Pesaro: la stravaganza dell’Equivoco brilla al ROF

Il libretto del dramma giocoso rossiniano L’Equivoco stravagante, autore Gaetano Gasbarri, ha avuto in sorte di essere dapprima l’oggetto delle ruvide attenzioni della censura di Bologna (dove l’opera debuttò nell’ottobre del 1811 e fu fermata nel giro di tre rappresentazioni), poi delle contumelie di quasi tutti i biografi (a partire dal capostipite Radiciotti) almeno fino all’ultimo scorcio del XX secolo.

Solo a Rossini-renaissance ormai pienamente avviata ha preso piede una diversa considerazione di questo singolare exploit pseudo-letterario, che corre sulle rotaie parallele del grottesco paradossale fino al nonsense e dell’ammiccamento erotico tanto allusivo quanto greve. Basti dire che al cuore del “plot” c’è l’inganno (l’equivoco del titolo) con cui si fa credere al promesso sposo della giovane protagonista che essa è in realtà un uomo travestito e per di più evirato, in previsione di una carriera canora che poi non c’è stata. Il tutto con un lessico il cui “catalogo” Giovanni Carli Ballola descrive come meglio non si potrebbe nella sua monografia su Rossini (Milano, 2009): «…calembours, allitterazioni, assonanze, forti anacoluti, anfibologie, anafore, falsi lapsus linguae, iterazioni ritmicamente atteggiate, idiotismi, parodie e doppi sensi».

Comunque la si pensi sulle fonti di Gasbarri e sui suoi riferimenti culturali, le rotaie naturalmente non s’incontrano mai, generando quella “incapacità di organizzare lo svolgimento drammatico dell’azione” (così lo storico Philip Gossett) che è il vero punto debole dell’opera, a prescindere dall’assurdità della trama, dalla licenziosità insistita e fine a se stessa, dal clima da avanspettacolo che percorre i due atti.

Resta il fatto, tuttavia, che alla sua terza prova il diciannovenne Rossini mostra qui in modo lampante che la forza della sua idea melodrammaturgica è ormai pronta a rompere gli argini della tradizione e a disegnare nuovi confini per l’opera italiana. Affermando perentoriamente la capacità di andare “oltre” le parole, rimodellando o creando ex novo grazie alla sua musica «l’atmosfera […] che riempie il luogo in cui i personaggi del dramma rappresentano l’azione», secondo la celebre definizione che il compositore stesso avrebbe dettato vari decenni più tardi.

Nella fattispecie dell’Equivoco, la bruciante efficacia della partitura rossiniana genera a sua volta un caso particolare: la commedia scollacciata e “bassa” di Gasbarri convive  con un testo musicale che nei momenti migliori disegna con aerea levità ben altra brillantezza ed eleganza. Il pubblico è indotto alla risata dalle parole strampalate e dal pervasivo quanto arzigogolato sottotesto erotico, ma allo stesso tempo viene condotto in un clima espressivo ben altrimenti sottile e coinvolgente, grazie a invenzioni di ormai evidente maturità come il Finale del primo atto e specialmente il magnifico Quintetto del secondo atto, una vasta scena dalle numerose articolazioni espressive, della quale è protagonista importante, con le voci di tutti i personaggi principali, anche l’orchestra.

Sul podio c’è Carlo Rizzi, che ripercorre la partitura con brillantezza mai fine a se stessa, prodigo di accensioni ritmiche e di sfumature dinamiche, facendo risaltare al meglio la nitida disposizione strumentale dell’eccellente Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, al meglio fin dalla Sinfonia avanti l’opera. Mancando una pagina specifica, secondo tradizione consolidata è stata proposta quella della farsa La cambiale di matrimonio, che precede L’equivoco di un anno.

In scena si muove una compagnia di canto ottimamente assortita, che alla qualità vocale unisce quella scenica. La protagonista Ernestina, divisa fra pulsioni erotiche e grottesche ambizioni  filosofiche è ammirevolmente disegnata dal giovane mezzosoprano Teresa Iervolino, che passa con disinvoltura dall’affettata caricatura dei recitativi, con il loro linguaggio sconclusionato, alla delicata eleganza di un canto cui non fa difetto né il virtuosismo in agilità né la sottigliezza espressiva in coloratura.

Vicino a lei ben figura il tenore Pavel Kolgatin, l’amoroso Ermanno, che sconta l’emozione del debutto assoluto al ROF con un inizio piuttosto teso, ma poi dispiega una vocalità ben articolata, servita da un timbro di gradevole chiarezza, sempre ben controllato.

I due buffi sono Paolo Bordogna nel ruolo di Gamberotto, il padre di Ernestina, e Davide Luciano in quello del ricco e rozzo Buralicchio, sposo designato da Gamberotto per la figlia. La loro è una prova maiuscola per equilibro espressivo, ricchezza di timbro, capacità scenica, comicità  miracolosamente in equilibrio fra brillantezza musicale e ironia testuale.

Completano degnamente l’ottima distribuzione i due servi astuti, la Rosalia di Claudia Muschio, che canta con leggerezza la sua Aria e l’arguto Frontino di Manuel Amati. E si muove assai bene il coro del teatro Ventidio Basso, istruito da Giovanni Farina.

L’allestimento, come si diceva, si astiene da sottolineature volgari se non addirittura becere (come pure il testo consentirebbe)  e segue con eleganza il gioco di Rossini. Diretto da Moshe Leiser e Patrice Caurier, ambientato nella scenografia di Christian Fenouillat, con i costumi di sorridente tradizionalismo di Agostino Cavalca (luci di Christophe Forey), lo spettacolo prende quota dopo una certa staticità iniziale e già nel Finale primo mostra il gusto dei registi per dialoghi di plastica vivacità, controscene dettagliate ed eloquenti, svelta “manovra” del gruppo corale.

Ma è nel secondo atto che l’apparente fissità scenografica – un interno a pareti zigzaganti e volutamente sghembe, dominato da un ridicolo vasto dipinto bucolico con mucche al pascolo – si anima sempre più decisamente. Le pareti si spostano per creare lo spazio di una scena in prigione, si alzano per lasciare scivolare via letti, arredi e personaggi: il buffo quadro bucolico si anima e diventa di fatto uno spazio aggiuntivo in trompe-l’oeil, brillantemente utilizzato nel racconto scenico. Il ritmo accelera, convince e lascia il segno; l’opera assume in pieno il ruolo che è il suo: un significativo preannuncio del primo grande exploit buffo di Rossini, che arriverà, con l’Italiana in Algeri, di lì a meno di due anni.

In scena alla “Vitrifrigo Arena”, dove replicherà il 16, 19 e 22 agosto, L’equivoco stravagante ha raccolto il successo entusiastico che è nella tradizione del festival rossiniano: numerosi applausi a scena aperta, entusiasmo incontenibile alla fine, con ripetute chiamate e grida di approvazione per tutti i protagonisti dello spettacolo. A conti fatti, il successo più vivo di questa edizione del ROF.

Cesare Galla
(13 agosto 2019)

La locandina

Direttore Carlo Rizzi
Regia Moshe Leiser e Patrice Caurier
Scene Christian Fenouillat
Costumi Agostino Cavalca
Luci Christophe Forey
Personaggi e intrepreti:
Ernestina  Teresa Iervolino
Gamberotto Paolo Bordogna
Buralicchio Davide Luciano
Ermanno Pavel Kolgatin
Rosalia Claudia Muschio
Frontino Manuel Amati
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Coro del Teatro Ventidio Basso
Maestro del Coro Giovanni Farina

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