Venezia: TurandNOT

Si fa prima a dire ciò che Turandot non è; ovvero non è una semplice favola, o meglio non lo è nell’accezione prima del termine, e non è neppure un’oleografia esotica né l’affabulazione di un Oriente misterioso.

La commedia di Carlo Gozzi, ripresa da Simoni e Adami, travalica l’aspetto della fiaba per addentrarsi nei meandri più profondi e oscuri della psicologia umana; Puccini la rende opera del tutto calata nel Novecento per scelte armoniche e melodiche, per orchestrazione e per atmosfera.

Turandot è figlia in qualche modo di Salome, ma anche di Mélisande: dall’una attinge la cattiveria sorda e dall’altra l’astrazione dalla vita reale; da entrambe il bisogno disperato di essere amata.

Nell’allestimento proposto alla Fenice non ritroviamo nulla di tutto ciò.

Nelle intenzioni di Cecilia Ligorio, oramai di casa nel teatro veneziano, la dimensione fiabesca, intesa come viaggio iniziatico dei personaggi, avrebbe dovuto costituire il fondamento drammaturgico dell’azione drammaturgia; così non è stato, o almeno non con sufficiente evidenza.

La percezione che tutto avvenga in una scatola di lacca non è così immediata: l’impianto scenico immaginato da Alessia Colosso è minimalista all’inverosimile e lascia molto, forse troppo all’immaginazione dello spettatore.

La “scatola” è in realtà una cornice Liberty all’interno della quale personaggi e masse si muovono nella nebbia, trovandosi e scontrandosi quasi per caso; i “simboli” sono scarni, primo fra tutti la falce di luna che diventa la scure di Pu-Tin-Pao  ma che somiglia tanto ad un amo per pesci fuori misura.

Banale la neve che inizia a cadere all’apparire della protagonista e che gela il povero coro di voci bianche tutto in canottiera; passabili le lampadine-stelle, richiamo felliniano.

In scena, per altro illuminata e ombreggiata assai bene da Fabio Barettin, in realtà non succede pressoché niente, al netto della trovata del Mandarino che somiglia a Puccini e che sembra fungere da burattinaio e degli immancabili bambini-avatar-doppi delle tre maschere, qui in livrea rossa.
Anonimi anche i costumi atemporali di Simone Valsecchi.

Alla fine si ha la sensazione di assistere ad uno spettacolo la cui interpretazione e affidata al singolo spettatore, che dalla scatola può estrarre quel che più gli piace, in una sorta di teatro à la carte.

Non va meglio, con alcuni opportuni distinguo, sul versante musicale.

Daniele Callegari impone una direzione tonitruante nelle dinamiche e spiccia nelle agogiche, in cui le preziosità della partitura, le minuzie armoniche e le invenzioni melodiche vanno perdute in un mare di suono che rimanda più al verismo che non al Novecento europeo.

Il ruolo eponimo è affidato a Oksana Dyka, che dà voce e corpo ad una virago isterica nel fraseggio e poco assistita da una voce ingrata nel colore e schiacciata, oltre che periclitante nell’intonazione.

Walter Fraccaro, professionista generoso e veterano del personaggio, canta un Calaf corretto e, nonostante qualche incertezza nelle note di passaggio, esce sostanzialmente indenne dalla prova. Stupisce il teatro muto alla fine di “Nessun dorma”.

Convince del tutto la Liù indomita e combattiva di Carmela Remigio, padrona di una linea di canto sempre uniforme e di un fraseggio meditatissimo.

Bravo Simon Lim, Timur nobilmente affranto ma non vinto.

Sugli scudi il terzetto delle maschere, personaggi tutt’altro che comprimari, con il Ping autorevole per voce e accenti di Alessio Arduini, Paolo Antognetti a dare vita ad un Pong ben calibrato e Valentino Buzza Pang ottimamente risolto.

Marcello Nardis incarna un Altoum impeccabile, e, nonostante il costume da Mago Merlino, lontano da qualunque remissiva senescenza.

Bene, infine, Armando Gabba come Mandarino.

Il Coro, preparato da Claudio Marino Moretti, si rende protagonista di una buona prova, così come le voci bianche del Kolbe Children’s Choir dirette da Alessandro Toffolo.

Successo travolgente per tutti.

Alessandro Cammarano
(10 maggio 2019)

La locandina

Direttore Daniele Callegari
Regia Cecilia Ligorio
Scene Alessia Colosso
Costumi Simone Valsecchi
Luci Fabio Barettin
Personaggi e Interpreti
Turandot Oksana Dyka
Calaf Walter Fraccaro
Liù Carmela Remigio
Altoum Marcello Nardis
Timur Simon Lim
Ping Alessio Arduini
Pong Paolo Antognetti
Pang Valentino Buzza
Un mandarino Armando Gabba
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Kolbe Children’s Choir
Maestro del Coro Alessandro Toffolo

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