Napoli, Teatro di San Carlo: “Les contes d’Hoffmann”

Napoli, Teatro di San Carlo, Stagione d’opera e danza 2018/19
LES CONTES D’HOFFMANN”
Opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo su libretto di Jules Barbier, tratto da una pièce scritta nel 1851 assieme a Michel Carré.
Musica di Jacques Offenbach
Olympia MARIA GRAZIA SCHIAVO
Antonia NINO MACHAIDZE
Giulietta JOSÈ MARIA LO MONACO
Stella MICHELA ANTENUCCI
Hoffmann JOHN OSBORN
Lindorf / Coppélius / Dr. Miracle / Dapertutto ALEX ESPOSITO
Nicklausse / La Muse ANNALISA STROPPA
Andrès / Cochenille / Frantz / Pittichinaccio ORLANDO POLIDORO
Crespel ROBERTO ABBONDANZA
Spalanzani ENRICO COSSUTTA
Hermann / Schlémil FABIO ZAGARELLA
Nathanaël PASQUALE SCIRCOLI
Luther ENRICO DI GERONIMO
La mère d’Antonia FEDERICA GIANSANTI
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Pinchas Steinberg
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia Jean-Louis Grinda
Scene e luci Laurent Castaingt
Costumi David Belugou
Produzione Opéra de Montecarlo
Napoli, 24 marzo 2019

Il Teatro di San Carlo di Napoli celebra il bicentenario della nascita del compositore francese Jacques Offenbach, con Les contes d’Hoffmann, opéra-fantastique in un prologo, tre atti ed un epilogo, su libretto del poeta francese Jules Barbier, e tratto dall’omonima pièce, un dramma fantastico basato su tre racconti dello scrittore e compositore tedesco Ernst Theodor Amadeus Hoffmann. Non abbiamo una versione ultima e standard dell’opera, rimasta incompiuta per l’improvvisa morte dell’autore, avvenuta nell’ottobre del 1880. La première, infatti, poté svolgersi, il 10 febbraio del 1881, solo grazie al compositore Ernst Guiraud, che completò ed ordinò la partitura, ancora oggetto d’altre revisioni, elaborazioni e ricerche filologiche. Questa rappresentazione ha visto sul podio Pinchas Steinberg. La sua interpretazione verte essenzialmente su tre punti: la creazione d’una appropriata atmosfera sonora, la flessibilità dei tempi, che giocano un ruolo fondamentale, e la plasticità degli accompagnamenti, notevolmente amalgamati nel tessuto orchestrale. La nitidezza strumentale, dell’Orchestra del San Carlo, è emersa attraverso una prassi esecutiva contrassegnata da una costante eleganza, coerentemente messa a fuoco soprattutto attraverso la garbata sottolineatura delle frasi musicali, caratterizzate da una particolare lucentezza. Una esecuzione salda, compatta, a tratti robusta, che non cede in scontate soluzioni. Un suono autentico, dunque, colto, nobile. Una scelta interpretativa che, puntando alla formazione d’una sana corrispondenza tra buca e palcoscenico. L’opera onora l’essenziale suo impegno teatrale e rappresentativo attraverso l’ottima regia curata da Jean-Louis Grinda, con scene e luci create da Laurent Castaingt e costumi ideati da David Belugou. Questa esecuzione risulta essere un buon compromesso tra bellezza del suono e questo suo impiego mai fine a sé stesso, anzi utilizzato per la creazione della regia. La rappresentazione si sviluppa entro scene scarne, essenziali, minimaliste, fatte da tende toccate da luci dense ed espressioniste: dal rosso acceso, fattosi sfondo a elementi da operetta, ad un blu corposo, che accompagna le scene più melanconiche e romantiche. Le tende leggermente s’aprono, facendo intravedere lo sfondo occupato dai palchi del Grand Théâtre de Monte Carlo (da dove arriva la produzione), riprodotti su un pannello, magari ad illuderci d’essere osservati, attori e spettatori, da altri spettatori d’un altro mondo, forse parallelo. Tra automi e manichini, pendenti dal soffitto, la regia risulta essere elegante, mai sopra le righe, mai  grossolana e soprattutto intelligente, tanto da formare personaggi a tutto tondo, vestiti in raffinatissimi abiti in stile ottocentesco, dalle linee essenziali. Lo sguardo indagatore del regista punta all’osservazione della condizione dell’artista nella società, nostalgico dell’ormai tramontato mondo romantico e, pertanto, incapace di scendere a patti con la modernità (l’amore, successivamente sprezzato, per una donna che s’è svelata essere poi una bambola, ne è la cruda testimonianza). Dilaniato dalla sua brama d’ergersi a creatore e tormentato da un amore non ricambiato, però beata fonte d’ispirazione, l’artista soccombe e s’accontenta d’essere spettatore della fine della sua esistenza. Pertanto, particolarmente sobrie risultano le scene più passionali, avendo preferito indagare nella psiche del protagonista. Ciò avviene però senza distogliere lo sguardo dai vari elementi che compongono l’opera, perennemente in bilico tra operetta ed opéra-lyrique. Pieno successo per un ottimo cast. Il tenore americano John Osborn (Hoffmann) conferma le sue qualità timbriche freschezza della voce e proprietà stilistiche. Completamente padrone d’un fraseggio sempre elegante, risolve con estrema naturalezza scenica il ruolo. Convince per duttilità, omogeneità e pieno controllo della tessitura. Desta conferma della sua già nota bravura l’interpretazione del soprano napoletano Maria Grazia Schiavo (Olympia). Musicalissima e sempre elegante con destrezza controlla la  virtuosistica meccanicità del personaggio. Notevole appare anche l’interpretazione del basso-baritono Alex Esposito (Lindorf / Coppélius / Dr. Miracle / Dapertutto)  che riesce pienamente nelle sue “perfide” trasformazioni con naturale temperamento teatrale, perché supportato dall’ampiezza d’una voce salda, omogenea, sostenuta  da una sicurezza tecnica degna d’encomio. Analogamente mirabile appare l’interpretazione del soprano georgiano Nino Machaidze (Antonia). Dolce e appassionata, fa leva sull’intenzione espressiva più nascosta del suo ruolo e sull’ambiguità del suo sentimento con voce calda, omogenea, contrassegnata da una densa pastosità timbrica. Prova positiva anche per il mezzosoprano Josè Maria Lo Monaco una Giulietta dalla voce ricca, sensuale e drammatica.  Ottima, per sicurezza vocale e scenica, Annalisa Stroppa (Nicklausse / La Muse). Prove positive anche per Michela Antenucci (Stella), Orlando Polidoro (Andrès / Cochenille / Frantz / Pittichinaccio), Roberto Abbondanza (Crespel), Enrico Cossutta (Spalanzani), Fabio Zagarella (Hermann / Schlémil), Pasquale Scircoli (Nathanaël), Enrico Di Geronimo (Luther), Federica Giansanti (La mère d’Antonia). Ottimo anche l’apporto del Coro, preparato magistralmente da Gea Garatti Ansini. Alla fine, lunghi applausi per una messinscena che ha destato curiosità soprattutto tra i giovani, magari attratti dal titolo abbastanza desueto per le nostre scene. Foto Francesco Squeglia