Milano, Teatro alla Scala: “Prima la musica e poi le parole” & “Gianni Schicchi”

Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletto 2018/2019
PRIMA LA MUSICA E POI LE PAROLE”
Divertimento teatrale in un atto su libretto di Giovanni Battista Casti
Musica di Antonio Salieri
Un Maestro di Cappella AMBROGIO MAESTRI
Un Poeta MAHARRAM HUSEYNOV
Donna Eleonora ANNA-DORIS CAPITELLI
Tomina ENKELEDA KAMANI
Regia Grisha Asagaroff
Scene e costumi Luigi Perego
 “GIANNI SCHICCHI”
Opera in un atto su libretto di Giovacchino Forzano
Musica di Giacomo Puccini
Gianni Schicchi AMBROGIO MAESTRI
Lauretta FRANCESCA MANZO
Zita VALERIA GRIMALDELLO
Rinuccio HUN KIM
Gherardo CHUAN WANG
Nella FRANCESCA PIA VITALE
Gherardino BENJAMIN DI FALCO
Betto di Signa LASHA SESITASHVILI
Simone EUGENIO DI LIETO
Marco GIORGI LOMISELI
La Ciesca CATERINA PIVA
Maestro Spinellocchio RAMIRO MATURANA
Ser Amantio di Nicolao JORGE MARTINEZ
Pinellino HWAN AN
Guccio MAHARRAM HUSEYNOV
Buoso Donati FABIO VANNOZZI
Regia Woody Allen
Scene e costumi Santo Loquasto
Produzione Los Angeles Opera
Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Ádám Fischer
Milano, 19 luglio 2019
La Scala mette in scena come ultimo spettacolo prima della pausa estiva un dittico di opere in un atto affidandone la direzione a due registi di sicuro interesse, la direzione a una mano sicura e la componente vocale ai giovani dell’Accademia organizzati intorno a un artista dell’esperienza di Ambrogio Maestri. La valutazione deve tener necessariamente conto di questa natura dello spettacolo, legata al Progetto Accademia e alla meritoria iniziativa dell’ente scaligero per la crescita dei giovani artisti ma questo non toglie che gli spettacoli siano stati in sé perfettamente godibili a prescindere dalle considerazioni di fondo.Prima la musica e poi le parole” rientra nel genere della satira sul teatro d’opera e i suoi mezzi molto in voga alla fine del XVIII secolo e, se, in parte, certe sottigliezze sfuggono inevitabilmente perché legate alla prassi esecutiva del tempo, il taglio dell’insieme ancora conquista per leggerezza e spontaneità. Lo spettacolo di Grisha Asagaroff coglie pienamente questo aspetto. L’impianto di fondo è quasi surrealista: una stanza formata da giganteschi strumenti musicali che si trasformano in arredi e attrezzi di scena e, quando Tonina fa cadere una corda con legati degli spartiti, la parete di fondo mostra un sipario che cade lasciando vedere un cielo azzurro popolato da uccelli-spartito che volano leggeri muovendo le loro pagine a guisa di ali. I costumi sono sostanzialmente atemporali con linee in cui si alternano contemporaneità e Settecento, la recitazione è leggera e garbata, non priva d’ironia. Il tanto atteso allestimento di Woody Allen per il “Gianni Schicchi” risulta meno compiuto nell’insieme alternando ottime idee ad altre decisamente troppo stantie, troppo legate agli stereotipi di una certa cultura americana verso l’Italia e gli italiani. I Donati sono più la parodia della classica famiglia italo-americana che esponenti del patriziato fiorentino; Schicchi impomatato e vestito di gessato sembra, inoltre, un gangster più che un leguleio. La scena è una casa bombardata – l’eterna fascinazione del neorealismo post-bellico difficile da superare per gli americani – i costumi poveri, dimessi (ci si chiede perché preoccuparsi tanto dell’eredità in contesto si misero). Praticamente ci si trova di fronte a un “Natale in casa Cupiello” con una gigantografia di Firenze sullo sfondo e condito da un profluvio di spaghetti che compaiono ovunque, persino dentro il testamento. Di contro alcune soluzioni sono riuscitissime, alcuni caratteri tratteggiati in modo illuminante come Lauretta, che, tolta al cliché dell’ingenua giovane donna angelicata, è trasformata in una ragazza astuta e vivace capace di giocare a “far la semplicetta” per addolcire il Babbo come nella celebre aria, autentica scena di seduzione filiare arricchita dal continuo gioco di accenni con Rinuccio; divertentissima è anche la scelta di prendere come testimoni che “testes videtur” un cieco e un narcolettico. Altrettanto è innegabile che Allen sappia far recitare tutti in modo straordinario ma queste qualità non possono compensare il vizio di fondo.Il direttore ungherese Ádám Fischer dirige con grande esperienza e riesce a districarsi con bravura in due titoli stilisticamente molto divergenti. In Salieri mantiene tutto l’equilibrio classico della partitura pur all’interno di una lettura di tipo tradizionale, non legata alle nuove prassi filologiche. In Puccini regge con bravura i complessi equilibri della partitura evidenziando i caratteri di modernità e di astrazione dell’opera, il carattere marionettistico, quasi futurista o pre-brechtiano, di quasi tutti i personaggi.
Ambrogio Maestri affronta il doppio ruolo del Maestro di Cappello e di Gianni Schicchi. Sul piano meramente tecnico qualche appunto si può fare: l’intonazione non è sempre impeccabile e si riscontra qualche caduta di gusto, specie nella parte di Schicchi dove la voce viene alterata anche in punti non necessari.  L’interprete è, però, di rara comunicativa, più baritono che basso non avendo problemi neppure nella più bassa tessitura dell’opera di Salieri nonostante la voce sia chiara, la dizione sempre nitida, ogni parola sempre chiarissima. Divertente e con una punta surreale in Salieri, di bonaria umanità in Puccini, con un senso di pietosa rassegnazione di fronte alle meschinerie degli altri, Maestri è stato il vero trionfatore della serata.Per quanto riguarda i giovani molto positiva la prova dei tre interpreti dell’opera di Salieri. Anna-Doris Capitelli (Donna Eleonora) ed Enkeleda Kamani (Tomina) cantano con gusto superando con sicurezza le non poche difficoltà presenti nella partitura che parodiando gli stilemi musicali del tempo costringe le cantanti a cimentarsi con esse; inoltre sono entrambe pienamente calate nei propri personaggi, divertenti e ironiche nel giocare alla rivalità fra dive persino nel momento di prendere gli applausi. Maharram Huseynov è un po’ anonimo come timbro ma il canto è corretto e interpretativamente il personaggio è ben colto sia nell’accento che nella recitazione.In “Gianni Schicchi” si apprezza la prova molto positiva di Francesca Manzo, una Lauretta non solo cantata decisamente bene ma sobria e misurata, lontana da ogni cedimento manierato ed anzi molto brava nel rendere il carattere decisamente più ricco immaginato per il ruolo da Allen anche nella fin troppo celebre aria in cui un fondo di astuta ironia evita qualunque inflessione zuccherosa. Purtroppo al suo fianco il Rinunccio di Hun Kim non si mostra all’altezza dell’amata; timbro anche piacevole ma dizione problematica e totale estraneità al canto di conversazione e con questi limiti è impossibile dare senso compiuto allo stornello “Firenze è un albero fiorito”. Funziona nel complesso il parentato dei Donati con una segnalazione d’obbligo per la sonora voce di Caterina Piva (La Cesca) mentre sul versante opposto va collocata Valeria Girardello, priva di quella sicurezza nel settore grave necessaria per affrontare la Zita. Di solida professionalità le altre parti, tutte ben calate nel taglio complessivo dello spettacolo: Chan Wang (Gherardo), Francesca Pia Vitale (Nella), Lasha Sesitashvili (Betto di Signa), Eugenio di Lieto (Simone), Giorgi Lomiseli (Marco) così come gli interpreti di Maestro Spinellocchio (Ramiro Maturana) del notaio Amantio de Nicolao (Jorge Martinez) e dei testimoni (Maharram Huseynov e Hwan An). Molti vuoti in sala ma successo convinto per tutti gli interpreti.