L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Piccolo grande Hoffmann

 di Irina Sorokina

Pieno successo per la ripresa dello spettacolo firmato da Christoph Marthaler coprodotto con Madrid che aveva fatto discutere al suo debutto a Stoccarda. Merito anche di un'ottima compagnia di canto.

STOCCARDA, 8 marzo 2019 - A distanza di quasi centoquarant’anni dalla morte (1880), Jacques Offenbach rimane una delle figure più affascinanti del panorama musicale europeo ottocentesco. Ebreo, di cui si discute il luogo di nascita (Colonia o Offenbach?), figlio di un cantore di sinagoga divenuto uno dei simboli del Secondo Impero grazie alla creazione delle operette dallo spiccato spirito satirico, artista dall’animo sensibilmente romantico che lo portò alla creazione dell’opera Les contes d’Hoffmann, rimasta incompiuta.

Una figura tanto affascinante quanto insolita. Si raccontava che era solito suonare il violoncello coperto soltanto dalla pelliccia, che aveva un cane chiamato Klein Zach in onore di un personaggio hoffmaniano nominato nella sua opera, che nel giorno del suo funerale il tempo fu brutto, pioveva, ciò nonostante dietro il carro funebre del “Petit Mozart des Champs Elysées” camminarono tutti i più celebri compositori francesi dell’epoca, Charles Gounod, Jules Massenet, Ambroise Thomas, Camille Saint-Saёns e addirittura il gravemente malato Charles Lecocq, senza parlare del Johann Strauss junior, arrivato da Vienna. Si disse, che la folla si disperse a causa della pioggia, ma Strauss e la stella delle migliori operette d’Offenbach, Hortense Schneider, giunsero al cimitero.

Non vide mai la sua ultima creatura, Les contes d’Hoffmann, in teatro. Negli anni a venire la partitura subì diverse avventure e attualmente esiste in più versioni, tra cui la più collaudata rimane la Oeser del 1976.

Lo spettacolo andato in scena a Stoccarda in concomitanza alla Giornata Internazionale della Donna è la ripresa dell’allestimento coprodotto col Teatro Real di Madrid [leggi la recensione] ed approdato nella capitale di Baden-Württemberg. Per questa produzione, il direttore della prima a Stoccarda, Sylvain Cambreling, aveva lavorato su una nuova revisione della partitura, basandosi sui pezzi di musica ritrovati negli ultimi decenni. I numerosi amanti dell’opera erano privati del bellissimo settetto nell’atto di Giulietta che non appartiene alla penna di Offenbach (mentre era rimasto un altro apocrifo, l’aria del baritono Scintille diamant) e avevano avuto in cambio una preziosa possibilità di ascoltare la musica sconosciuta. Il regista svizzero Christoph Marthaler aveva collaborato con Cambreling a quest’operazione. Chi lo conosceva non era rimasto stupito per scelte adottate per l’allestimento di Madrid-Stoccarda, chi no, molto probabilmente, non era stato capace di accettarlo. E forse tra quest’ultimi c’erano ammiratori del capolavoro postumo d’Offenbach che difficilmente avevano riconosciuto l’amatissima opera.

Com’era prevedibile, la scenografa Anne Viebrock crea un ambiente unico, parecchio simile a quello di una più recente Sonnambula, nata sempre a Stoccarda e nel gennaio scorso approdata al Deutsche Oper di Berlino [leggi la recensione]. Uno spazio unico, uno stanzone o un hangar, se vogliamo, dalle linee essenziali e soffitto altissimo, ispirato dalla sala del Circulo de Bellas Artes a Madrid. Può essere qualsiasi cosa, e nella produzione dello Staatsoper Stuttgart assume la funzione di un atelier artistico (il Prologo), un manicomio (l’atto di Olympia), una sala prove teatrale (l’atto di Antonia) e alla fine una sala da biliardo (l’atto di Giulietta e l’Epilogo). Chi aspetta il lusso scintillante e l’atmosfera sensuale dell’atto veneziano rimane deluso: nulla sul palcoscenico accenna alla romanticissima città lagunare. La Viebrock firma anche i costumi di taglio moderno tra cui i suggestivi abiti color lilla per Antonia e Giulietta. Per quanto riguarda Christoph Marthaler, il regista svizzero ama le atmosfere cupe, inquietanti, desolate e addirittura isteriche, aiutato dalle luci lunari di Olaf Winter. Tali atmosfere, corrispondenti solo in parte alle storie raccontate dal grande compositore francese, penetrano l’intero allestimento che rivela i riferimenti chiari al movimento surrealista, tra cui la somiglianza dei quattro personaggi “cattivi” ad André Breton, con i suoi occhiali e il taglio dei capelli.

Non solo colori decisamente “dark”: lo spettacolo di Marthaler risulta sovraffollato e la messinscena eccessivamente convulsa. Nel Prologo ambientato in un atelier dove quattro modelle nude si alternano nelle pose varie e un’altra giace immobile su un sofà in proscenio, è presente un banco da reception, il coro maschile non interpreta i clienti abituali del locale di Luther, ma veri coristi diretti da una magra donnina vestita di nero. Ci sono anche camerieri che corrono come matti e alla fine crollano per terra dimostrando un’arte non indifferente nel cadere “comodi”. Un gruppo di curiosi o escursionisti circola per la sala capitanato da un uomo alto e magro in camice bianco che sembra un dottore. Hoffmann appare in accappatoio sopra la giacca e i pantaloni neri, assai informali.

L’atto di Olympia, ambientato in un manicomio, sembra ancora più sovraffollato e convulso .Spalanzani in abito bianco gira con un paio di telecomandi capaci non solo di accendere le luci in sala, ma di comandare tutto e tutti; Olympia spunta da un grande “tubo” con una porta; il coro si sposta in continuazione. L’atto di Antonia è eccessivamente scuro, nella sala di prove dove si esercita l’ambiziosa cantante le sedie sono raggruppate liberando spazio per un minuscolo palcoscenico, il luogo d’esibizione della fanciulla malata. L’atto di Giulietta si svolge in un'ampia sala da biliardo dove i tavoli verdi abbondano; vengono usati come sedie e come giacigli e tra di essi Hoffmann aggredisce Pitichinaccio.

Molto discutibile l’intervento di Stella (Altea Garrido, che firma le coreografie di quest’allestimento) che con l’aria severa di una saputella recita in spagnolo davanti ad un Hoffmann ormai completamente disperato Ultimatum, poesia di Fernando Pessoa del 1919; allunga lo spettacolo già molto esteso e c’entra nulla con le faccende del poeta romantico nell’interpretazione offenbachiana.

La ripresa dell’allestimento a Stoccarda presenta un grande cast tra cui spiccano due cantanti davvero eccellenti, il tenore brasiliano Atalla Ayan nel ruolo del titolo e il mezzosoprano Angela Brower in quello della Musa. Ayan che si esibisce nei migliori teatri europei e americani nei ruoli di Nemorino, Edgardo, il Duca di Mantova, Alfredo, Fenton, Rodolfo, Des Grieux, Lensky, sfoggia la voce appena un po’ opaca, non dal colore inconfondibile, ma salda e instancabile e gode di una personalità artistica tanto affascinante da permettergli di dominare decisamente la scena. Piccolo, attraente, iper romantico, raffinato, vibrante, nervoso, un ottimo attore, disegna un Hoffman molto credibile e simpatico, in preda all’ansia insopportabile a causa l’impossibilità di raggiungere l’ideale. La voce suona libera ed ardente e somiglia ad un flusso di lava, la tecnica vocale è solida e l’accento è impeccabile. La sua Musa-Niklausse, Angela Brower, colpisce profondamente sia dal punto di vista vocale sia da quello attoriale; possiede una voce che, senza alcuna esagerazione, può essere definita eccezionale per il volume enorme, la pienezza del suono, la bellezza del timbro, la morbidezza d’emissione, la padronanza della lingua.

A fianco del tenore e del mezzosoprano, due soprani: Lisa Morsten nella parte di Olympia e Olga Busuioc che interpreta sia Antonia sia Giulietta. La prima pure può essere definita un fenomeno vocale, è minuscola, ma quando apre la bocca è capace di spazzare via il numeroso pubblico comodamente seduto in poltrona, senza parlare di una tecnica stratosferica. Crea una bambola meccanica davvero esilarante, con qualche sfumatura di freddezza e follia. Olga Busuoic possiede una voce di soprano dal colore un po’ scuro e aspro che rende convincenti entrambi i personaggi, sia una fragile Antonia sia una manipolatrice Giulietta.

Il magnifico Adam Palka nei ruoli di quattro “cattivi”, Lindorf, Coppélius, Miracle, Dapertutto , “costretto” a essere sempre sul palcoscenico, emana una simpatia “dark” nel carattere elegante, ironico e brutale nello stesso tempo. Il suo strumento è davvero imponente, una voce ampia e ben proiettata, dal timbro affascinante. L’unica mosca nera nella botte di miele è la nota finale nell’aria Scintille diamant che si interrompe inaspettatamente e bruscamente dopo un grande godimento delle orecchie.

I bravissimi comprimari interpretano i numerosi ruoli di contorno, “rischiando” di rimanere indimenticabili al pari di un Ayan ed una Brower; Torsten Hofmann (Andrés/Cochenille/ Franz/ Pitichinaccio), Maria Teresa Ullrich (Voce della madre d’Antonia), Moritz Kallenberg (Nathanaёl), Pawel Konik (Hermann), Graham F. Valentine (Spalanzani), Andrew Bagard (Schlemihl), Matthew Anchel (Luther/Crespel). Il coro dello Stuttgart Stattsoper preparato da Bernhard Mancado, è noto per le sua qualità eccellenti e in questa produzione dà il meglio di sé.

Sul podio Marc Piollet crea sonorità dense e trasparenti, pesanti e leggere. La partitura dell’opera estrema del compositore-simbolo dell’operetta francese nell’interpretazione dell’orchestra dello Staatsoper Stuttgart da lui guidata affascina con migliaia di colori, tutti raffinatissimi.

Un successo pieno e sembra che nessuno lasci la sala com’era accaduto tre anni fa. Applausi a non finire non soltanto ai protagonisti, ma anche a tutto il reso del cast.


 

 

 
 
 

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