Chi ha ucciso Marie? 

Riuscito allestimento di Robert Carsen di Die tote Stadt alla Komische Oper di Berlino 

Recensione
classica
Komische Oper di Berlino 
Die tote Stadt (La città morta) 
30 Settembre 2018 - 28 Gennaio 2019

Perché Paul si è rinchiuso nel suo personale “tempio dei ricordi”? Solo per il ricordo dell’amata Marie? E perché Paul non l’ha detto nemmeno al suo amico Frank della sua morte? Ma soprattutto come è morta Marie? Qualcuno l’ha uccisa? Sembra voler indossare i panni dell’investigatore, Robert Carsen alle prese con le molte tracce irrisolte del caso La città morta. Ci auguriamo di non rovinare la sorpresa a nessuno rivelando che in questa produzione della Komische Oper di Berlino, che si fa gustare come un ottimo giallo di tempi lontani, non è la tradizionale chiave del sogno ma quella del delirio omicida che finisce come deve ossia con il colpevole consegnato alla giustizia o almeno allo psichiatra. E almeno questa volta il maggiordomo non c’entra. La confezione è elegantissima, il tono glamorous e le divagazioni in generi diversi denunciano un gusto molto cinematografico come quella scena, mobilissima, disegnata da Michael Levine che, con la complicità delle magiche luci di Peter van Praet e dello stesso Carsen, smonta quella camera da letto coniugale algidamente ordinata per farne teatro delle situazioni più disparate, dal musical hollywoodiano superglitteroso alla processione strapaesana con moltitudine di madonne aureolate di LED portate a spalla. 

La colonna sonora è naturalmente quella scintillante e mobilissima di Erich Wolfgang Korngold, pluripremiato con l’Oscar e inventore di formule spettacolari infallibili che sopravvivono ancora oggi. A Berlino è il direttore musicale della casa, il lituano Ainārs Rubiķis, a tuffarsi dentro quel mare di suoni senza timore di sporcarsi con il kitsch che sovrabbonda in quella esplosione di decadentismo da vetrina chic, in quegli esasperati puccinismi vocali e nel gusto per la melodia da operetta. Spinge senza freni l’orchestra del teatro a liberare colori e umori e volumi, perché Korngold così impone. Dopo lo Šostakovič della scorsa stagione, anche in questo titolo di umori del tutto diversi Rubiķis conferma la vocazione di questo giovane talento direttoriale per le molte lingue musicali del Novecento. Un nome da seguire. 

 

Infine, il cast vocale, il terzo punto di forza di questa produzione. Quasi tutto il peso di quest’opera poggia sulle spalle dei due protagonisti. A misurarsi con la vocalità esasperata di Paul è il ceco Aleš Briscein e se la cava bene anche sul piano scenico, malgrado l’alto standard imposto dalla cura di Carsen. Marietta (o Marie?) è invece l’americana Sara Jakubiak, una conferma dopo il suo altro recente Korngold alla Deutsche Oper, ma qui vera rivelazione anche per la versatilità che dimostra come inafferrabile oggetto del desiderio. Comprimari di spessore sono Günter Papendell, che disegna un Frank distaccato e introverso ma intonato alla chiave carseniana, e Maria Fiselier, una Brigitta compassionevole e empatica. Completano il cast il brillante trio dei bons vivants di Marta MikaAdrian Strooper e Ivan Turšić, i ballerini nelle pertinenti coreografie in stile hollywoodiano di Rebecca Howell e il duttilissimo coro della Komische Oper. 

Accoglienza calorosa come dallo scorso settembre, quando lo spettacolo ha debuttato, e che, ne siamo certi, si ripeterà fino al prossimo gennaio e nella probabile lunga vita di questa ennesima produzione carseniana di successo. 

 

 

 

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Piace l’allestimento di McVicar, ottimo il mezzosoprano Lea Desandre

classica

A Bologna l’opera di Verdi in un nuovo allestimento di Jacopo Gassman, al debutto nella regia lirica, con la direzione di Daniel Oren

classica

Napoli: il tenore da Cavalli a Provenzale