La folle giornata nella vita di Karl Marx 

A Bonn la nuova opera Marx in London di Jonathan Dove su libretto di Charles Hart 

Marx in London
Marx in London
Recensione
classica
Theater Bonn
Marx in London
09 Dicembre 2018 - 14 Febbraio 2019

I numerosi anni trascorsi da Karl Marx a Londra furono tutt’altro che felici, segnati da numerose morti di congiunti e da una condizione che, se non fu di indigenza, fu solo grazie al generoso sostegno del fedele amico Friedrich Engels. Con una scelta francamente singolare a quegli anni il compositore Jonathan Dove e il librettista Charles Hart (quello del Phantom of the Opera) dedicano la loro ultima opera Marx in London commissionata in occasione del bicentenario della nascita del filosofo dal Teatro di Bonn, che incidentalmente è la città dove Marx iniziò nel 1835 gli studi giuridici. La singolarità sta nella scelta degli autori di fare “a comedy”, una commedia aristotelicamente costruita su una sola folle journée, che è quella del 14 agosto 1871, ossia l’anno della formazione dell’Impero tedesco e di Otto von Bismarck cancelliere ma anche della fine dell’esperimento rivoluzionario della Comune di Parigi. La grande storia però c’entra davvero poco nel frenetico plot, che invece ravana a piene mani nell’aneddotica gossipara legata al personaggio, insistendo sui molti vizi pubblici e sulle scarsissime virtù domestiche con la profondità di una cartolina illustrata. 

La grana grossa dell’humor davvero poco inglese del testo viene a galla continuamente e a poco serve qualche tirata sentimentale o socialmente impegnata (ci stanno pure un coro degli oppressi che spera nel sol dell’avvenir e un’aria solenne di Marx sul suo Capitale) per dare spessore alle macchiette che animano la farsa. Dunque, Karl Marx ne viene fuori come un cialtrone fedifrago, che predica la rivolta delle masse contro il capitale ma cerca di fermare i pignoratori del mobilio di famiglia con le solenni parole: “Proletari di tutto il mondo! Temo si sia fatta un po’ di confusione …”. La moglie Jenny von Westphalen combatte i fantasmi del passato di preferenza a colpi di gin e descrive il marito come “l’alfa e l’omega delle mie torture”, salvo poi riappacificarsi rapidamente con lui quando Engels riscatta i mobili dal banco dei pegni. La smagatissima figlia Jenny “Tussy” Marx vive l’idillio con l’impacciato Freddy (al secolo Henry Frederick Demuth), che, con un classico coup de théâtre, la governante di casa Marx, Helene Demuth, rivela essere frutto di una sua scappatella di gioventù col filosofo fedifrago. E poi ci sono una spia del Kaiser su una macchina volante a pedali che sembra uscita da un romanzo di Jules Verne, un anarchico italiano Signor Melanzane (sic!) che non inaspettatamente causa manifesta cialtroneria fallisce il colpo mortale indirizzato a Marx, una coppia di poliziotti che sembrano usciti da una rivista d’antan e così via per cercare di tirare le due ore che fanno serata.

L’inguacchio pseudo-marxiano non risulta esageratamente indigesto soprattutto grazie allo spettacolo firmato da Jürgen R. Weber, che il programma accredita come autore del soggetto e che verosimilmente più fedele allo spirito originario. Lo spettacolo gioca la carta del surreale ed è ricco di invenzioni visive semplici ma efficaci, come quella Londra astratta in piena frenesia industrialista che sbuffa vapore dai muri come nebbia insistente ed è animata da figurine colorate come in un musical del West End (le scene e i costumi sono di Hank Irwin Kittel). 

Con sovrana superiorità sull’insipienza del libretto, Jonathan Dove riesce a costruire una partitura a numeri chiusi come nelle opere del passato (per tacere di Stravinskij), accattivante come un musical ma con un linguaggio musicale più elevato, che guarda al scintillante sinfonismo di certi blockbuster made in Hollywood quando non alle martellanti cellule tematiche ripetute alla Philip Glass. Dimostra soprattutto una maestria nell’orchestrazione che, nel modesto contesto, rischia di apparire fuori misura. E va dato atto al direttore David Parry di aver fatto un ottimo lavoro con la Beethoven Orchesterper restituire all’ascolto la ricchezza timbrica della scrittura di Dove. In pari misura vanno elogiati davvero tutti i numerosi interpreti, a cominciare dalla coppia dei protagonisti Mark Morouse, un Karl Marx con criniera leonina e barba da profeta come vuole l’iconografia ufficiale, e Yannick-Muriel Noah, una Jenny di spessore malgrado tutto. Marie Heeschen è una Tussy che sa andare al di là delle classiche bollicine da soubrette, e Christian Georg è un Freddy che fa credibilmente il classico innamorato nonostante la doccia fredda della fatale agnizione di Ceri Williams, un’Helene che conosce le cose del mondo. A questi si aggiunge anche la buona prova del coro. 

Pubblico numeroso, poche risate (e qualche abbandono anzitempo) ma applausi copiosi. Si replica fino a febbraio e poi (forse) alla Scottish Opera nella prossima stagione. 

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