Con il Palazzetto Bru-Zane a Parigi trionfa l’operetta 

Nella rassegna parigina Madame Favart di Offenbach all’Opéra Comique e il duo Lecocq & Barbier chiude i Bouffes du Bru-Zane al Marigny 

Madame Favart (Foto Stephane Brion)
Madame Favart (Foto Stephane Brion)
Recensione
Salle Favart e Théâtre Marigny, Parigi
Festival Bru-Zane à Paris
01 Giugno 2019 - 29 Giugno 2019

Trionfo dell’operetta alla settima edizione del Festival Bru-Zane à Paris, la rassegna che chiude la ricca stagione musicale dell’istituzione veneziana. Come a Venezia nello scorso autunno così a Parigi è Jacques Offenbach al centro della programmazione ma anche della rigogliosa fioritura di operette nei vivaci anni del Secondo Impero e oltre. Edizione 2019 più compatta del solito ma ricca di occasioni interessanti come l’apertura al Théâtre de Champs-Elysées con Maitre Petronilla, opéra-bouffe datata 1878 e dunque dell’ultima fase della carriera di Offenbach, con l’Orchestre National de France e il Coro di Radio France diretti da Markus Poschner, la cui registrazione andrà prossimamente ad arricchire la collezione “Opéra français” del Palazzetto Bru-Zane. Alla stessa stagione offenbachiana appartiene anche Madame Favart, andata in scena, come un curioso (e, supponiamo, voluto) gioco di specchi, in una particolarmente affollata Salle Favart per la stagione dell’Opéra Comique, anch’essa particolarmente generosa di titoli del repertorio leggero in questa stagione. 

Secondo quanto dichiarato dagli autori Alfred Duru e Henri Chivot si tratta di “opéra comique” andata in scena per la prima volta alle Folies-Dramatique il 28 dicembre 1878 e di poco precedente alla più popolare La fille du tambour-major. È un Jacques Offenbach alla soglia dei sessant’anni, la gotta lo fa soffrire, il volubile pubblico parigino gli ha voltato le spalle dopo un decennio di successi eclatanti e le lacerazioni della guerra franco-prussiana del 1870 pesano, soprattutto per chi come lui ha radici tedesche. La buona accoglienza di Madame Favart arriva come un raggio di sole autunnale. La protagonista è una artista della scena, un’attrice di gran carattere, Justine Duronceray sposata al drammaturgo Charles-Simon Favart e concupita da Maurizio di Sassonia, maresciallo dell’esercito francese e grande “tombeur de femmes de la scène” (la sua preda più famosa è probabilmente Adrienne Lecouvreur). L’idea piacque, come qualche decennio prima piacquero storie romanzate di teatranti, come la Consuelo di George Sand, la cui protagonista era ricalcata sui tratti di Pauline Viardot, e ancora prima il Kean di Alexandre Dumas per non dire appunto della Adrienne Lecouvreur di Éugene Scribe e Ernest Legouvé. 

Se Maurizio è centrale nel dramma di Scribe (come più tardi nella versione operistica di Cilea), nella Madame Favart non si vede mai in scena ma basta la sua volontà di far arrestare Favart per liberarsi dell’ostacolo alle sue mire per mettere in moto il plot: per sfuggirgli, Justine si chiude in un convento e Charles-Simon nelle cantine della locanda di Biscotin. Abilissima nell’arte del travestimento, Justine raggiunge il marito per mettersi insieme in salvo. Prima però decide di aiutare Hector de Boispréau ad avere il posto di luogotenente di polizia e sposare l’amata Suzanne, fingendosi sua sposa nel perorare la sua causa presso il governatore Pontsablé, che naturalmente cade ai suoi piedi. Da qui una catena di equivoci e di fughe in extremis dei Favart prima di cadere nelle mani di Pontsablé, che li fa imprigionare senza tuttavia rendersi conto di aver scambiato Suzanne per Justine. Gli equivoci si sciolgono solo quando Justine trionfa da attrice consumata attrice davanti al re, il quale concede due doni alla donna: rimuove Pontsablé e nomina Favart alla testa dell’Opéra Comique. 

L’allestimento firmato da Anne Kessler, attrice associata alla Comédie-Française, non bada troppo alla dimensione storica (del resto abbastanza abborracciata nel lavoro) e anzi strizza piuttosto l’occhio all’idea del teatro nel teatro, evitando comunque ogni intellettualismo e puntando sulla leggerezza della commedia. Gli abiti disegnati da Bernadette Villard sono di taglio moderna mentre l’azione è trasposta in una affollata sartoria teatrale (la scena è di Andrew D. Edwards), luogo evidentemente elettivo per la signora del travestimento e degli scambi di persona com’è la protagonista. Pochi elementi di attrezzeria “povera” (con omaggio finale al luogo che ospita lo spettacolo) e il resto è davvero un ottimo lavoro sul folto drappello di interpreti e sul ritmo, irresistibile soprattutto nella seconda parte. 

La giovane Marion Lebègue è una Madame Favart di gran carattere e verve scenica e pregevole versatilità vocale messa al servizio di un ruolo che tocca diverse corde. Il Charles-Simon Favart un po’ compassato di Christian Helmer soffre il confronto con la disinvoltura di François Rougier come Hector de Boispréau e soprattutto l’irresistibile estro comico del commediante consumato Éric Huchet messo al servizio del Marchese di Pontsablé. Di accattivante freschezza è la Suzanne di Anne-Catherine Gillet, che con gli ottimi caratteristi Franck Leguérinel (il maggiore Cotignac), Lionel Peintre (Biscotin), Raphaël Brémard (il sergente Larose), Agnes de Butler(Babeth) e Aurélie Pes (Jeanneton) completano il cast con il dinamico Coro dell’Opéra di Limoges. Di grande qualità anche il lavoro del direttore Laurent Campellone sull’Orchestre de Chambre de Paris dalla quale ottiene le caratteristiche strette offenbachiane che spingono alla danza ma anche le tenui tonalità strumentali da commedia sentimentale di cui questa partitura è generosa. Calorosa l’accoglienza dei parigini e ottimo viatico per le tappe previste a Limoges in novembre e a Caen in dicembre. 

 

Offenbach a parte, molto ben rappresentato anche nel recital “Offenbach colorature” del soprano Jodie Devos ripreso dal festival veneziano così come i violoncelli di Henri DemarquetteAurélien Pascal in duo nell’incantevole spazio in rovina del Théâtre des Bouffes du Nord, il cartellone offriva molte altre occasioni interessanti, soprattutto per un quadro più completo della produzione minore. 

Di Hervé, sempre molto presente nei programmi del Bru-Zane, al Théâtre Marigny si è vista Mam’zelle Nitouche a cura del gruppo Les Frivolités Parisiennes diretto da Christophe Grapperon (nonché la presenza “en travesti” di Olivier Py come Miss Knife nel cast) in una produzione leggera di Pierre-André Weitz, approdata a Parigi dopo una tournée lunga una stagione. E sempre al Marigny ma nello spazio più raccolto dello Studio si completava il primo ciclo iniziato nello scorso gennaio de “Les Bouffes de Bru Zane” con un divertente assemblaggio dell’ operetta in un atto Sauvons la caisse di Charles Lecocq datata 1871 e la saynète-bouffe Faust et Marguerite di Frédéric Barbier del 1869. Nella prima, il giovane domestico Cruchinet sottrae la grancassa alla circense “figlia dell’aria”, di cui è perdutamente innamorato, per attirarne le attenzioni. Lei pretende chiarimenti dal padrone, l’aristocratico ungherese Tropouridchick. In sua assenza, Cruchinet si travete e si spaccia per lui per tentare di sedurre la donna, che tuttavia intende vendicarsi sull’ungherese per un torto subito. Nella seconda, nata sulla scia della ripresa del Faust di Gounod all’Opéra come molti altri lavori coevi (fra questi, Le petit Faust di Hervé del 1869), protagonisti sono i due coniugi Lehuchoir, cantanti di piazze di provincia o piuttosto guitti di giro. I due si preparano al debutto nell’improbabile Fouilly-les-Mouches come Faust e Marguerite. Un dietro le quinte nel quale si intrecciano il “basso” delle dispute domestiche con l’“alto” dei personaggi della tragedia goethiana, arricchito da una cascata di giochi di parole e spiritose ariette costruite su accostamenti paradossali (“J'ai cassé ma bretelle / l'aventure est cruelle” o “Je t'aime autant que la sauce blanche / autour du chou-fleur bien farci”). Lo spettacolo “low budget” costruito da Lola Kirchner è fresco e simpatico come lo sono i due scatenati interpreti Lara Neumann e Flannan Obé, che moltiplicano il gioco teatrale rompendo spesso la quarta parete con frequenti ammiccamenti e battute al pubblico. Anche la musica è in formato tascabile: c’è solo Pierre Crussac con la sua fisarmonica che dà un sapore popolare da “bal musette” allo spettacolino, molto apprezzato dal pubblico variegato presente in sala.