Mimì Mariangela Sicilia/Aida Pascu (16, 25 novembre)
Rodolfo Galeano Salas/Kang Wang (16, 22, 25 novembre)
Marcello Min Kim/Qianming Dou (16, 25 novembre)
Musetta Elisa Balbo/Aleksandrina Mihaylova (16, 25 novembre)
Schaunard William Hernandez/Matteo Torcaso (16, 25 novembre)
Colline  Francesco Leone
Benoît/Alcindoro Davide Piva
Venditore ambulante Luca Tamani
Parpignol Leonardo Sgroi
Doganiere Nicolò Ayroldi
Sergente dei Doganieri Egidio Massimo Naccarato

Maestro concertatore e direttore Giacomo Sagripanti
Regia Bruno Ravella
Ripresa regia Stefania Grazioli
Scene Tiziano Santi
Costumi Angela Giulia Toso
Luci D.M. Wood riprese da Emanuele Agliati

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Coro di voci bianche dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro di voci bianche dell’Accademia Sara Matteucci

Le note difficoltà del Maggio Musicale Fiorentino, recentemente fronteggiate ma non ancora risolte, hanno avuto così tanto seguito mediatico da non avere più necessità di ulteriori spiegazioni od approfondimenti, almeno in questa sede. Quel che ad oggi conta, invece, è che la stagione musicale, fino a pochi mesi fa molto di là dall’esser certa, sia ripartita, con l’avvio fugace di un cartellone operistico, oltre che sinfonico, e che l’idea di un teatro pieno e festoso rimanga di per sé il miglior balsamo per le ferite: infatti già ci si potrebbe fermare qui – ad una sala stracolma, ad un pubblico più che partecipe – per rendere conto della serata, del suo senso di rinascita, e per far risaltare ciò che in fondo importa davvero: il calore di un teatro pagante vivo e soddisfatto. Per la seconda recita di Bohème – dopo la prima andata in scena col solo accompagnamento del pianoforte, causa sciopero – nessun nome celebre è stato messo in cartellone, come invece l’ultima stagione ci aveva abituati (fin troppo bene a vedere i risvolti attuali), ma si è scommesso su una compagnia di giovani volenterosi, tra cantanti dell’Accademia del Maggio e non: il successo è stato travolgente, pur con la presenza di amici e colleghi dei protagonisti che hanno alzato di non poco il livello “sonoro” di apprezzamento.

Il giovane Kang Wang, Rodolfo, ha messo in campo delle buone doti vocali, significative soprattutto per un’attenta padronanza della lingua italiana e per una gradevole brillantezza del registro acuto. Se nella “gelida manina” si è dimostrato fin troppo cauto, con una nota acuta chiara e un po’ scoperta, già nel duetto successivo “O soave fanciulla” le puntate in alto sono risultate decisamente migliori e sicure, così come nel resto dell’opera, con alcune di esse sorprendenti per facilità e corposità. In ogni caso, al di là della caratterizzazione del personaggio, evidentemente acerba, e di un emissione che ancora necessita di maggior sicurezza e stabilità, il suo successo, forse il primissimo, l’ha ottenuto chiaro e forte.

Successo che ha arriso pieno anche alla Mimì di Aida Pascu: il soprano ha dimostrato di saper ben gestire i sentimenti della povera fanciulla, con eccellente padronanza della lingua, soprattutto nell’ultimo quadro, in cui – complice un registro centrale saldo e sonoro, un uso apprezzabile di mezze voci e un fraseggio articolato – ci ha trasmesso le sensazioni più forti. Il settore acuto, invece, al di là della sua corretta impostazione, merita di essere perfezionato, poiché alcune note estreme si sono percepite esili e insicure. Tuttavia, data l’età e l’esperienza ancora da maturare, ci sono solide premesse.

Qianming Dou è stato un esuberante Marcello: il baritono, se è vero che deve mettere a punto l’emissione, specie nel registro centrale, dove c’è la tendenza a gonfiare i suoni e non far scorrere la voce con libertà, ha un bel registro acuto, una buona pronuncia dell’italiano, affinabile laddove il libretto si fa più ingarbugliato, e una naturale verve scenica, tale da avergli permesso di risultare tra i più coinvolgenti.
La verve pungente e maliziosa, poi, non è mancata alla Musetta di Aleksandrina Mihaylova: il soprano ha rappresentato con la dovuta freschezza gli amori e le smanie della giovane ragazza, sia impiegando la sua vocalità giustamente brillante con acuti saldi, sia mostrando un bella progressione del personaggio, da fanciulla spensierata ad amica colpita da un dramma più grande di lei.

Davvero molto bene lo Schaunard di Matteo Torcaso, vivacissimo in scena, corretto nell’emissione e prodigo di colori e preziosismi in un ruolo nient’affatto secondario. Come lui Francesco Leone, un giovane Colline dalla bella vocalità di basso, avvolgente e calda, e dalla piacevole qualità timbrica: complice la sicurezza mostrata nell’espressione scenica, la sua “vecchia zimarra” si è rivelata uno dei momenti più alti dell’intera serata.

Davide Piva ha messo in risalto con proprietà di mezzi vocali e scenici sia il signor Benoît, comico suo malgrado, che il vecchio Alcindoro, diversificando bene i due personaggi. Infine, completavano con onore il cast il Parpignol di Leonardo Sgroi, il sergente dei Doganieri di Egidio Massimo Naccarato, un doganiere di Nicolò Ayroldi e un venditore ambulante di Luca Tamani.

Giacomo Sagripanti ha diretto una sfolgorante Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino – per inciso in splendida forma -, col merito assolutamente non secondario, ma anzi determinante in questi casi, di aver seguito, sostenuto e controllato tutta la giovane compagnia di cantanti. Con Bohème, e Puccini in generale, è facile lasciarsi prendere la mano e forzare le dimamiche, oltre che perdersi dietro alla musica straripante di sentimenti, scordandosi di chi canta: questo non è mai successo, ma anzi sono stati vari i momenti in cui il direttore ha aggiustato il tiro in base alla situazione in palco (significativo il caso della frase “O bella età d’inganni e d’utopie!”, attaccata con troppa fretta dal baritono e prontamente ripresa da Sagripanti, che ha intimato al giovane di rallentare). Non sono mancati comunque le volontà interpretative, con una bella descrizione sonora del terzo quadro, rarefatto e quasi cristallino nel gelo degli ambienti, e con un fortemente drammatico ultimo quadro, in cui la portata mortuaria dei timpani, ad esempio, ha sottolineato tutta la forza della tragedia implacabile.

Sugli allori il Coro di voci bianche dell’Accademia e il Coro del Maggio Musicale Fiorentino, quest’ultimo addirittura commovente, per chi scrive, nella bellezza dei suoni e nella compattezza dell’insieme, sfoggiati durante tutto il secondo quadro, talmente vivo nei colori e nella forza espressiva da risultare abbacinante. Gran plauso, dunque, al maestro del Coro Senior, Lorenzo Fratini, alla maestra del Coro Iunior, Sara Matteucci, e agli artisti tutti.

Sulla regia c’è poco da dire: l’ennesima ripresa di quella di Bruno Ravella, con scene di Tiziano Santi. Sostanzialmente rispettosa del libretto, con qualche guizzo più nella sorpresa scenografica che in quella propriamente registica, si lascia vedere, ma oramai non aggiunge più niente a quanto già si è visto e già si sa. Non ce n’erano altre da riesumare? In ogni caso, c’è da accontentarsi quasi con rispetto ed esser felici di quanto si è riusciti a vedere ed ascoltare.

Mattia Marino Merlo