I due mondi di Menotti e Maderna insieme a Francoforte 

L’Oper Frankfurt presenta al Bockenheimer Depot il dittico The Medium e Satyricon, ultima produzione della stagione 

Satyricon (Foto Barbara Aumüller)
Satyricon (Foto Barbara Aumüller)
Recensione
classica
Frankfurt am Main, Oper Frankfurt (Bockenheimer Depot)
The Medium e Satyricon
15 Giugno 2019 - 29 Giugno 2019

 Poco più di 25 anni separano The Medium di Gian Carlo Menotti, anno 1946, e Satyricon di Bruno Maderna, anno 1973, eppure la distanza fra questi due lavori è abissale. Il primo è ancoratissimo a una tradizione verista e a una concezione di opera come elevata forma di intrattenimento, il secondo è un frutto delle esperienze avanguardistiche del dopoguerra condite di un inconsueto umorismo nerissimo che si articola soprattutto in un citazionismo quasi compulsivo. Origini italiane a parte, le due opere sembrano davvero appartenere a due mondi lontani ma, con una scelta curiosa, l’Oper Frankfurt le presenta in un’unica serata nello spazio del Bockenheimer Depot come ultima nuova produzione della stagione. Così diverse e così lontane nella dimensione estetica che anche le compagini chiamate ad allestirle sono pure diverse come gli interpreti. 

Si comincia con The Medium, per la quale regista Hans Walter Richter rinuncia saggiamente a qualsiasi approccio drammaturgico creativo e allestisce secondo modalità piuttosto tradizionali come tradizionale è la scena unica disegnata di Kaspar Glarner: una sala in un lugubre seminterrato ricco di botole e passaggi nascosti, dove si consumano abitualmente le truffe della finta medium Madame Flora a spese dei coniugi Gobineau e di Mrs. Nolan. Abituata a farsi beffe della dabbenaggine dei propri clienti, la truce medium non si rende contro che la sua passione alcolica la sta portando alla rovina. Incapace di riconoscere le allucinazioni che la tormentano, sfoga la sua rabbia sulle sue due giovani vittime, Monica e Toby, due orfanelli dickensiani complici obbligati dei suoi inganni. Sarà il povero Toby, respinte le oscene attenzioni di Flora e cacciato di casa, l’unica vera vittima. Davvero ottima la scelta degli interpreti a cominciare dalla debordante (in ogni senso) Flora di Meredith Arwady, che si spinge molto sul terreno del verismo più trucibaldo. All’opposto Louise Alder regala alla sua Monica toccanti accenti lirici e una vena di freschezza giovanile, molto presente anche nel Toby del giovanissimo Marek Löcker, ruolo muto ma interpretato con grande espressività. Ben scelti anche i tre interpreti minori: la coppia dei Gobineau, tratteggiati con crepuscolare grazia da Barbara Zechmeister e Dietrich Volle, come la madre privata dell’amata figlia, Mrs. Nolan, di Kelsey Lauritano. L’accompagnamento musicale, guidato con grande misura da Nikolai Petersen, dosa sapientemente colori e umori della turgida tavolozza concepita da Menotti. 

Convince meno, invece, la seconda parte della serata sia sul piano scenico che su quello musicale. La regista Nelly Danker stenta a trovare un filo coerente e soprattutto una forma convincente al composito mosaico testuale assemblato da Bruno Maderna a partire dai frammenti del Satyricon di Petronio. Come in una sorta di circo insensato, vagano Trimalcione e i suoi accoliti nel palcoscenico vuoto con pezzi rubati da un vecchio museo di antichità (un enorme piede di marmo, una testa di rinoceronte, una vasca da bagno). L’esecuzione musicale è guidata con fin troppo controllo da Simone Di Felice, concentratissimo sulla precisione dell’ensemble strumentale ma poco permeabile alla leggerezza quasi rossiniana dell’assemblaggio musicale maderniano. Un po’ abbandonati a loro stessi, gli interpreti – che sono Peter Marsh come Trimalcione, Susanne Gritschneder come Fortunata, Theo Lebow come Abinna, Ambur Braid come Scintilla, Karen Vuong come Criside, e Mikołaj Trąbka come Eumolpo – presentano puntuali i loro numeri ma lasciano un segno davvero labile. 

Negli applausi alla fine dei due lavori vince ai punti Menotti. 

 

 

 

 

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