Venezia, Teatro Malibran: in scena “Maria Egiziaca” di Ottorino Respighi

Venezia, Teatro Malibran, Lirica e Balletto, Stagione 2023-2024
“MARIA EGIZIACA”
Mistero in tre episodi, Libretto di Claudio Guastalla.
Musica di Ottorino Respighi
Maria FRANCESCA DOTTO
Il pellegrino/L’abate Zosimo SIMONE ALBERGHINI
Il marinaio/Il lebbroso VINCENZO COSTANZO
Un compagno MICHELE GALBIATI
Un altro compagno/Il povero LUIGI MORASSI
La cieca/La voce dell’Angelo ILARIA VANACORE
Una voce dal mare WILLIAM CORRÒ
Danzatrice MARIA NOVELLA DELLA MARTIRA
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Manlio Benzi
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Light designer Fabio Barettin
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 8 marzo 2024
Assente da quasi settant’anni, Maria Egiziaca è tornata a Venezia. Il “mistero in tre episodi” di Ottorino Respighi e Claudio Guastalla, dopo il lontano debutto alla Fenice, nel gennaio del 1956, con la direzione di Ettore Gracis e la regia di Franco Enriquez, si rappresenta in questo periodo sul palcoscenico del Teatro Malibran, in un nuovo allestimento della Fondazione Teatro La Fenice. L’opera fu completata da Respighi il 30 luglio 1931 e pubblicata da Ricordi nello stesso anno. Eseguita per la prima volta alla Carnegie Hall di New York il 16 marzo 1932, in forma di concerto – sul podio il compositore, subentrato in extremis ad Arturo Toscanini, affetto da artrite al braccio destro–, la sua prima rappresentazione sulla scena si svolse al Teatro Goldoni di Venezia il 10 agosto 1932. Maria egiziaca rientra nella tendenza, vigente negli anni Venti, a rivisitare i testi medievali, talora senza possedere l’originalità di un D’Annunzio, di un Sem Benelli o di un Giovacchino Forzano. È il caso del librettista Claudio Guastalla, che attinse per il libretto alla Vita di S. Maria Egiziaca di Domenico Cavalca (1330) –, traendone un testo alquanto stucchevole, per l’eccesso di rime baciate, e infarcito di termini desueti, tanto da dover essere qua e là aggiornato, in occasione di questo allestimento, per renderlo più comprensibile. Essenziale, ma pregnante la messinscena ideata da Pier Luigi Pizzi, orgoglioso di dar voce ad una donna, che assurge alla santità anziché morire accoltellata, come troppo spesso ci riporta la cronaca. Il regista utilizza uno scarno apparato scenico (una nave, la Croce e poco altro), che, al pari dei costumi – Maria indossa una tunica verde e poi una tunica bianca, come quella del Pellegrino/Zosimo; i Marinai sono coperti da sobri costumi neri – coniuga semplicità ed eleganza, mettendo in primo piano il viaggio iniziatico della protagonista, che si svolge di pari passo con la mortificazione della carne: inizialmente contraddistinta da una sfrontata bellezza, Maria alla fine appare impietosamente vecchia, con il corpo consumato da quarant’anni di digiuno nel deserto. Il trittico ci consegna tre momenti diversi, visualizzati anche attraverso delle immagini, che appaiono su uno schermo a led, esplicitando luoghi e simboli evocati dalla musica: il mare, il deserto, la selva di croci, che fa da sfondo alla morte di Maria. Il regista vede nella protagonista una donna libera: anche quando è una meretrice, che vende il proprio corpo, non lo fa solo per denaro, ma anche per rendere possibile la propria redenzione; il che costituisce l’aspetto più toccante e singolare del personaggio, che ha come tante altre sante un rapporto erotico con Dio. Attenta ed approfondita è risultata la lettura di Manlio Benzi, che è riuscito a ricondurre ad unità l’eclettismo della musica di Respighi che, se guarda all’antico – dal canto gregoriano a Monteverdi –, non trascura l’esempio dei contemporanei. La sua concertazione ha messo in valore la ricchezza della partitura, che assegna ad ogni episodio la sua particolare tinta musicale e drammaturgica: il primo episodio – dove Maria è una femme fatale – comincia con una pagina di stampo modale, ma nel prosieguo ricorrono echi stravinskiani, mahleriani, debussyani; nel secondo – che vede Maria acquisire la consapevolezza del proprio peccato – la musica richiama inizialmente certe durezze di Stravinskij e di Hindemit, ma poi la vocalità di Maria, dispiegandosi in ariosi, si fa più calda; nel terzo – in cui si compie il percorso di redenzione della protagonista – la musica si fa più trasparente e lirica, culminando nel grande duetto finale tra Maria e Zosimo, che ricorda alcuni finali straussiani. Il direttore ha brillato negli straordinari “intermedi” strumentali, tra un episodio e l’altro: nel primo, che potremmo definire “marino”, in quanto esprime suggestioni legate al viaggio per mare, fino allo scatenarsi di una tempesta e al suo placarsi; nel secondo, all’inizio estremamente drammatico, ma poi più sereno, ad indicare la trasfigurazione di Maria. Quanto alle voci, Francesca Dotto ha pienamente convinto nel ruolo assai complesso – e in “divenire” – della protagonista, dimostrando un ragguardevole carisma a livello musicale, vocale e scenico: timbro puro ed omogeneo, emissione potente, perfetta aderenza al testo nel declamato drammatico come nelle espansioni liriche, icastica gestualità. Espressivo Simone Alberghini nei panni del Pellegrino e dell’Abate Zosimo, dando prova nel complesso di una buona tenuta vocale e affrontando dignitosamente il duetto finale con la protagonista. Positiva la prestazione di Vincenzo Costanzo (sospiroso Marinaio, nella canzone d’apertura, e poi umile Lebbroso), come quella di Michele Galbiati (Un compagno), Luigi Morassi (Un altro compagno/Il povero), Ilaria Vanacore (La cieca /La voce dell’Angelo) e William Corrò (Una voce dal mare). Encomiabile per fraseggio e compostezza stilistica il coro – collocato in loggione e diretto da Alfonso Caiani – soprattutto nel finale, intonando il mistico “Laudato sii, Signore!”. Sensuale la danzatrice Maria Novella Della Martina nei suoi interventi durante i due “Intermedi”. Calorosi applausi per tutti, in particolare per la protagonista.