Recensioni - Opera

Bregenz, ovvero dell’opera eroica

Reggimenti di pubblico in tenuta antipioggia affrontano volonterosi e determinati l’inclemente estate alpina

Bregenz è la capitale del Vorarlberg, regione che prende il nome dal monte Arl che la separa dal Tirolo e significa letteralmente “prima del monte Arl”, ovviamente guardando in direzione della capitale Vienna. Si tratta di una bella cittadina sul lago di Costanza, forse con qualche attrattiva in meno rispetto alle città vicine anche per la ferrovia che passa in modo abbastanza infelice fra il lago e la città, proprio come accade per alcune delle nostre città adriatiche marchigiane.

Già nel 1946, per dare un aiuto al turismo dati i motivi di cui sopra, è iniziato un festival musicale sul lago che negli anni si è trasformato in un grande evento, ottimamente organizzato e finanziato, che attira masse di appassionati dalle altre cittadine del lago e dai dintorni.

Certo l’estate alpina non è quella italiana e la pioggia e le temperature inclementi non sono una rarità, tuttavia tutto è organizzato di conseguenza, anche perché l’opera procede pure con la pioggia.

Fedeli al detto germanico “Non c'è cattivo tempo, solo cattivi vestiti”, (“Es gibt kein schlechtes Wetter, nur schlechte Kleidung”) tutti arrivano preparati al peggio, bardati come in Sicilia non si vede nemmeno a gennaio, tanto che il colpo d’occhio della platea si apre su una massa di persone implasticate da colorati impermeabili e spolverini, file di incappucciati degni di una messa in scena di Carsen o di Michieletto.

Piove a tratti eppure l’opera procede, fa freddo, tira vento, non fa nulla. È opera eroica, sia per gli interpreti che per il pubblico. Un piccolo grande rito di sofferenza. Anche se ha smesso di piovere, alla fine non si sogna altro che una minestra calda. Ma sicuramente è un ragionamento troppo italiano.

Per il resto poi lo spettacolo è grandioso, con l’immenso palcoscenico costruito su un’isola artificiale, la grande gradinata con dietro un imponente “Festspielhaus” (Casa del festival) che serve per l’orchestra e per spostarsi al chiuso quando proprio piovono cascate dal cielo.

L’orchestra è all’interno, il suono arriva sul grande palco amplificato e coordinato con il canto dei performer anch’essi amplificati. Tutto è calibrato alla perfezione, certo, ma l’amplificazione si sente, è pervasiva. Il fatto di non vedere l’orchestra, pur sapendo che sta suonando dal vivo, crea alla lunga un inevitabile effetto “base registrata”. Il medium tecnico è inesorabile e lo spettacolo si trasforma inevitabilmente, più che opera ci avviciniamo al musical.

L’effetto “teatro”, la relazione fisica fra interpreti e pubblico si perde completamente, in confronto l’arena di Verona, spesso giudicata dispersiva, è un intimo palcoscenico dove si canta senza amplificazione e dove si sente l’orchestra dal vivo. Ma forse il paragone non è appropriato, qui abbiamo un’altra cosa, un tipo di spettacolo che usa l’opera per creare un prodotto diverso, grandioso, spettacolare, moderno, tecnologico.

Quest’anno davano Madama Butterfly, nel 2024 ci sarà il Franco Cacciatore per due estati. Grande show questa Butterfly con la regia di Andreas Homoki, una scena che riproduce un immenso foglio di carta bianca su cui si svolge l’azione. Eroici anche i cantanti a mettercela tutta con poco più di 10 gradi: Anna Princeva, Fleuranne Brockway, Sabine Winter, Denys Pivnitskyi, Domen Krizaj, Spencer Lang, Patrik Reiter, Stanislav Vorobyov, Matthias Hoffmann, Julian Ringer.

Bregenz è una cosa a sé, una costruzione artificiale, l’evoluzione più particolare e commerciale dell’idea di Festival (Festspiele) all’aperto inventata da Max Reinhardt e Hofmannstahl a Salisburgo all’inizio del novecento. Qui non abbiamo il luogo storico, non abbiamo la scenografia naturale, ma tecnologia dello spettacolo e dell’amplificazione al suo massimo livello. Scegliete.

Raffaello Malesci (Martedì 25 Luglio 2023)