Don Carlo è fiacco

Scala: delude l'allestimento firmato da Stein

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Giuseppe Verdi
17 Gennaio 2017
Questo Don Carlo scaligero (edizione italiana in cinque atti senza i balletti) lascia un po' con l'amaro in bocca per mancanza di vigoria. Myung-Whun Chung sul podio è straordinario per precisione, capacità di analisi, cura dei colori e della trasparenza. I momenti orchestrali che aprono gli atti sono una meraviglia assoluta, segnatamente il "concerto" per violoncello al quarto. Ma è forse questa attenzione estrema a fiaccare il nerbo drammatico che sostiene l'intera opera. Bravi Francesco Meli nel ruolo del protagonista e Krassimira Stoyanova in quello di Elisabetta. Come pure Ferruccio Fullanetto che ha consolidato anni di esperienza come dolente e fragile Filippo II. Meno convincente Ekaterina Semenchuk (Eboli) e ancor meno Simone Piazzola (Posa), perché cantare correttamente in Don Carlo non è sufficiente. Dalla generale fiacchezza non a caso si salva il finale di Elisabetta e il suo incontro con Carlo perché qui siamo in zone ultraterrene. Come pure "Ella giammai m'amò" e lo sarebbe anche lo scontro col Grande Inquisitore, se Eric Halvarson fosse più propenso alle linee melodiche che al recitar rabbioso. Del risultato generale deludente è senza dubbio responsabile la regia di Peter Stein, piuttosto banale, che si avvale dei bei costumi di Anna Maria Heinreich e delle scene di Ferdinand Wögerbauer, parecchio ovvie e dai colori pastello che presentano una Spagna solare, del tutto estranea alle cupezze tombali dell'Escurial. Tutto sommato si è avuta l'impressione di una messa in scena realizzata con la mano sinistra (la produzione è del Festival di Salisburgo 2013), con poca attenzione ai movimenti sul palco: i cori schierati in primo piano, i duetti fossilizzati in proscenio, eccetera. La scena davanti alla cattedrale di Valladolid ospita notabili in costumi pittoreschi da ogni parte dell'impero dove non tramonta mai il sole, con perfino qualche Inca sopravissuto, ma è poco adatta a un'autodafé. Insomma idee piuttosto convenzionali e didascaliche. Per chiarire quelle dello spettatore Stein nel secondo atto ha consigliato al frate di far intravvedere sotto il cappuccio la corona di Carlo V, sicché quando appare tutto laccato d'oro nel finale non è nemmeno un coup de théâtre. Comunque lo spettacolo è stato ben accolto dal pubblico, nonostante le defezioni dopo il terzo e il quarto atto, che hanno lasciato parecchie file vuote in platea, e nonostante Peter Stein non si sia presentato a fine serata a ringraziare. Forse hanno qualche fondamento le voci di un rapporto poco idilliaco con Myung-Whun Chung.

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