Recensione dell’ “Adriana Lecouvreur” dal teatro Filarmonico di Verona

Adriana Lecouvreur

Interessante la chiave interpretativa creata dal regista Ivan Stefanutti per questo suo allestimento di «Adriana Lecouvreur» di Francesco Cilea che, creato per il Teatro Sociale di Como – As.Li.Co, approda ora al Teatro Filarmonico di Verona.

Lo spazio scenico, dove le tonalità in bianco e nero tendono a suggerire l’avvento della decima musa, introduce immediatamente in un ambiente in cui ciò che domina è la raffinatezza dello stile decò, qui declinato attraverso un più rigoroso suggerimento allo Jugendstil, in cui le linee marcate ed i forti contrasti si pongono come cornice ideale allo scontro di passioni che domina la partitura, pur rischiando, a tratti, di soffocarne la liricità e la decadente poetica.

Tutto viene sapientemente creato per offrire una solida cornice scenografica al dramma ed è attentamente animato da un lavoro registico scrupoloso ed efficace che cesella i personaggi definendone i contorni. Non so se per definire un periodo ampio e dai contenuti forti e contrastanti sotto un profilo prettamente artistico questo possa ritenersi sufficiente, ma senza dubbio il lavoro è molto ben fatto, professionale e crea un prodotto finito, intelligente e studiato nei particolari.
Com’è noto la partitura di Cilea, pur essendo molto amata dal pubblico, viene con difficoltà allestita dai teatri in quanto richiederebbe un cast di artisti completo sia sotto un profilo prettamente vocale sia drammatico e teatrale.

In questo caso il ruolo del titolo veniva affidato al soprano Hui He che debuttava nel ruolo e iniziamo subito con il dire che il lavoro fatto dall’artista sul personaggio si vede tutto e questo è da sottolineare prima ancora di parlare di vocalità.

Il personaggio di Adriana non può infatti essere solo cantato, e la partitura stessa impone il declamato proprio nei momenti centrali del dramma. Fondamentale per un’artista diventa dunque il calarsi in quel momento storico ed in quell’epoca del teatro, mantenendo la propria sensibilità ed estraendone liberamente ciò che il proprio animo veicola.

Adriana Lecouvreur
Adriana Lecouvreur

La cantante tratteggia allora un personaggio che sembra emergere dalle ‘affiches’ di Mucha in cui domina la gestualità e dove il personaggio stesso sembra far parte dell’ambiente che lo circonda e lo avviluppa. La vocalità allora, completamente al servizio del fraseggio, cesella così un potente ritratto,dove nulla è lasciato al caso e dove ogni gesto diventa naturale emanazione dello spirito carismatico e ipnotico della diva.In pieno contrasto l’interpretazione del mezzosoprano Carmen Topciu, in cui l’immanenza e la brama di potere, così come la violenta e distruttiva passionalità, determinano ogni tratto ed ogni azione. Poco glaciale ma ugualmente efficace, la sua Principessa di Bouillon si muove rapida e feroce, sostenuta da un timbro sempre mordente e passionale che spaventa ed intimorisce più per impeto che per autorevolezza.

Bilanciato il Maurizio di Sassonia presentatoci dal tenore Fabio Armiliato che ha saputo con professionalità ben dominare il personaggio, donando soprattutto nel IV Atto momenti di bella intensità.

Perfettamente in linea con l’espressività dolente e trattenuta del suo personaggio, il baritono Alberto Mastromarino riusciva a sottolinearne con sapienza le contraddizioni ed i palpiti, definendo una prestazione che trovava nella potente chiave drammatica il suo più robusto e carismatico spessore. Bene si muovevano Alessandro Abis (Principe di Bouillon) e Roberto Covatta (Abate) .

Completavano il cast Massimiliano Catellani (Quinault), Klodian Kacani (Poisson), Cristin Arsenova (Mad.lla Jouvenot), Lorrie Garcia (Mad.lla Dangeville) e Michelangelo Brunelli (un maggiordomo).

Il M° Massimiliano Stefanelli dirigeva l’orchestra della Fondazione con professionalità senza però trovare una chiave di lettura della partitura che riuscisse a sollevarla o a scandagliarne le sottili espressività, che si leggono al di sotto della più superficiale cromia.

Una sala gremita e calorosa salutava al termine artisti e Direttore confermando il legame viscerale che lega ancor oggi questa partitura al pubblico.

Silvia Campana