Berlino, Deutsche Oper: “Faust”

Berlino, Deutsche Oper, Stagione lirica 2016/2017
“FAUST”
Dramma lirico in cinque atti su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, tratto dall’omonimo lavoro di Johann Wolfgang von Goethe.
Musica di Charles Gounod   
Faust  ABDELLAH LASRI
Méphistophélès ILDEBRANDO D’ARCANGELO
Marguerite HEIDI STOBER
Valentin JOHN CARPENTER
Siebel  IRENE ROBERTS
Wagner  PHILIPP JEKAL
Marthe FREDRIKA BRILLEMBOURG
Orchestra e Coro del Deutsche Oper di Berlino
Direttore Jacques Lacombe
Direttore del coro Thomas Richter
Regia Philipp Stölzl
Costumi Ursula Kudrn
Luci Ulrich Niepel   
Berlino, 10 marzo, 2017  
Ci sono registi tedeschi la cui invettiva è talmente ingegnosa da correre il rischio di divenire incoerente con la trama di un’Opera. E c’è poi Philipp Stölzl, che rispetto ai suoi contemporanei fa un passo in avanti, fornendo tutto sommato un filo logico alla vicenda. Il regista bavarese dopo il Parsifal è tornato ancora una volta al Deutsche Oper di Berlino, con un Faust di Gounod che sembra sia uscito fuori da un videoclip musicale della cantante pop Madonna. Certamente bizzarro, ma di quello strambo che potrebbe fornire “ad alcuni” spunti e vedute insolite sui paesaggi cupi tedeschi, nei quali tradizionalmente si svolge la vicenda. Stölzl, immagina il tutto, infatti, nell’ipotetica America super fantastica degli anni cinquanta che ha generato, secondo il regista, degenerazione morale e corruzione. Dove il consumismo pone le sue radici. L’osteria dove è ambientato il secondo atto, si trasforma così in un fast food, e Marguerite è qui un’umile cameriera, le sarebbero mancati solo dei pattini a rotelle e un vassoio con bottiglie di coca cola e hamburger. Valentin è un soldato che prima di partire decide di farsi tatuare il nome dell’adorata e angelica sorella sulla schiena. Faust è un anziano dalle precarie condizioni di salute, tenuto in vita dalle macchine. Mefistofele, un uomo affascinante, in frac, dal petto nudo e tatuato, che ammalia e conquista tutte le ragazze che hanno la sfortuna di fare la sua conoscenza. Una regia certamente etichettabile come “anti conformista”, ma tutto sommato a tratti coerente con il fulcro dell’opera stessa, ovvero la vicenda d’amore tra il dottor Faust e Margurite. Pur tenendo fede alla profondità del dramma goethiano, infatti, Gounod si concentrò nel delineare principalmente i tratti caratteristici di una comune, comunissima storia d’amore che a prescindere dall’intervento diabolico di Mefistofele, sarebbe stata già di per sé complicata. E così fece, ed è forse anche grazie a questo che il suo Faust divenne nel tempo così popolare e adatto al gusto di una variegata fascia di pubblico, ovviamente in accordo allo stile sfarzoso del Grand Operà francese, colmo di danze, cori, sfarzo e colori. Stile che il regista questa volta sembra voler riproporre in chiave moderna, ma senza danza. Anzi, all’opposto, con personaggi immobili come statue che compaiono girando su di un rullo sulla scena, come se avessero anch’essi qualcosa da raccontare. Una grave pecca è tuttavia ascrivibile a questa regia: il finale. Marguerite, infatti, sembra non venir perdonata dalle forze celesti, ma morire con una puntura letale in carcere, dopo essere stata accusata della morte del fratello. Jaques Lacombe, ha diretto quest’opera con precisione, ma senza concentrarsi troppo sulla componente romantica e sognante della musica di Gounod, a partire dalle prime note dell’Overture. Di gran classe è invece, Ildebrando D’Arcangelo, il suo è un Méphistophélès dalle grandi doti sceniche oltre che vocali. E stupisce il come, questo bravo basso, abbia una dizione impeccabile in qualsiasi lingua egli si trovi a dover cantare.  La sua è una voce tecnicamente ben gestita, solida in tutta la tessitura, motivo per il quale il ruolo di Méphistophélés sembra fatto proprio su misura per le sue corde. Cominciando dal Le veau d’or  ( Il Vitello d’oro) del secondo atto. Ed ancora una volta sono i personaggi più narcisistici che meglio a lui si confanno, come Don Giovanni e Dulcamara, forse complici le sue qualità fisiche, oltre che canore, che attraggono sempre una vasta fascia di pubblico femminile. Il giovane soprano  Heidi Stober (Marguerite) ha voce un po’ leggera ma gradevole, duttile ed è una buona interprete. La sua è sicuramente ancora una voce in crescita che in futuro potrebbe riservarci gradevoli sorprese. Interessante il tenore marocchino Abdellah Lasri (Faust). La sua è una voce da tenore lirico e sarebbe potuta essere un’esecuzione perfetta, anche se nella tanto attesa “Salut”, è incianpato in una brutta emissione sul finale della cavatina. Nel complesso però il giovane è da considerarsi come promettente. Piuttosto rozzo il Valentine del baritono John Carpenter. Certamente il suo ruolo non è in sé tra i più vocalmente di rilievo dell’opera, ma la musica di Gounod necessita di una padronanza delle mezzevoci e degli acuti. Bravo invece il mezzosoprano Irene Roberts, in Siébel. Corretta la Marthe di Fredrika Brillembourg. Un Faust che dimostra tutto sommato di mantener quanto meno, a tratti, un filo logico e coerente con il libretto, anche se a dirla tutta si poteva certamente fare di meglio.