Milano: virtuosa ed essenziale la Tote Stadt secondo Vick

Mentre i temporali inondano le strade di questa autunnale primavera milanese, alla Scala è andata in scena Die tote stadt, opera in tre quadri di Erich Wolfgang Korngold.

Figlio di un autorevole e intransigente critico ebreo della «Neue Freie Presse», Korngold fu un vero e proprio enfant prodige: allievo di Alexander von Zemlinsky, ebbe la fortuna di essere apprezzato giovanissimo da Richard Strauss e Gustav Mahler, nonché di entrare in contatto con importanti personaggi quali Arthur Schnabel, Felix Weintgartner, Bruno Walter, Otto Klemperer.

Nel 1920, con la duplice prima ad Amburgo e a Colonia di Die tote stadt, il ventitreenne Korngold conquistò definitivamente il pubblico e la critica musicale tedesca, ma l’idillio venne presto incrinato con l’avvento del nazismo.

Rifugiatosi negli Stati Uniti, Korngold iniziò a scrivere per l’industria cinematografica, ci prese gusto – a differenza di altri musicisti che considerarono tale lavoro un ripiego (ad esempio Mario Castelnuovo-Tedesco) –, vinse due premi Oscar e divenne uno dei più affermati compositori di colonne sonore.

Il suo capolavoro indiscusso rimane, comunque, di Die tote stadt, dramma tratto dal breve romanzo decadente-simbolista Bruges la morte dello scrittore belga Rodenbach.

La vicenda, ambientata a Bruges, esplora i meandri della psiche di Paul, un uomo imprigionato nell’ossessiva memoria della moglie defunta in una casa-mausoleo di ricordi assieme all’anziana governante Brigitta che all’inizio del primo quadro dichiara «Bruges ed io, noi due siamo una cosa sola. Veneriamo ciò che di più bello esiste: il passato».

In questa condizione claustrofobica avviene l’incontro con la giovane Marie, nella quale Paul ravvisa in tutto e per tutto i tratti della moglie. Il passo che conduce Paul a uno stato mentale visionario è breve, la dimensione onirica prende il sopravvento, le fantasie morbose si amplificano in una distorta dimensione allucinatoria che s’infrange solo nel momento in cui Marietta viene strangolata.

Inaspettatamente entra in scena Marietta per recuperare i fiori e l’ombrellino dimenticati. Paul, presa coscienza della realtà, decide di lasciare Bruges.

La straordinarietà di questo labirinto psicologico è stata resa magistralmente dal genio registico di Grahm Vick. In scena pochi elementi, creati come i costumi da Stuart Nunn: un divano, una teca con le reliquie della moglie defunta, un inginocchiatoio, una bacheca con delle fotografie e lo stipite di una porta – varco imprescindibile della psiche interiore del protagonista –, il tutto circondato da un tendaggio a balze che tanto ricorda il rivestimento interno delle casse funebri.

Un virtuosismo delicatissimo quello di Vick, essenziale ma dettagliato non solo nella caratterizzazione dei personaggi ma anche nel rievocare l’inquietante conflitto che avvolge la città di Bruges e che costantemente affiora dalla partitura.

Complice ideale in questa produzione il maestro Alan Gilbert, direttore dal gesto espressivo e incisivo, che ha estratto dall’orchestra timbri e atmosfere di forte impatto emozionale mantenendo ottimi rapporti fra buca e palcoscenico, e mettendo in luce con raffinato equilibrio la continuità sinfonica della scrittura di Korngold.

Impressionante l’immedesimazione nel personaggio da parte del soprano lituano Asmik Grigorian che, dotata di una vocalità duttile e di una presenza scenica dinamica, ha saputo incarnare perfettamente il carattere di Marietta.

L’impervia e impegnativa scrittura del tenore è stata risolta con intelligenza da Klaus Florian Vogt con l’utilizzo di mezze voci nonostante alcune evidenti difficoltà nella parte acuta.

Markus Werba, nel duplice ruolo di Frank e Pierrot, nel Lied del secondo quadro regala momenti di altissimo lirismo vocale e interpretativo.

Perfettamente in parte Cristina Damian nei panni della governante Brigitta.

Ottimo il resto del cast così come il Coro diretto da Bruno Casoni.

Il pubblico ha accolto Die tote stadt con commosse e generose ovazioni elogiando non solo la bellezza della musica di Korngold ma anche l’altissimo livello di una produzione che merita di essere conosciuta e ripresa nelle stagioni future.

Gian Francesco Amoroso
(28 maggio 2019)

La locandina

Direttore Alan Gilbert
Regia Graham Vick
Scene e costumi Stuart Nunn
Luci Giuseppe Di Iorio
Coreografia Ron Howell
Personaggi e Interpreti
Paul Klaus Florian Vogt
Marietta Asmik Grigorian
Frank/Fritz Markus Werba
Brigitta Cristina Damian
Juliette Marika Spadafino*
Lucienne Daria Cherniy*
Victorin Sergei Ababkin*
Graf Albert/Gastone Sascha Emanuel Kramer
*Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Bruno Casoni

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