Venezia: Michieletto e la paidèia di Hoffmann

Quasi nove minuti di applausi – ad inizio serata e sulle note dell’Inno Nazionale c’era stata l’ovazione per il Presidente Mattarella – hanno salutato la conclusione dei Contes d’Hoffmann che hanno inauguato la stagione 2023-2024 del Teatro La Fenice.

Successo meritato grazie al fortunato allestimento – frutto dorato dell’inventiva di Damiano Michieletto, del genio di Paolo Fantin (scene), della sagacia di Carla Teti (costumi), della perizia di Alessandro Carletti (luci) e dell’ironia di Chiara Vecchi (coreografie) – che il teatro veneziano co-produce con Opera Australia, la Royal Opera House Covent Garden e l’Opéra National de Lyon e soprattutto per i meriti di una compagnia di canto di primissimo ordine.

Delle tante edizioni possibili – Les Contes sono e uno dei paradigmi dell’”Incompiuta” – Michieletto sceglie di percorrere la strada della primigenia versione curata da Ernest Guiraud con corposi inserimenti derivanti dall’edizione critica di Fritz Oeser, il tutto con svariati tagli che, soprattutto nell’atto di Giulietta contribuiscono a togliere consequenzialità alla narrazione drammaturgica.

Nel complesso però il gioco teatrale funzione assai bene, le idee sono molte e quasi tutte risultano ben sviluppate.

L’idea di Michieletto è quella di portare in scena la paidèia di Hoffmann che, narratore-protagonista, apprende attraverso il fallimento dei suoi amori la sua totale appartenenza all’Arte e al Genio.

Nel Prologo l’eroe eponimo, oltremodo alticcio, è ormai anziano e viaggia sul filo dei ricordi ispirato dalla Musa e accompagnato dal fido Nicklausse, qui in veste di un Puck-farfalla, in un flashback che conduce ai tre atti ispirati ai suoi amori.

Nel primo Hoffmann è adolescente allievo nella scuola di Spalanzani, dove si innamora di Olympia qui in veste di automa-calcolatrice e capace di materializzare un balletto di numeri su una lavagna, numeri che divenuti reali finiscono per piovere letteralmente sulla scena, mentre il valzer vorticoso diventa un’esibizione ginnica con tanto di cerchi, il tutto in un crescendo parossistico e parodistico di grande effetto durante il quale il perfido Coppelius distrugge la bambola.

Il secondo atto, il più bello dell’opera, ha per protagonista Antonia – che in questa occasione da cantante diviene ballerina – impossibilitata ad esercitare la propria arte pena la morte ma che sarà costretta dal demoniaco Docteur Miracle a danzare fino all’esito finale.

Hoffmann è un giovanotto, perdutamente innamorato ancora una volta più dell’idea dell’amore stesso che non dell’amata.

Qui Michieletto dà il meglio di sé imponendo alle giovani danzatrici allieve di uno sbadato Franz-Maestro di ballo un ritmo serratissimo; geniale la rappresentazione delle “tre età” con Antonia a comporre un quadro con lo spirito della madre ed una piccola ballerina.

Il terzo atto, quello “veneziano” sembra richiamare le atmosfere di Eyes wide shut in versione Anni Trenta è il meno risolto – mancano l’aria di Giulietta e il duello di Hofmann con Schlemill – con il protagonista ormai uomo maturo a scontarsi con il diavolo qui in sembianza dello stregone Dapertutto.

L’Epilogo, bellissimo, ricorda la scena conclusiva di Big Fish di Tim Burton – parallelo nobile – con tutti i personaggi che tornano a circondare il vecchio Hoffmann in un’apoteosi nella quale si scopre che Stella, il suo quarto e ultimo amore, è in realtà l’onnipresente demonio, il tutto in uno straniante mescolarsi di vita reale e finzione letteraria.

Per quanto attiene al versante musicale Frédéric Chaslin, arrivato “di rincorsa” a sostituire l’annunciato Antonello Manacorda e hoffmanniano di lungo corso – ha diretto i Contes 732 volte – è prodigo di volume ma parco di sfumature e colori oltre che alquanto “pompier”, puntando più sull’effetto che non sull’evidenziare la sottile filigrana che percorre la partitura.

Ivan Ayon Rivas è Hoffmann inquieto e appassionato, capace di accendersi in slanci improvvisi per ripiegarsi in malinconiche introspezioni. La voce è brillante, gli acuti svettano e la linea di canto è rigogliosa.

Giganteggia Alex Esposito capace di dar voce e copro ai quattro vilain demoniaci con voce sempre più rotonda e brunita alla quale si unisce una recitazione magnetica.

Non gli è da meno Carmela Remigio, Antonia disperatamente attaccata alla vita e padrona di un fraseggio intenso e di una presenza scenica di grande impatto.

Brave Rocío Pérez nei panni di un’Olympia meno meccanica del solito e Veronique Gens, Giulietta di gran classe.

Giuseppina Bridelli è un Nicklausse mercuriale e di bello spessore vocale e Paola Gardina veste con perizia i panni di una Musa vagamente sbadata.

Nello stuolo dei personaggi di contorno brilla il Franz di Didier Pieri – interprete anche di Andrès, Cochenille e Pitichinaccio – che in veste di maître de ballet si rende protagonista di una prova maiuscola senza cadere nella trappola del macchiettismo.

Buone le prove di Federica Giansanti (la Voix), Christian Collia (Nathanaël), François Piolino (Spalanzani), Yoann Dubruque (Hermann/Schlemill) e Francesco Milanese (Luther, Crespel).

Ottimi i ballerini, tutti, chiamati a dar vita a diavoli glitterati, driadi e anche ai topi dello Schiaccianoci (altro racconto di Hoffmann).

Ben presente il coro – così come l’orchestra – preparato da Alfonso Caiani.

Sugli applausi finali è comparso in scena un paio di scarpette rosse, gesto carico di significato, a ricordare l’assassinio di Giulia Cecchettin e quelli di tante ragazze e donne vittime di violenza.

Alessandro Cammarano
(24 novembre 2023)

La locandina

Direttore Frédéric Chaslin
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Coreografia Chiara Vecchi
   Personaggi e interpreti:
Hoffmann Ivan Ayon Rivas
La Muse Paola Gardina
Nicklausse Giuseppina Bridelli
Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle, Dapertutto Alex Esposito
Andrès, Cochenille, Frantz, Pitichinaccio Didier Pieri
Olympia Rocío Pérez
Antonia Carmela Remigio
Giulietta Veronique Gens
La Voix  Federica Giansanti
Nathanaël Christian Collia
Spalanzani François Piolino
Hermann/Schlemill Yoann Dubruque
Luther, Crespel Francesco Milanese
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del coro  Alfonso Caiani

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