Venezia, Teatro La Fenice: “Cavalleria rusticana”

Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2022-2023
CAVALLERIA RUSTICANA”
Melodramma in un atto su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, dal dramma omonimo di Giovanni Verga
Musica di Pietro Mascagni
Santuzza SILVIA BELTRAMI
Turiddu JEAN-FRANÇOIS BORRAS
Lucia ANNA MALAVASI
Alfio DALIBOR JENIS
Lola MARTINA BELLI
Una donna VALERIA ARRIVO
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Donato Renzetti
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia
Italo Nunziata
Regista collaboratore e movimenti coreografici Danilo Rubeca
Light designer
Fabio Barettin
Scene e costumi Scuola di Scenografia e Costume per lo Spettacolo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Venezia
Venezia, 25 agosto 2023
Il rapporto di Gustav Mahler con la produzione operistica italiana coeva non lasciò in lui tracce profonde. Resta memorabile, a tal proposito, la stroncatura che riservò alla Tosca di Puccini. Nondimeno, è nota la sua infatuazione per Cavalleria rusticana, in cui probabilmente coglieva più di qualche affinità rispetto alla propria poetica musicale: l’ispirarsi ai suoni della vita reale – dall’ambiente naturale a quello sociale di un’immota Sicilia –; una scrittura che faceva convivere, come i suoi lavori sinfonici, il sacro col profano, la musica colta con quella popolare. Ma certamente lo colpiva positivamente anche il fatto che fosse un atto unico, proprio come quella Salome di Richard Strauss, che – forse sola opera del suo tempo – considerava un capolavoro. Ebbene, il capolavoro di Pietro Mascagni torna alla Fenice, dopo quindici anni di assenza, in un nuovo allestimento, nato dalla collaborazione fra il teatro di Campo San Fantin e l’Accademia di Belle Arti di Venezia, di cui un gruppo di allievi – attinti dalla Scuola di Scenografia e da quella di Costume per lo Spettacolo – hanno ideato e realizzato, appunto, scene e costumi, sotto la supervisione di Italo Nunziata, che si è avvalso, per il light design, del collaudatissimo Fabio Barettin. Il regista cosentino punta con la sua messinscena, per certi versi abbastanza tradizionale, a uno spettacolo scevro da ogni bozzettismo oleografico: la sua Sicilia è una realtà molto cruda, collocata nel contesto degli anni Cinquanta del Novecento; un luogo dove una luce inesorabile si abbatte su muri, non del tutto costruiti o semidistrutti da una guerra, entro i quali si compie una tragedia antica, che Nunziata, nella sua messinscena, si propone di depurare da certi eccessi, più che mai datati, del Verismo musicale, per farla assurgere alla dignità, all’intramontabile potenza espressiva della tragedia greca. In questa prospettiva, particolare rilievo assumono, nella rappresentazione, i rituali: oltre alla vestizione per la Pasqua all’inizio dell’azione scenica, la preparazione al funerale di Turiddu, il compianto per il defunto, la processione verso il camposanto, che Santuzza rievoca mentre risuona il Preludio. A questo proposito, è utile precisare che la vicenda è concepita – non proprio una novità nelle odierne regie operistiche – come un lungo Flash-back, elaborato dalla mente di Santuzza, che rivive, a posteriori, le tragiche vicende che l’hanno coinvolta. Particolarmente interessante ci è parsa, invece, l’idea di prevedere – complici gli encomiabili studenti dell’Accademia – non una scena fissa, bensì uno spazio in grado di interagire con l’azione drammatica. Sulla scena la campagna si intravede appena e l’azione si concentra nella piazza del paese ma, grazie a delle mura che si spostano intorno ai protagonisti, si definisce ogni volta un’inquadratura adatta a quel particolare momento della vicenda. Si tratta di una tecnica simile a quella del montaggio nel cinema – spiega Nunziata – con particolare riferimento a La terra trema di Visconti, la cui sceneggiatura ricalca i tagli netti e improvvisi, presenti nella narrazione verghiana. Una soluzione davvero efficace! Semplici i costumi: abiti sul nero o sul grigio, frequentemente accompagnati, nei personaggi maschili, dalla tradizionale coppola. Sapiente l’uso delle luci: assenti, fioche o fredde, a sottolineare la tragedia dei singoli personaggi; intense e calde nei momenti “corali”. Sobri, ma funzionali allo svolgimento del dramma, i movimenti coreografici. In sintonia con la concezione registica è risultata la direzione musicale dell’esperto Donato Renzetti, che ha guidato l’orchestra e i cantanti lungo questa partitura con equilibrio e compostezza stilistica senza mai indulgere a facili effetti o a slanci troppo irruenti, per quanto non sempre assecondato dalle voci – spesso sospinte da Mascagni verso il registro acuto –, che in qualche caso si sono lasciate un po’ andare in senso opposto. Tuttavia, nel complesso – anche con il determinante contributo del Coro, che qui ha un ruolo di primo piano – l’esecuzione si è svolta entro limiti accettabili di buon gusto. Una particolare menzione si meritano i brani orchestrali, in particolare l’Intermezzo, dove il Maestro e l’Orchestra hanno respirato insieme, ad esprimere con finezza interpretativa, senza affettazione, il genuino fervore popolare. Ma veniamo ai cantanti. Silvia Beltrami era una Santuzza fortemente combattuta tra il risentimento e l’amore verso Turiddu, per cui ha rifiutato le regole di una società patriarcale, che per questo l’ha messa al bando. Nondimeno la sua interpretazione, appassionata e generosa, è stata parzialmente penalizzata da un’eccessiva vibrazione della sua voce, oltre che – ci sembra – da qualche scivolata nel Verismo di maniera, come nella fatidica imprecazione: “A te la mala Pasqua”. Pienamente positiva è apparsa la prova di Jean-François Borras, che con voce omogenea, dal timbro puro, ci ha offerto un Turiddu “macho” e sprezzante, capace di commuoversi di fronte alla madre ma ligio rispetto agli inflessibili dettami del codice d’onore. Ben delineato – pur con qualche forzatura nell’emissione – il personaggio di Alfio da parte di Dalibor Jenis, che ha saputo rendere la mutazione del carrettiere da sposo felice a implacabile vendicatore. Convincente Martina Belli nei panni di Lola, che ha sfoggiato una voce gradevolmente timbrata senza mai fare un uso pesante del petto. Impassibile verso i tormenti di Santuzza – di cui non accetta la ribellione – si è rivelata giustamente mamma Lucia, nell’interpretazione, ora gelida ora corrucciata, di Anna Malavasi. Una menzione positiva anche per Valeria Arrivo (Una donna). Successo pieno con numerose chiamate, alla fine, per tutti.