Roma: il fuoco dell‘Angelo infiamma l’Opera

Atmosfere sospese in un oscillare continuo tra dimensione onirica, realtà e allucinazione, dove l’amore è gabbia e costringe a percorrere sentieri che non possono che portare alla distruzione.

L’Angelo di fuoco, opera perduta e ritrovata, dalla genesi difficile, rappresentata due anni dopo la morte dell’autore è tutto questo ma non solo.

Il viaggio intrapreso dalla protagonista nella passione sensuale che un demone sotto forma di angelo apre la via all’esoterismo e alla negromanzia per approdare ad una religione vissuta in modo parossististico e in sostanza contiguo alla diabolicità delle arti occulte.

In un crescendo Renata, sedotta e perseguitata dall’angelo-demone fin dall’infanzia, è vittima e al contempo corruttrice di quasi tutti quelli che la accompagneranno sulla strada del martirio.

L’elemento magico è essenziale, sotto forma di venditori di libri proibiti, maghi, Mefistofele e dell’Inquisitore suo alter ego; non c’è redenzione, non salvezza, solo, forse, la coscienza di un destino il cui fine ultimo è l’annientamento.

Nulla del messaggio  prokofieviano viene tralasciato nella narrazione drammaturgia che Emma Dante ha immaginato e costruito per l’allestimento romano dell’Angelo di fuoco.

La regia della Dante aderisce alla musica come una seconda pelle, ne esalta le asprezze, conducendo lo spettatore ad in un processo di immedesimazione assoluto e totalizzante.

L’azione, grazie alle scene perfette di Carmine Maringola – illuminate dal disegno di luci di Cristian Zucaro – si ritrova in uno spazio claustrofobico che richiama quello delle Catacombe dei Cappuccini a Palermo: la locanda del primo atto è una sala le cui pareti sono loculi, mentre nel convento del quinto le monache sono conchiuse in nicchie che le rendono simili a mummie viventi.

L’idea di corpi imbalsamati ma vivi rimanda immediatamente ad un desiderio di eternità desiderabile ad ogni costo e che prescinde da qualunque aspetto morale; la stessa Renata è inizialmente vestita di rosa – i costumi suggestivamente atemporali sono di Vanessa Sannino – come Rosalia Lombardo, la bimba palermitana imbalsamata la cui morte sembra sospesa per sempre.

Le uniche pareti interne sono costituite da pile di libri, dai quali può derivare sia il Bene che il Male.

L’Angelo diventa qui un ballerino di breakdance – lo strepitoso Alis Bianca – che invece di librarsi in cielo si schiaccia a terra, il conte Heinrich – interpretato da Ivano Picciallo – trasposizione terrena del demone seduttore, si muove come una marionetta.

La Dante lavora sul corpo, sia dei cantanti che dei superbi mimi-danzatori della sua compagnia, complici i movimenti coreografici di Manuela Lo Sicco, imprimendo all’azione scenica una sensualità primordiale e affabulante.

Il cammino di Renata e del suo compagno-amante-schiavo Ruprecht si dipana tra eccessi e ripensamenti, conflitti e ricerca reciproca non nel rogo purificatore ma in un martirio che trasforma la protagonista, dinanzi ad un Crocifisso scheletrico e dal volto di donna, nella Madonna dei Sette Dolori che con l’ultima delle spade trafigge il cuore che porta sul petto uccidendo l’Angelo che spira ai suoi piedi. Non c’è redenzione, solo una trasfigurazione del castigo.

Non un cedimento, nessuna indulgenza nel teatro della Dante, che arriva diretto come un pugno nello stomaco e costringe a riflettere.

Memorabile il duello tra Rupert e Heinrich – istruiti dal maestro d’armi Sandro Maria Campagna – manovrati dall’Angelo e dal suo alter ego oscuro, o meglio più oscuro, così come la scena della taverna con Mefistofele e Faust che si trasformano in una versione tragica di Rosenkranz e Gildersten.

Gli interventi degli attori-mimi, a sipario chiuso tra un cambio di scena e l’altro, sono un ulteriore punto di riflessione, con il loro essere ora in contrasto con l’azione ora in sintonia; il duello con le stampelle al posto delle spade dei due ubriachi da osteria richiama quello con le spade di Ruprecht e Heinrich, mentre i lettori silenti rimandano a dimensioni altre.

A tanta perfezione scenica corrisponde un’esecuzione musicale di rara intensità.

Alejo Pérez, complice un’Orchestra ispiratissima, imprime alla narrazione musicale un impulso stringente, poggiato saldamente sulla componente ritmica della partitura, insistendo su dinamiche scabre ma dense e su scelte agogiche volte a porre in luce la disperazione della melodia.

Ewa Vesin disegna una Renata sempre in bilico tra razionalità e follia, forte di una linea di canto salda e capace di plasmarsi al dettato della parola.

Perfetto il Ruprecht di Leigh Melrose, vittima e aguzzino, tutto giocato su una vocalità florida e impiegata con intelligenza.

Sergey Radchenko veste i panni di Agrippa con misurata ironia, mentre Maxim Paster è Mefistofele perfidamente irridente.

Ottimamente risolto il Faust di Andrii Ganchuk imponente d’aspetto e nella voce.

A dar voce e corpo agli altri personaggi femminili intervengono, con voci sontuose e aderenza totale al dettato registico, Anna Victorova (la padrona della locanda), Mairam Sokolova (l’Indovina e la Madre Superiora), Adriana Morelli ed Emanuela Luchetti (Prima e Seconda giovane monaca).

Perfettamente in parte Goran Jurić, Inquisitore granitico, Domenico Pellicola, Glock pavido e pigolante, Petr Sokolov (Matthias Wissman), Murat Can Guvem (Medico), Timofei Baranov (il padrone della Taverna) e Andrii Ganchuk (il Servo).

Roberto Gabbiani conduce il Coro ad una prova impeccabile.

Pubblico stregato, applausi, meritatissimi per tutti e ovazioni, strameritate alla Dante, a Pérez e alla Vesin.

Alessandro Cammarano

(23 maggio 2019)

La locandina

Direttore Alejo Pérez
Regia  Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Movimenti coreografici Manuela Lo Sicco
Luci Cristian Zucaro
Maestro d’armi Sandro Maria Campagna
Personaggi e Interpreti
Ruprecht Leigh Melrose
Renata Ewa Vesin
Padrona della locanda Anna Victorova
Indovina Mairam Sokolova
Agrippa di Nettesheim Sergey Radchenko
Johann Faust Andrii Ganchuk *
Mefistofele Maxim Paster
Madre Superiora Mairam Sokolova
Inquisitore Goran Jurić
Jakob Glock Domingo Pellicola *
Mathias Wissman Petr Sokolov
Medico Murat Can Guvem *
Servo Andrii Ganchuk*
Padrone della taverna Timofei Baranov *
I Giovane monaca Arianna Morelli
II Giovane monaca Emanuela Luchetti
L’angelo di Fuoco Alis Bianca
Conte Heinrich Ivano Picciallo
Orchestra e coro dell’Opera di Roma
Maestro del Coro  Roberto Gabbiani

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