che Turandot togliesse il trucco del sentimentalismo e del facile sentimentalismo. Vorrei commuovere le persone senza retorica e catturare l’emozione del pubblico facendone vibrare i nervi come le corde di un violoncello». Questo è ciò che il regista Robert Wilson ottiene con il suo uso impeccabile della luce. Un concetto soprattutto personale della sua scena e della scena stessa. Tutto porta il suo timbro e il suo timbro è meraviglioso.

Con l’ambiente ricercato, ponderato e quasi congelato che si percepisce, con quel tono freddo in cui solo il rosso è presente in poche occasioni, il pubblico è invitato a non entrare in contatto con ciò che vede. Con un’estetica, personale, elegante e dritta, soprattutto dritta. Lento, con calma, ma senza fermarsi e sì, tutto è lento in questo revival della Turandot che ha debuttato nel 2018 e che ora ha ancora più splendore.

La direzione musicale firmata da Nicola Luisotti è così eccezionale che non ci sono parole per elogiarla. Luisotti, che ha debuttato la produzione insieme a Wilson nel 2018, dirige nuovamente l’opera, dirigendo il Coro e l’Orchestra del Teatro Real e anche i JORCAM Little Singers. Perché ha già fatto sua una musica così completa e complessa come quella che contiene quest’opera quando è eseguita nella testa di uno stratega mentre diventa fiati, percussioni, archi e altro in un modo così equanime e bello che ci vuole tu alla passione stessa. La musica di Turandot è brillante e pretende solo il meglio. Ciò che l’orchestra aggiunge, suoni di ogni genere e risorse più che straordinarie, riesce a emozionarci tutti. La partecipazione del Coro Principale del Teatro Real dona al tutto un’emozione unica e sconvolgente.

Giacomo Puccini muore due anni prima della prima di questa sua opera. Il 25 aprile 1926, quando Turandot debuttò al Teatro alla Scala di Milano, era già nella pace eterna da due anni. Ecco perché questo imponente duetto finale e il più che sconvolgente epilogo musicale del terzo atto sono stati composti da Franco Alfano seguendo le note lasciate da Puccini. Giuseppe Adami e Renatpo Simoni firmano il libretto che mette in parola l’impeccabile opera di questo grande compositore, basata, tra l’altro, sull’omonima favola di Carlo Gozzi. Si inquadra così un fenomeno creativo che intreccia emozioni perché se ne nutre e le rende parte della sua essenza.

Dal 3 al 22 luglio, questa produzione presentata in anteprima nel 2018 in coproduzione con il Teatro Nazionale della Lituania, la Houston Grand Opera, la Canadian Opera Company e l’Opera national de Paris, torna a Madrid con successo. E qui a Madrid lo raccoglie anche lui, ancora una volta.

Ricardo Ladrón de Guevara R.
(8 luglio 2023)

Originale Spagnolo

La tragedia se hace luz, y los tres retos lanzados para que no sean alcanzados, hacen que Turandot encuentre tres hechos que son la luz, la emocionalidad y si, sobre todo uno, el amor

La emoción se hace a flor de piel cuando el público se hace consciente de la familiaridad que tiene con la obra. La parte final que genera un cúmulo de sensaciones y emociones resuena en la cabeza de todos y sin duda el “Nessun Dorma” está permanentemente de una u otra forma en nuestra memoria. No me atrevería a asegurar de que la mayoría de la gente identifica que es la ópera Turandot, pero, de lo que si se puede estar seguro es que esas notas están presentes en el memorial colectivo y eso hace que sean eterna, imperecederas y magníficas y eso es lo único importante. La ópera trasciende no solo los conceptos sino el tiempo en su más puro principio el aplauso y el reconocimiento del espectador. Esta vez la tragedia está enmarcada en la metáfora visual que hace que aquel metafórico teatro de sombras del legado chino vuelva a estar presente hoy, tradición y modernidad se unen como se unen la fuerza y la grandeza del mítico y lúgubre cuento de la fría, despiadada y cruel Princesa Turandot

El de la princesa Turandot es un rol que significa un gran reto vocal y una gran habilidad para la cantante que debe interpretarlo. La guapísima soprano madrileña Saioa Hernández hace un trabajo extraordinario de este complejo y exigente personaje en el que los que más que complicados sobreagudos le llevan a hacer uso de su técnica. Ella es grandiosa y está grandiosa en escena siempre, subida a una plataforma andante en la que la luz y el vestuario son impecables y bonitos, con movimientos estricta y exageradamente recortados, llena todo el espacio físico y llega a cada rincón del escenario y del corazón de quien la escucha con su más que extraordinaria voz. El trabajo de Fernando Radó, cautiva significativamente. Este bajo-barítono argentino con su juventud dota de fuerza y presencia a un Timur inolvidable. No obstante tengo que reconocer que el trabajo de Martin Muehle como el augusto Príncipe desconocido no logró cautivarme, quizá sea porque su interpretación del Nessun Dorma no logró emocionarme tanto como esperaba. Su trabajo es impecable y de muy alto nivel, eso no lo negará. Tan alto como ese arnés del que cuelga durante muchísimo tiempo en un momento del espectáculo y en el que suspendido en las alturas ejecuta su trabajo agregándole ese punto de peligrosidad adicional para incrementar el reto. Y por supuesto, la más aplaudida y la que conecta con el público por su arte, por su brillante ejecución y sobre todo por lo que despierta en escena, pese a esa especie de coreografía a la que está sometida que define su personaje pero no le permite desplazarse por la escena con soltura es Miren Urbieta-Vega y su más que emocionada emocionable Liù. La magnífica y perfecta soprano donostiarra hace que erices de emoción. Y sin duda el elemento catalizador del orden y sobre todo de la diversidad en escena es el recurso bien llevado de los Ping, Pang y Pong, los maravillosos Mikeldi Atxalandabaso, tenor, Moisés Marín, tenor también y el barítono Germán Olvera que con ese toque de desparpajo introducen el elemento lúdico, el elemento de comicidad o más bien complicidad con el público, que no solo baja tensiones, que en este a veces saturador drama es necesario es que logra la comicidad sin caer en la risa sino para demostrar el valor de la sonrisa en medio de la tragedia.

La luz es el principal eje protagónico en todo momento. La excusa de que el sol nace o sale en el escenario es el preámbulo para que la luz lo domine todo. Los espacios minimalistas donde solo existe un sinfín sin color se engrandecen con las luces que vienen, van, suben o bajan o permanecen quietas, creando atmósferas, realidades y sobre todo vida. Se podría decir que todo es negro, si, también se podría decir que todo es blanco, si, pero que es que lo realmente es ese todo es luz. El uso de esos maravillosos tubos de luz que bajan, suben, delimitan espacios, crean contornos, etc. Es ese concepto de la luz recta y perfecta que está en todas partes y que permanece escondida en si misma detrás o dentro de su fulgor. El juego de contraluces de efectos de siluetas es tan perfecto que en ocasiones hay verdaderos logros en escena con personajes, no elementos, que están, dejan de estar, permanecen omnipresentes o desaparecen todo gracias a la luz y a la forma como están iluminados. El director de escena, que firma también la escenografía, hace gala de una soberbia destreza para utilizar el recurso de la iluminación al máximo, no para iluminar la escena sino para crearla. Y es que no podía ser de otra forma cuando recordamos las palabras de Puccini que tan sabiamente se citan en el programa de mano: «Quisiera que en Turandot se eliminase el maquillaje del sentimentalismo y de la sensiblería fácil. Quisiera conmover sin retórica y captar la emoción del público haciendo vibrar sus nervios como las cuerdas de un violonchelo». Eso lo logra el director Robert Wilson con ese uso impecable de la luz. Un concepto sobre todo personal de su escena y de la escena misma. Todo lleva su sello y su sello es maravilloso.

Con el buscado, sopesado y medio ambiente casi gélido que se percibe, con ese tono frío en el que solo está presente el rojo en contadas ocasiones se invita al público a no conectar con lo que ve. Con una estética, personal, elegante y recta, sobre todo recta. Lento, pausado, pero sin detenerse y si, todo es lento en este remontaje de la Turandot que se estrenó en el 2018 y que ahora tiene si cabe más brillo.

La dirección musical que firma Nicola Luisotti es tan destacada que sobran las palabras para elogiarla. Luisotti, estrenó la producción al lado de Wilson en 2018, vuelve a dirigir la ópera, al frente del Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real y también de los Pequeños cantores de la JORCAM. Porque ya ha hecho suya una música tan completa y compleja como la que esta obra contiene cuando es ejecutada en la cabeza de un estratega como él se convierte en viento, percusión, cuerdas y más de una manera tan ecuánime y hermosa que te lleva a la pasión misma. La música de Turandot es brillante y hace que solo puedan estar a la altura los mejores. Lo que la orqueta adiciona, sonidos de todo tipo y recursos más que extraordinarios logra conmovernos a todos. La participación del Coro Titular del Teatro Real lo dota todo de una singular y estremecedora emoción.

Giacomo Puccini muere dos años antes del estreno de esta su obra. Para el 25 de abril de 1926 cuando Turandot se estrena en el Teatro allá Scala de Milán ya llevaba dos años en la paz eterna. Por eso es que ese impactante dúo final y el más que estremecedor desenlace musical del tercer acto fueron compuestos por Franco Alfano  siguiendo los apuntes que dejó Puccini. Giuseppe Adami y Renatpo Simoni firman el libreto que pone letras a la obra impecable de este gran compositor, basándose por cierto, en la fábula homónima de Carlo Gozzi. Es así como se enmarca un fenómeno creativo que entreteje las emociones porque se nutre de ellas y las hace parte de su esencia.

Del 3 al 22 de julio regrese a Madrid esta producción estrenada en el 2018 en coproducción con el Teatro Nacional de Lituania, la Houston Grand Opera, la Canadian Opera Company, y la Opera national de Paris, teatros ha obtenido en todos los teatros un grandísimo éxito. Y aquí en Madrid lo cosecha también, una vez más.

Ricardo Ladrón de Guevara R.

La locandina

Direttore Nicola Luisotti
Regia, scene e luci Robert Wilson
Codirector Nicola Panzer
Costumi Jacques Reynaud
Dramaturg José Enrique Macián
Personaggi e interpreti:
Turandot Saioa Hernández
Altoum Vicenç Esteve
Timur Fernando Radó
Calaf Martin Muehle
Liù Miren Urbieta-Vega
Ping Germán Olvera
Pang Moisés Marín
Pong Mikeldi Atxalandabaso
Un Mandarino Gerardo Bullón
Orquestra y  Coro Titulares del Teatro Real
Maestro del coro Andrés Máspero
Pequeños Cantores de la JORCAM
Maestro del Coro Ana González

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