Colonia, la paternità negata di Peter Grimes

Il melodramma di Benjamnin Britten torna all’Oper Köln nello spettacolo (riuscito) di Frederic Wake-Walker Protagonisti Brenden Gunnell e Ivana Rusko

Fantasmi. Che sono apparsi anche a noi. E che, però, non ci hanno aiutato a sciogliere il dubbio: colpevole o innocente? Fantasmi che affollano la mente di Peter. Peter Grimes, il pescatore violento (ma sarà davvero così? violento? Forse ruvido… il dubbio non si scioglie…) raccontato in musica da Benjamin Britten – le parole del libretto, inglese, sono di Montague Slater che si è ispirato al poema The Borough di George Crabbe, Il borgo a dire la coralità di una vicenda fatta di sospetto e maldicenza. Fantasmi che sono lì, una maschera pallida (quasi una maschera funeraria, di cera) calata sul viso, sono lì seduti sulle panche di una chiesa, immagine potente e tutta modellata da Frederic Wake-Walker sulla natura oratoriale della partitura del compositore britannico datata 1945. Immobili, inquisitori muti mentre Peter si guarda dentro prima di affogarsi: è lui che va a picco (il libretto direbbe la sua barca…), trascinato giù da un pesante peso che si mette al collo, affonda come una barca… perché è lui quella barca che è stata per tutto il tempo (il tempo della vita) in balia delle onde e del mare in tempesta, il mare della sua anima… la tempesta di sospetto e maldicenza. Segnato da sempre, marchiato a fuoco nella sua diversità, nel suo essere corpo estraneo rispetto a quel Borgo fatto di convenzioni e formalità, dietro le quali, però, ci sono dissolutezza e miseria, peccato e vergogna.

Si affoga Peter perché non regge il peso della “colpa” – se colpa, poi, è l’essere ruvido, chiuso e scarno nei sentimenti… corpo estraneo rispetto ai sepolcri imbiancato. Si affoga Peter perché non regge sospetto e maldicenza, non regge la vista di quei fantasmi – che hanno gli stessi abiti, le stesse fattezze dei suoi concittadini – che adesso, mentre si guarda dentro prima di affogarsi, lo circondano… e lo giudicano, muti, nei loro volti impenetrabili. Fantasmi che poi sono un fantasma solo, moltiplicato all’infinito. Il fantasma del suo mozzo, morto in circostanze misteriose, episodio che lo ha portato sul banco degli imputati… poi assolto per mancanza di prove. Lo abbiamo visto nel prologo, in quel processo avvenuto di fronte al popolo seduto (nella stessa posizione, solo senza maschera a coprire il volto) su quelle stesse panche (un cerchio si chiude, pronto a ripartire) nella navata centrale di una chiesa, dove Frederic Wake-Walker ambienta tutto il suo Peter Grimes immaginato per l’Oper Köln, spettacolo riuscitissimo, finalmente azzeccato (sarà anche la “britannicità” concomitante di regista e testo?) dopo parecchi flop (il più eclatante le mozartiane Nozze di Figaro del Teatro alla Scala) collezionati in Italia (dal Piermarini, appunto, al Maggio musicale) dal regista, mai così convincente come in questo Peter Grimes di fantasmi.

Di fantasmi e di desideri. Il fantasma del mozzo, che insegue Peter, implacabile, apparizione tra la folla, inaspettato e inquietante. E che si materializza, carne e sangue, quando la storia si ripete di nuovo, quando un altro mozzo muore, in circostanze misteriose… caduto in mare – spinto o rovinato accidentalmente? il dubbio non si scioglie… Fantasma, come un fantasma potrebbe essere il Boy, il nuovo mozzo. Chi lo vede? Solo Peter ed Ellen – anche le due Niece, vero, per un attimo interagiscono con lui, ma il loro «Let’s look at the boy… Nice sweet thing» potrebbe essere rivolto a qualsiasi cliente del Cinghiale, che qui è un bordello squallido, frequentato d tutti gli abitanti del Borgo. Solo Peter ed Ellen vedono il Boy. E potrebbe essere allora un fantasma, proiezione della loro mente, quel figlio che non hanno mai avuto, quel figlio, quell’altro uguale a se stesso che Peter desidera, ce lo dice il bellissimo, toccante “delirio” di paternità che Wake-Wolker immagina sulla musica del Secondo Interludio. Quel bambino che, come il primo, “muore” in circostanze misteriose. Desiderio non compiuto. Che riporta Ellen nell’anonimato del Borgo. E Peter in fondo al mare in tempesta.

Desiderio. Ponte inaspettato e bellissimo con la Frau ohne Schatten che a settembre ha aperto la stagione dell’Oper Köln, racconto, l’opera di Strauss, di un desiderio (di maternità) che trova compimento nel momento in cui si spoglia di egoismo per aprirsi all’altro (bellissima la lettura che ha dato Katharina Thoma della Frau). Desiderio abortito, invece, quello di Peter (e di Ellen). Che naufraga nel mare dell’indifferenza di un Borgo – siamo noi che guardiamo, siamo noi che non ci accorgiamo di chi soffre accanto a noi, dice la musica di Britten. Non c’è una cosa che non funzioni in questo Peter Grimes tornato in scena allo Staatenhaus di Colonia, ripresa (o Wiederaufnahme, come si dice in tedesco) dell’allestimento pensato da Frederic Wake-Walker nel 2018 per l’Oper Köln. Non c’è nulla che non funzioni perché nel racconto per immagini del regista britannico (lo spettacolo è ripreso da Eike Ecker, benissimo, senza nessuna sbavatura da “ripresa”, ma con una bella tensione da “prima”) tutto è forgiato sulla musica, modellato sulla natura oratoriale della partitura di Britten, pensato sulla storia (drammatica, tragica, ma anche con tratti di un’ironia… tutta britannica).

Che è una storia corale, la storia di una comunità fatta di tipi, a volte macchiette (Mrs. Sedley, ad esempio) altre maschere tragicomiche (Swallow, Boles, la stessa Auntie con le sue Nipotine… e dentro ci vedi tanti “tipi” di oggi), affresco su cui si staglia, imponente e tragica, la figura di Peter. Che ha lo spessore del mito greco, celebrato in un rito come quello della tragedia. Ed ecco il lato che coglie Wake-Walker. Quello rituale, oratoriale appunto, della partitura di Britten. E ci tira dentro in una celebrazione, in un rito collettivo (il secondo atto si apre con l’ingresso in chiesa del coro, fatto attraverso le gradinate della Saal 1 dello Staatenhaus dove siamo seduti noi che assistiamo a questo rito) che alla fine avrà la sua catarsi nella morte (indotta, suggerita, propiziata… da Ellen e Balstrode) di Peter, capro espiatorio da sacrificare per scacciare ombre, colpe, meschinità… La  scena, allora, è una chiesa, il pavimento consunto, la balconata di legno scheggiata sui lati… la disegna, così come i costumi (tutti dei colori della terra e del mare, marrone e azzurro), Anna Jones – c’è anche un organo suonato in scena, nel rito che apre il secondo atto, da Alfred Chen, mentre il direttore del coro dell’Oper Köln, Rustam Samedov, dirige il canto liturgico reinventato da Britten.

Scene con un loro peso drammaturgico, perché la chiesa di volta in volta si trasforma nei luoghi dell’azione (basta solo disporre diversamente le panche per essere su una spiaggia o nella capanna di Peter), ma resta sempre quel luogo “liturgico” dove una comunità celebra, dietro un’apparenza di devozione, il rito collettivo del sospetto e della maldicenza… bellissimi i movimenti che Wake-Walker plasma per il coro e per i solisti quando, seduti tutti stretti sulle panche disposte come in chiesa, diventano mare, onda che travolge Peter. Luogo che si illumina dei colori carichi del Cinghiale, che Wake-Walker immagina come un bordello dove la Auntie è una maîtresse, le due Nipotine due (delle tante) prostitute e dove tutti si travestono (Swallow, barbuto uomo di legge, appare in sottoveste e tacchi a spillo) in un altro rito, quello della follia collettiva (inquietante il sapore da fine impero che si respira) che è (forse) l’altra faccia della medaglia dell’apparente devozione celebrata tra le austere navate di una chiesa.

Almighty and most merciful Father, we have erred and strayed from Thy ways like lost sheep… «abbiamo peccato e ci siamo allontanati dalla retta via, come pecorelle smarrite» canta il coro. Musicalissimo, quello dell’Oper Köln, terzo protagonista (di un’opera corale) accanto al Peter Grimes di Brenden Gunnell e alla Ellen Orford di Ivana Rusko. Dolenti, entrambi, nello scolpire, in musica e parole, due sconfitti, un uomo e una donna provati dalla vita. Peter, che ha la lucentezza vocale di Gunnell (osa nei trasparente canto tutto di testa della sua aria delle Pleiadi), ne esce sconfitto. Ellen, che la Rusko colora di malinconia grazie ad una voce (educatissima) dal sapore antico, torna tra la folla, grigia, incapace di affermare la sua unicità. Sconfitti, Peter ed Ellen, perché non hanno saputo abbandonarsi all’amore – quanti i gesti di affetto interrotti, soffocati che Wake-Walker chiede a Grimes! Sconfitti, Peter ed Ellen, nel loro desiderio abortito di paternità/maternità. Non ci sono padri, non ci sono madri nel Peter Grimes di Britten (sarà un caso?). C’è una zia, una Auntie (la veterana Dalia Schaecter, tutta carattere) con due nipoti, due Niece (le squillanti Tinka Pypker e Alina König Rannenberg). C’è una vedova (senza figli da quel che sappiano), Mrs. Sedley, che forse, perché tanto carattere, sta un po’ stretta alla pur brava Adriana Bastidas-Gamboa. Anzi, le vedove sono due, perché anche Ellen è vedova. C’è un reverendo (ubriacone), Horace Adams, ben reso da John Heuzenroeder. C’è un capitano della marna in pensione, Balstrode, cui presta la sua autorevolezza vocale Robert Bork. Un racconto corale, affidato a molti membri dell’ensemble dell’Opera di Colonia (e funzionano bene con Britten): Martin Koch è il pescatore Boles, Lucas Singer il procuratore Swallow, Wolfgang Stefan Schwaiger il farmacista Ned Keen, Christoph Seidl il carrettiere Hobson che a colpi di tamburo guida la caccia a Peter Grimes – suggestiva l’immagine con gli uomini del Borgo che cercano il pescatore con le torce.

Non lo trovano. Così come sembra faticare a trovare il “suo” Peter Grimes Duncan Ward sul podio della Gürzenich-Orchester – come sempre fatta di ottimi musicisti, capaci di restituire puntualmente lo stile dell’autore che hanno sul leggio. Il direttore britannico offre una lettura lineare della partitura di Britten, senza però affondare le mani e la bacchetta nel magma di una scrittura complessa che arriva nella sua bellezza formale, ma non sempre nella sua forza narrativa. Britten ti afferra dal primo accordo e ti molla solo alla fine, avvolgendoti nella spirale di un racconto musicale fatta di temi, di melodie, di suggestioni (dentro ci senti Puccini e Stravinskij, il Puccini di Turandot e Gianni Schicchi, lo Stravinskij di Sacre e Oedipus Rex) che ti martellano in testa. Come quel «Peter Grimes! Peter Grimes!» quel nome, ripetuto e moltiplicato all’infinito. Come i fantasmi che popolano la mente (e la vita) di Peter. Maschere bianche, calate sul volto dei concittadini del pescatore. Che Ellen e Balstrode, la Auntie e Mrs.Sedley, Boles e Adams, Swallow e Keene e tutti si tolgono quando Peter ormai si è affondato nella vasca aperta nel pavimento della chiesa. Quando sull’azzurro baluginante dell’acqua si richiudono le assi del palcoscenico. Quando lo “scomodo” Grimes è ormai sepolto. Sotto le panche, sulle quali i cittadini del Borgo si siedono, per dare inizio a un nuovo rito. «C’è una barca che affonda in mare aperto… Diamo un’occhiata con il cannocchiale… Che c’è?… Niente che io riesca a vedere… Una delle solite chiacchiere…» dicono dopo essersi tolti le maschere, dopo averle posate sulla “tomba” muta di Peter. Diventando, anche senza quelle maschere pallide sul viso, sepolcri imbiancati. Marea «terrible and deep» che tutto travolge e tutto seppellisce nell’oblio.

Nella foto @Bernd Uhlig Peter Grimes all’Opera di Colonia