L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La Gioconda, o della geometria 

di Irina Sorokina

Rinasce, e piace sempre più, l'allestimento di Pierluigi Pizzi che debuttò all'Arena di Verona nel 2005 e al fascino visivo si accompagnano due compagnie di canto di tutto rispetto che trascinano l'entusiasmo del pubblico: Irene Théorin, Anna Pirozzi, Dolora Zajick, Ketevan Kemoklidze, Maria José Montiel, Agostina Smimmero, Brian Jadge, Stefano La Colla, Gabriele Viviani, Luis Salinas, Ildebrando D'Arcangelo, Carlo Colombara nei ruoli principali.

Il tempo della Gioconda? A dire il vero, il capolavoro di Amilcare Ponchielli (1876), è l’unica opera “sopravvissuta” ai tempi del dominio del grande Giuseppe Verdi. Gode una certa popolarità anche nei nostri giorni grazie a un’azione serrata, capace di coinvolgere il pubblico (testo di Tobia Gorria, anagramma di Arrigo Boito che diventerà librettista dei capolavori del Verdi maturo, Otello, 1887, e Falstaff , 1893) e a una grande quantità di bellissima musica tra cui alcuni veri hit ("Cielo e mar! "per tenore e "Suicidio!" per soprano), senza parlare della celebre Danza delle ore.

A Gabriele D’Annunzio va il merito di aver definito la caratteristica più acuta ed espressiva di Un ballo in maschera verdiano: “Il più melodrammatico di tutti i melodrammi”. Ci vuole poco per capire che la frase funziona ancora meglio se si pensa alla Gioconda, simile a un cocktail BloodyMary in versione musicale: il libretto presenta tutti i motivi tradizionali del melodramma ottocentesco, amore, odio, gelosia, vendetta, sacrificio, omicidio e suicidio. Il capolavoro di Ponchielli da sempre è un bocconcino appetitoso per cantanti a cui l’autore regalò tante arie belle ed orecchiabili, senza parlare del declamato espressivo e dell’orchestrazione dai colori variopinti.

L’anno scorso La Gioconda era apparsa sui palcoscenici dei teatri dell’opera dell’Emilia Romagna, ottenendo un notevole successo [leggi la recensione], adesso viene proposta a Barcellona. L’allestimento di Pier Luigi Pizzi che viene rappresentato al Liceu, non è nuovo; è coprodotto dall’Arena di Verona, il Gran Teatre del Liceu e il Teatro Real di Madrid. Inaugurò l'83° Festival lirico dell’Arena di Verona nel 2005, senza riscuotere un grande successo, e sono tante persone che lo ricordano ancora, anche grazie alla partecipazione della gloria nazionale Roberto Bolle nella Danza delle ore.

L’idea dell’ormai mitico Pier Luigi Pizzi per l’Arena di Verona fu una poetica “ricostruzione” dell’ambiente veneziano d’inverno. Messo in pratica, sembrò non del tutto efficace; i tre tipici ponti veneziani occuparono lo spazio troppo grande e ciò limitò i movimenti del coro e le comparse. Gli effetti scenici, necessari per far funzionare il gioco in Arena, mancarono quasi del tutto; l’unica cosa che colpì l’immaginazione fu l’incendio del brigantino di Enzo. Il maestro provò di aprire la scatola chiamata Gioconda con una chiave tutta sua. La città lagunare apparì grigia, fredda e umida, insomma, una Venezia invernale, penetrata da tristezza, decadenza, presentimento di morte. I ponti grigi, le gondole che scivolavano nell’acqua contribuirono alla creazione di un’atmosfera ansiosa e la presenza dei cipressi parlò apertamente della morte imminente. Una Venezia alla vigilia della fine dove il male trionfa e quasi tutti sono destinati a morire.

A distanza di quattordici anni l’allestimento del grande designer e il vero demiurgo dell’opera dimostra un’evidente evoluzione. Appare molto più compatto grazie alla riduzione delle scenografie e più dinamico grazie alla vivace partecipazione del coro, delle comparse e dei ballerini. L’adattamento al teatro al chiuso giova decisamente allo spettacolo di Pizzi. L’architetto di formazione dimostra il suo talento e lo stile personale anche nei movimenti delle masse, seguendo rigorosamente la propria inclinazione verso la perfezione. Il coro e le comparse sembrano seguire certe regole geometriche, sono sempre disposti in un modo perfetto, non sono né troppi, né pochi. Ai ballerini della Furlana nel primo atto è giustamente lasciato lo spazio sufficiente per far godere al pubblico delle coreografie di cui passi sono pazientemente dosati. Le gondole che trasportano i personaggi si muovono senza intoppi e in perfetto silenzio. Per La danza delle ore è usata una grande scalinata che mette in risalto i colori degli abiti e il cambiamento delle figure.

Parole di ammirazione sincera vanno ai costumi che sono di una bellezza eccezionale e di un’eleganza impeccabile, tipiche di Pier Luigi Pizzi. I colori sono scelti sapientemente, nulla è lasciato a caso. La folla gioiosa che festeggia la regata ama il rosso di sfumature diverse e il grigio, mentre gli ospiti di Alvise vantano abiti lussuosi dai colori vistosi. La Gioconda indossa un blu elettrico, Barnaba e la Cieca sono vestiti di nero ed Alvise di porpora. Per Enzo è ideato un costume di un taglio quasi moderno, dal color di antracite. A far esaltare la loro bellezza contribuiscono le luci di Massimo Gasparon.

Ma come si inserisce il dramma sanguinoso in uno scenario così matematico, cosi perfetto? Può sembrare strano, ma la geometria perfetta della messa in scena non entra in conflitto con i sentimenti dei personaggi del “più melodrammatico di tutti i melodrammi” , decisamente esagerati per i gusti d’oggi, ma crea un giusto contrasto e un equilibrio perfetto. Ne viene fuori una Gioconda classica nel senso stretto di modello esemplare: chissà se negli anni a venire il capolavoro di Ponchielli potrà avere un’interpretazione così convincente e decisamente gradevole all’occhio!

Sul palcoscenico del Liceu si sono alternati due cast formidabili, in grado di far vivere al numeroso pubblico dei momenti di grande emozione; soprani, mezzosoprani, tenori, baritoni e bassi si sono messi in una competizione involontaria in cui non sono risultati vincitori e vinti, ma la vittoria vera è stata celebrata dalla Signora Musica.

Con grande interesse si aspettava il debutto del soprano drammatico svedese Iréne Theorin nel ruolo del titolo e le aspettative del pubblico sono state pienamente soddisfatte. La voce della Theorin, di tutto rispetto, non è, forse, eccezionale per le qualità timbriche a volte risulta biancastra. Inizia un po’ sottotono e cresce man mano, raggiungendo le vette nel mitico "Suicidio!"

Alla bionda walchiria svedese ha fatto una validissima concorrenza “la nostra” Anna Pirozzi. Il bravissimo soprano sembra in una continua evoluzione; se a qualcuno la sua Lady Macbeth cantata nell’ambito del Verdi Festival di Parma l’autunno scorso [leggi la recensione] poteva sembrare un po’ grezza, la sua Gioconda dimostra che la vera Pirozzi la dobbiamo ancora conoscere. Disegna il personaggio della passionale cantatrice veneziana in tutta la sua complessità, divorato dagli impulsi selvaggi, ma nello stesso tempo votato alla misericordia e al sacrificio. È così il suo meraviglioso canto, con migliaia di sfumature. Pensa alla morbidezza dell’emissione, alla linea continua, alla pienezza dell’espressione, gioca soprattutto sui chiaroscuri. È così il suo "Suicidio!", da manuale.

Brian Jadge canta dignitosamente la parte di Enzo, rivelandosi efficiente, ma poco affascinante. La voce salda e resistente è capace di sostenere le parti “assassine”, tuttavia il suo colore somiglia troppo alla plastica bianca e fredda di un nuovo elettrodomestico. Tutte le note sono a posto, la tecnica non tradisce, ma la linea di canto è decisamente legnosa e all’acuto, senza i problemi evidenti, manca la morbidezza. Il pubblico applaude generosamente per la romanza "Cielo e mar!", che però non offre nulla di magico.

Stefano La Colla nello stesso ruolo affascina decisamente; sfoggia una voce pulita dal timbro bellissimo, squillante e splendente. La perfida romanza "Cielo e mar!" non ha segreti per lui, né crea difficoltà; la linea di canto è morbida e delicata e ciò non impedisce una grande forza espressiva. Regala dei momenti indimenticabili, La Colla: si sa, la voce di tenore è un dono prezioso e il pubblico lo ama più delle altre. Nel contesto dello spettacolo barcellonese Stefano La Colla non è un tenore, ma il tenore. Brilla della forte luce propria, ma è un ottimo partner, perfetto nei pezzi d’insieme.

Bravissimi entrambi i baritoni che sostengono la parte della terribile e temuta spia Barnaba; bravissimi e diversissimi tra loro. Gabriele Viviani disegna il personaggio ironico e non privo della certa raffinatezza, recita con grande maestria il ruolo di cantastorie. Il suo canto, naturale, conquista per i bei colori e l’accento variopinto.

Confrontato a Gabriele Viviani, Luis Salinas è il diavolo in persona, dall’aspetto quasi deforme e dai modi negativi di rapportarsi con il prossimo, pungente, aggressivo, assettato di sesso. È in possesso di una voce potente, ben timbrata e gli riescono facili le sfumature drammatiche. Una tecnica salda permette a Salinas di affrontare il personaggio senza sforzi.

Nei panni della dolce Laura appare Dolora Zajick, il mezzosoprano statunitense ormai entrato nella storia. La sua prestazione risulta accettabile, tuttavia l’età della cantante stona troppo e rende il personaggio della giovane donna innamorata poco convincente. Stona il suo fisico, decisamente sgraziato, stonano le sue movenze che tradiscono la difficoltà di camminare. Ci dispiace sinceramente dover annotare queste cose; purtroppo, anche la sua vocalità presenta non pochi problemi. Il timbro è ancora bello, ma l’emissione risulta a volte sforzata e la linea di canto è poco equilibrata, senza parlare del calo d’intonazione all’inizio del celebre duetto con la Gioconda e nell’assolo "Stella dei marinai".

A Ketevan Kemoklidze la parte di Laura calza a pennello; non esageriamo, se diciamo che la cantante georgiana crea un personaggio affascinante nella sua femminilità e passionalità ed è perfetta vocalmente. La sua voce, morbida, leggermente chiara e lucente, dà una vera gioia a chi l’ascolta.

Maria José Montiel disegna una Cieca sensibile e indifesa, e la voce della cantante, un po’ esile e leggermente opaca, sottolinea la fragilità del personaggio. Nella recita che segue, viene annunciata la sua indisposizione e sul palcoscenico del Liceu viene chiamata “la nostra” Agostina Smimmero, reduce del grande successo personale nella Gioconda rappresentata l’anno scorso nei teatri dell’opera dell’Emilia Romagna. Agostina Smimmero non cala nei panni della Cieca, lei È la Cieca: riesce difficile a credersi, come sia possibile per un’artista tanto giovane creare il personaggio così credibile di una donna anziana. Ma c’è di più; la Smimmero recita una donna del popolo “offesa” dalla natura, ma benedetta dal cielo, è piena di umiltà, dignità e coraggio, rivela nobiltà d’animo e fede incrollabile. La sua voce di contralto dal timbro inconfondibile, profonda, scura, mielosa, a volte produce un effetto quasi magico. La Cieca è, senza dubbio, il suo cavallo di battaglia, e non teme concorrenza.

Ildebrando D’Arcangelo è un formidabile Alvise, nobile, maestoso, elegante e spietato. Sfoggia una voce importante dal bel colore scuro, conquista nel cantabile impeccabile e nel declamato al limite d’espressività. Bene anche Carlo Colombara nella stessa parte, meno diabolico e spaventoso, grazie anche a una voce più chiara e leggera.

Guillermo Garcia Calvo alla guida dell’Orchestra sinfonica e del Coro del Gran Teatre Liceu, preparato da Conxita Garcia, raggiunge un ottimo risultato, dimostrando un lavoro cesellato e creando atmosfere squisitamente romantiche. Gli assoli strumentali stupiscono per l’espressività.

La danza delle ore è condannata al successo; per la produzione dei teatri di Verona, Barcellona e Madrid Gheorghe Iancu nell’ormai lontano 2005 creò un efficace concerto danzante con la partecipazione di una coppia di ballerini solisti e dodici ragazze di corpo di ballo. Le coreografie piuttosto semplici sono rimesse in scena da Francesco Marzola e nella Danza delle ore brillano due talenti italiani, Letizia Giuliani in una strabiliante forma fisica, che svela la forza della femminilità, e il suo cavalier servente, lo statuario Alessandro Riga.

Un successo davvero grandioso e pienamente meritato, gli applausi infiniti per tutti gli artisti.

foto Antoni Bofill


 

 

 
 
 

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