L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tacete, c'è Rigoletto

 di Roberta Pedrotti

La terna operistica del Macerata Opera Festival si chiude con la ripresa del Rigoletto "della casa" e firmato da Federico Grazzini. Un buon allestimento concertato con cura e incisività ben commisurate agli spazi da Giampaolo Bisanti e forte di un bel cast che schierava nei ruoli principali Amartuvshin Enkhbat, Enea Scala e Claudia Pavone. Si completano così i debutti operistici di una rassegna che sempre più torna a imporre la sua personalità con progetti ben strutturati, senza temere la giusta dose di rischio.

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MACERATA, 21 luglio 2019 - “All'aperto si gioca a bocce”, diceva qualcuno, e tanti altri ripetono, a proposito delle rappresentazioni d'opera en plein air. Sarà anche vero, sarà vero che la casa del melodramma ha graticce e tetto sulla testa, ma è un fatto che continui anche ad andare in villeggiatura sotto un cielo stellato e che la cosa possa dare anche soddisfazioni. L'importante è distinguere fra limiti e potenzialità, capire le caratteristiche di uno spazio e regolarsi di conseguenza. Sotto il profilo teatrale e scenografico può essere una sfida succosa, sotto quello musicale le insidie vanno ben ponderate, soprattutto oggi, quando il gusto e le caratteristiche di molti interpreti sembrano andare in direzione opposta rispetto a turgori vocali trionfanti nelle arene estive dei decenni passati. Parimenti, il metro di giudizio, le esigenze dell'ascolto devono tenere conto di condizioni molto diverse rispetto al teatro tradizionale: distanze, umidità e temperature variabili, vento... Allora, per fare veramente teatro d'opera all'aperto anche oggi, per il pubblico d'oggi e non lasciare il campo alle bocciofile, tutto deve essere considerato e riconsiderato con coraggio, con un progetto. Caso vuole che proprio in questi giorni sia stato annunciato il cartellone 2020 dello Sferisterio di Macerata e che proprio il bianco coraggio ne sarà il tema conduttore. Oggi però, siamo animati dal rosso desiderio, che, fra eros, potere e vendetta, si è espresso con diversi esiti teatrali e musicalmente fra opposte tensioni: Francesco Lanzillotta in Carmen leviga e raccoglie come in un teatrino-bomboniera, Francesco Ivan Ciampa in Macbeth infila il cimiero e va alla conquista dell'Arena. A metà strada, Giampaolo Bisanti offre un Rigoletto passionale e ben equilibrato, che non rinuncia a uno spirito moderno, alla cura del dettaglio, ma nemmeno alla giusta dose di sangue e a un impeto ben controllato. 

Il cast permette di coniugare i due estremi, in primo luogo perché il protagonista è Amartuvshin Enkhbat, il giovane baritono mongolo che fra compagnie alternative e teatri di tradizione si è subito fatto notare in una rapida quanto meritata ascesa. È davvero un piacere ascoltare questo suo timbro schietto, pastoso, omogeneo, sentire un'emissione ampia, non grossa, notare la precisione musicale, il buon gusto innato, la pronuncia cristallina, l'intenzione giusta e misurata. È un vero peccato che si sia verificata qualche sbavatura nell'intonazione, come nella chiusa di “Cortigiani”, ma è anche evidente si tratti di incidenti che non inficiano il giudizio complessivo su un cantante solido e promettente come pochi, dotato di voce quanto, è chiaro, di cervello.

Come Duca di Mantova debuttava in Italia, dopo la recente presa di ruolo a Marsiglia, Enea Scala, belcantista di provata fama che non teme gli spazi aperti. Infilando acuti e sovracuti, ricorda una cosa fondamentale: tenore rossiniano non significa tenore leggero, anzi. Significa avere un dominio anche spregiudicato del timbro nelle sue varie sfumature, che non devono essere per forza di cose belle e levigate ma espressive virili e teatrali, e un mordente musicale che incarna il potere, la strafottenza, l'intrigante sgradevolezza del personaggio. Il belcanto come energia, come espressione totale di teatralità nella voce nel rigore musicale è il belcanto che si plasma anche nel linguaggio verdiano e lo risentiamo stasera in una lettura senza sconti, amara, disincantata. E, fra l'imponenza ben meditata di Rigoletto e il vigore tenebroso del Duca, la natura di lirico ancora leggero ma non chiaro di Claudia Pavone si può prestare alla perfezione a delineare una Gilda intensa, giovane donna illusa e ferita, con dolce semplicità. Proprio perché la propensione al versante lirico rispetto a quello virtuosistico (che, dopotutto, domina solo nella scrittura di grazia di "Caro nome") non solo favorisce l'espressione delle qualità dell'artista, ma può essere anche ben messa a frutto per un personaggio più franco e maturo, potrebbe benissimo rinunciare a puntature sovracute che nulla aggiungono e, anzi, possono metterla inutilmente a rischio.

Sparafucile è Simon Orfila, che difetta nell'estremo grave, ma se la cava da professionista soprattutto nel terzo atto. Martina Belli, Maddalena, si muove con disinvoltura musicale e scenica, forte di un perfetto physique du rôle. Matteo Ferrara, Marullo, non sembra nella sua serata migliore; ricordiamo poi la Giovanna di Alessandra Della Croce, il Monterone di Seung-Gi Jung, il Borsa di Vasyl Solodkyy, i Ceprano di Cesare Kwon e Anastasia Pigorova, il paggio sovreccitato di Raffaella Palumbo, l'usciere di Gianni Paci. Coro e orchestra si disimpegnano senza problemi, il primo preparato da Martino Faggiani, tutti sotto la guida salda di Bisanti.

L'allestimeno maceratese del 2015, d'ispirazione affine a quello di un paio d'anni precedente di Robert Carsen per Orange, torna piacevolmente sul palco dello Sferisterio con il suo sinistro luna park semiabbandonato in cui il clown Rigoletto ospita, covo e luogo di bagordi preferibilmente illeciti, il Duca, boss di una malavita in giacca e cravatta stile Iene di Tarantino. La locanda di Sparafucile è uno sgangherato food truck punto di riferimento e ristoro per le prostitute da marciapiede. Sicuramente la confezione scandalizzerà qualche feticista della figurina Liebig, ma la sostanza è quella di un normalissimo Rigoletto, di un Rigoletto – udite, udite! – tradizionale, dove il buffone nasconde la figlia, il Duca la seduce e quello giura vendetta ma le cose gli si ritorcono contro. La storia è sempre quella, i personaggi e i loro rapporti idem, la vicenda è narrata con cura e chiarezza, tutto, nella regia di Federico Grazzini, funziona a dovere e si fa apprezzare soprattutto nell'atmosfera dell'ultimo atto, degradata e spettrale, con quella punta di grottesco che potrà ricordare It o American Horror Story, ma stava già in Victor Hugo. E, infatti, la prima è un successo, pieno e meritato per tutti.

Le recite, a Macerata, continuano, come continuano gli eventi collaterali ed extraoperistici che animano l'estate dello Sferisterio (e chi si ferma qualche giorno non si perda la collezione d'arte del Novecento a palazzo Ricci), mentre già si dà l'appuntamento per il 2020, con Tosca, Il trovatore e Don Giovanni, e si rinnova il mandato per Lanzillotta direttore musicale. Con la direzione artistica di Barbara Minghetti e la sovrintendenza di Luciano Mezzi, la squadra ha un progetto e se il risultato della singola partita non può esser sempre pieno, la strategia del campionato è vincente: perché cambiarla?

foto Zanconi e Tabocchini


 

 

 
 
 

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