Recensioni - Opera

Scala: Ariadne a Naxos fra opera e teatro

Il Teatro alla Scala ripropone uno dei capolavori di Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal per riflettere sul rapporto fra vita, opera e teatro

Ritorna alla Scala dopo solo tre anni un nuovo allestimento di “Ariadne auf Naxos” di Richard Strauss per la regia di Sven-Eric Bechtolf e la direzione musicale di Michael Boder.

Ariadne è ormai considerato unanimemente uno dei capolavori del compositore bavarese ed è solidamente in repertorio nei maggiori teatri europei. In realtà l’opera era nata come appendice del “Borghese Gentiluomo” di Moliere, messo in scena nel 1911 dalla compagnia di Max Reinhardt, fra i registi più innovatori del sistema teatrale all’inizio del novecento. L’opera in un atto doveva essere un pastiche offerto da Monsieur Jourdain ai suoi ospiti al posto della turcheria finale prevista da Moliere.

Questa commistione fra prosa e opera andrà in scena a Stoccarda nel 1912 senza particolare successo. Lo stesso Strauss scriverà: “La bella idea di passare dalla più sobria commedia in prosa al puro godimento musicale non aveva dato buona prova nella pratica: in parole povere un pubblico che va a uno spettacolo di prosa non vuole ascoltare un’opera, e viceversa”. Sarà successivamente il librettista Hugo von Hofmannsthal a convincere Strauss a riproporre il lavoro qualche anno dopo con un prologo in musica di suo pugno. Così nasce l’attuale versione dell’opera che vedrà la luce a Vienna nel 1916, per restare poi stabilmente in repertorio nei teatri di lingua tedesca.

Dopo i grandi successi di Salome e di Elektra, con cui inizia la fondamentale collaborazione con Hofmannsthal, Strauss intraprende un’indagine sul teatro e teatralità, su essere e apparire, che sfocerà nel suo capolavoro “Der Rosenkavalier” e successivamente nell’Ariadne, in cui la riflessione fra verità e finzione teatrale viene sviscerata con descrizioni illuminanti e caustica ironia. Le manie degli attori e dei cantanti vengono messe alla berlina, la pretenziosa aurea romantica dell’artista viene demolita dai prosaici accadimenti della vita, per cui il mecenate che paga l’opera Ariadne pretende che la stessa sia eseguita insieme alla farsa dei comici italiani e senza che il tutto duri un minuto di più, poiché alle nove precise è previsto uno spettacolo di fuochi d’artificio.

Il cambiamento rispetto alla dabbenaggine di Monsieur Jourdain non è da poco. Se il primo è essenzialmente una macchietta comica che organizza la fusione fra pezzo drammatico e pezzo comico per ignoranza, il secondo, cioè il mecenate moderno dell’opera, mostra un’arroganza e un disinteresse per le esigenze dell’arte che fanno riflettere e gettano una luce sinistra sul rapporto, ben conosciuto da Strauss, fra arte e denaro. Nel prologo dell’Ariadne infatti la questione economica viene più volte sottolineata e si pone in caustico contrasto con le pure e magniloquenti aspirazioni artistiche del poeta. Ritorna dunque il dilemma fra arte pura mutuata dall’idealismo romantico e “arte mestiere”, ben incarnata dai comici italiani incaricati di mettere in scena la farsa, che, abituati all’improvvisazione, non fanno una piega davanti ai cambiamenti imposti dalla committenza.

Tutta la seconda parte, l’opera “Ariadne” vera e propria, si sviluppa dunque dallo scontro fra queste due visioni artistiche, con la prima donna che interpreta Ariadne sempre tutta compresa nell’alto ufficio della sua arte e, di contro, i lazzi e le acrobazie vocali dei comici italiani, per cui la tragedia non esiste e ogni pretesto è buono per una serenata o un pezzo buffo. Opera acutissima dunque questa di Strauss e Hofmannsthal in cui il libretto, un capolavoro di meta teatralità, fa da supporto ad una musica moderna e coltissima, densa di ampi riferimenti al leitmotiv wagneriano e agli stilemi sei e settecenteschi. Una commistione accurata di musica e parola che troverà il definitivo compimento in quel piccolo capolavoro che sarà “Capriccio” del 1942, in cui Strauss affronterà il capitolo finale dello sviluppo del teatro musicale europeo, riassunto nella questione eterna e irrisolta: “Prima la musica, o prima le parole?”.

Sven-Eric Bechtolf affronta la messa in scena in modo sostanzialmente prudente e illustrativo. Ambienta la vicenda del prologo con vaghi richiami agli anni venti del novecento, iscrivendo l’azione prima in un’ampia sala con tanto di vetrata su un verdeggiante giardino, che poi si trasforma in un camerino da trucco degli attori. (Le scene sono di Rolf Glittenberg) L’azione è condotta con garbo e sicurezza senza però essere mai veramente incisiva e perdendosi negli spazi forse concepiti in maniera troppo ampia. La seconda parte con l’opera Ariadne è invece ambientata con un curioso espediente meta teatrale, infatti sullo sfondo di una scena in cui la desolazione dell’isola di Ariadne è evocata da due pianoforti distrutti, troviamo una platea in cui si accomodano i pochi spettatori e il committente dell’opera. Il pubblico dunque guarda lo spettacolo, che si svolge a favore della “vera” platea, e contemporaneamente guarda il finto pubblico che a sua volta guarda lo spettacolo di spalle. Potrebbe essere un’idea vincente, una specie di corto circuito meta teatrale, in realtà alla lunga la cosa non risulta particolarmente efficace e la finta platea perde di pregnanza a favor dello svolgimento vero e proprio.

Quest’ultimo è condotto in maniera spigliata, tentando di dare brillantezza al gruppo di comici italiani, creando un efficace contrasto con l’immobilità e l’abbigliamento funereo di Ariadne (Costumi di Marianne Glittenberg), tuttavia le trovate risultano spesso fini a sé stesse e il contrasto fra i comici e la parte seria del dramma non è mai sviluppata fino in fondo. Nel finale, con l’arrivo di Bacco, scendono dall’alto numerosi e luminosi lampadari in vetro e l’opera finisce con una “posa” d’insieme invero non particolarmente originale. Insomma un prodotto professionale, ma senza sprazzi di particolare inventiva e con una lettura sostanzialmente didascalica del libretto.

Michael Boder dirige in modo convincente e con particolare attenzione ai cantanti la densa partitura. Nel ruolo recitato dell’Haushofmeister troviamo l’attore tirolese Georg Bloéb, che ci da una lettura non convenzionale del maggiordomo, con molti tic e svariate gag di bella efficacia. Markus Werba, completamente a suo agio in questo repertorio, ci regala un Musiklehrer di gran lusso. Il Compositore è ben interpretato da una spigliata Sophie Koch, con solo qualche asprezza di troppo nel registro acuto. Krassimira Stoyanova si difende bene e con grande intensità nel complesso e spesso ingrato ruolo della Primadonna/Ariadne. Grande successo di pubblico per la Zerbinetta del soprano americano Erin Morley, che snocciola le colorature della sua impervia aria con grande sicurezza, ottenendo un profluvio di applausi dal pubblico scaligero. Molto spigliata e simpatica in scena, disegna un personaggio completo e accattivante. Stephen Gould incarna un Bacco stentoreo, dall’importante e tesa vocalità, risolvendo con l’esperienza qualche lieve incertezza vocale. Nel numeroso cast si segnalano poi l’Harlekin del baritono Samuel Hasselhorn, che ben si fa valere nella sua serenata e il Brighella del tenore Pavel Kolgatin, che sfoggia una voce adamantina e ben proiettata. Ottime anche Najade, Dryade ed Echo, rispettivamente Caterina Sala, Rachel Frenkel e Olga Bezsmertna.

Scala di nuovo affollata e con molti turisti e ospiti stranieri. Molti applausi nel finale per tutti gli interpreti.

Raffaello Malesci (3 Maggio 2022)