Venezia: nei Due Foscari giganteggia Salsi

Nelle opere di Verdi il dramma personale è inscindibile da quello politico, con una netta prevalenza del primo sul secondo: i Due Foscari non rappresentano un’eccezione.

Le vicende di Francesco Foscari – il cui dogado fu il più lungo nella storia della Serenissima – e del figlio Jacopo, messe in versi da Lord Byron nel 1821 sono soggetto ideale per la poetica verdiana; il libretto, per inciso non esattamente un capolavoro di versificazione, del muranese Piave esalta il rapporto padre-figlio in uno scenario di lotte di potere che vedrà i Foscari soccombere al potere del Consiglio dei Dieci.

La realtà storica narra del Doge deposto e del figlio morto assassinato nel carcere di Candia ove era stato deportato in esilio; Verdi, insofferente alla politica, incentra il dramma sul conflitto morale di Francesco, doge e padre, che oscilla tra il rispetto delle leggi – Jacopo è accusato di tradimento – e l’affetto di genitore.

A questo si aggiunga una protagonista femminile gigantesca come quella di Lucrezia Contarini, moglie e nuora, che drammaturgicamente è figlia della Giselda dei Lombardi superandola però in caratterizzazione psicologica.

Nasce così un’opera, tra le più belle di quelle degli “anni di galera”, ricca di contrasti, forse in qualche maniera statica nell’azione, ma densa di quel pathos che si ritroverà qualche anno più tardi, allorquando un altro doge e un’altra Repubblica Marinara saranno protagonisti di uno dei capisaldi non solo del catalogo verdiano ma dell’intero teatro in musica dell’Ottocento.

Al Teatro La Fenice i Due Foscari mancavano dal febbraio del 1977 e vi fanno ritorno in un allestimento del Maggio Musicale Fiorentino che risulta di incomparabile modestia.

Grischa Asagaroff opta per una visione perlopiù statica del dramma verdiano, punteggiandola con cliché “di tradizione” ai quali francamente non si vorrebbe più assistere. Sostanzialmente non succede nulla e quel poco che accade è appesantito da una frammentazione data, paradossalmente, dai cambi a vista – il parallelepipedo rotante su sfondo di nuvolette è di Luigi Perego che firma anche i costumi di sapore storico, con il il coro col “dolfìn” in testa che strappa una risata nel terzo atto, mentre il disegno di luci è di Valerio Tiberi – realizzati con certa qual fatica da quattro servi di scena. Bruttino il Leone di San Marco in stile Power-Point proiettato sulla struttura girevole, sintomo di una fiacchezza che pare essere la cifra distintiva della produzione.

Inutili le coreografie che Cristiano Colangelo affida ad uno sparuto gruppo di danzatori che fanno, non per colpa loro, un po’ tenerezza.

Sebastiano Rolli conosce a fondo la partitura verdiana, ma non tiene conto della generosità della Fenice nel restituire il suono dando vita ad un’esecuzione decisamente sovradimensionata quanto a volume, ritrovando però misura nelle scene conclusive e soprattutto nella morte del doge spodestato rese con belle screziature coloristiche. Peccato perché l’eccesso di suono penalizza una lettura condivisibile nei tempi e nelle soluzioni dinamiche.

Nella compagnia di canto giganteggia Luca Salsi, padrone di un canto tutto sulla parola e arricchito da un fraseggio sontuoso, il tutto a dar vita ad un Francesco Foscari vigoroso e dolente ad un tempo dimostrando ancora una volta di conoscere a fondo il dettato verdiano.

Francesco Meli tratteggia uno Jacopo Foscari – il più byroniano dei personaggi del dramma – con la bellezza di timbro che gli è abituale, ma anche con una certa qual stanchezza che lo porta in più di un momento a forzare con conseguente perdita di intonazione.

Lucrezia Contarini è appannaggio di Anastasia Bartoli, voce importante e presenza scenica imponente da vera primadonna. Il giovane soprano veronese, figlia d’arte, dovrebbe solo pensare di cominciare a lavorare “per sottrazione” invece di spingere sempre, cosa di cui non ha assolutamente bisogno.

Molto bene fa Riccardo Fassi, capace di dare vita ad un Loredano di algida spietatezza, mentre Marcello Nardis è Barbarigo convincentemente insinuante.

Brava come sempre Carlotta Vichi, comprimaria extralusso, come Pisana.

A completare onorevolmente il cast Alessandro Vannucci (Un fante del Consiglio dei Dieci) e Antonio Casagrande (Un servo del doge).

Ben presente il coro preparato da Alfonso Caiani.

Successo pieno per tutti, con numerosi applausi anche a scena aperta.

Alessandro Cammarano
(6 ottobre 2023)

La locandina

Direttore Sebastiano Rolli
Regia Grischa Asagaroff
Scene e costumi Luigi Perego
Light designer Valerio Tiberi
Coreografo Cristiano Colangelo
Personaggi e interpreti:
Francesco Foscari Luca Salsi
Jacopo Foscari Francesco Meli
Lucrezia Contarini Anastasia Bartoli
Pisana Carlotta Vichi
Jacopo Loredano Riccardo Fassi
Barbarigo Marcello Nardis
Un fante del Consiglio dei Dieci Alessandro Vannucci
Un servo del doge Antonio Casagrande
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Alfonso Caiani

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