Torre del Lago, 65° Festival Puccini 2019: “Le Villi”

Torre del Lago (LU), Gran Teatro “Giacomo Puccini”– 65° Festival Puccini
LE VILLI seguito dall’elegia “I Crisantemi”
Opera-ballo in due atti su libretto di Ferdinando Fontana.
Musica di Giacomo Puccini
Anna DAFNE TIAN HUI
Roberto FABIÁN RODRÍGUEZ LARA
Guglielmo RAFFAELE RAFFIO
Orchestra Excellence 2019
Coro del Festival Puccini
Corpo di Ballo Pécsi Ballet
Direttore Alberto Veronesi
Maestro del Coro Roberto Ardigò
Regia Csaba Káel
Scene Éva Sendrényi
Costumi Kati Zoób
Coreografie Balász Vincze
Allestimento in coproduzione con il Müpa di Budapest
Torre del Lago, 16 agosto 2019
Se si volesse cercare della musica da ballo nell’opera pucciniana – genere che il compositore toscano non ha mai nascosto di amare, peraltro – “Le villi” sarebbe senz’altro una valida risorsa. La prima operina di Puccini – che, non dimentichiamolo, fu un trionfo a Milano, spalancandogli le porte di Casa Ricordi – infatti ricorre quasi più a momenti danzati che cantati, in quello stile “sinfonico descrittivo” (per citare lo stesso autore) su cui il suo maestro Ponchielli aveva molto insistito negli anni di Conservatorio. Ed è, in effetti, ancor oggi un gioiellino di orchestrazione, dall’evidente gusto francese bizet-massenetien che imperava negli anni Settata e Ottanta del XIX secolo in tutta l’Europa. Il maestro Alberto Veronesi la dirige con vigore, mostrando poca attenzione al lato più lirico della partitura, privilegiandone l’aspetto più sinfonico; la giovane orchestra Excellence 2019 colpisce per i suoni pulitissimi e ottimamente armonizzati. Ma il vero protagonista di questa serata, unico complemento a questa musica magnifica, è proprio il corpo di ballo Pécsi Ballet, diretto dal coreografo Balász Vincze: le coreografie sono tutte giocate sulla narrazione del sentimento musicale, attraverso movimenti ampi, molto lavoro a terra, poche prese e profonda leggibilità del gesto; è evidente che la scena stessa (ben realizzata da Éva Sendrényi, ma esteticamente piuttosto spartana, oltre che inspiegabilmente contemporanea, in un contesto di regia e costumi classici) sia stata pensata per questi danzatori formidabili e ipnotici. Il loro apporto è, peraltro, costante, anche durane le parti cantate, come una specie di coro tragico, che partecipa della scena anche quando è in silenzio. In questo senso, la regia di Csaba Káel ha saputo benissimo valorizzare la natura di opera-ballo dello spettacolo, forse, però, tralasciando troppo la parte canora: i cantanti appaiono  spaesati e senza una logica gestuale e di movimento, in preda ai soliti vizi di forma (paseggiatine su e giù, sbracciamenti, mani alla testa nei momenti di sofferenza, ecc), e si vede chiaramente lo iato tra queste goffaggini e il corpo di ballo elegantissimo. Il Coro del Festival Puccini (preparato e diretto da Roberto Ardigò) – che si distingue per una prova molto partecipata e coesa, specie nel finale del primo atto – è portato in scena praticamente senza costume (camicia e pantalone nero per tutti), a parte qualche accessorio che né aggiunge ai cantanti, né può essere apprezzato dal pubblico: sostanzialmente scialli, gorgere, berretti, il cui senso ci rimane ignoto (un po’ tipico del teatro dell’est). Invece i tre personaggi presentano costumi classici, senza un momento storico preciso: un generico fin-de-siècle, in cui, però, le valigie sono firmate come quelle di oggi, e i bicchieri sono vasi in plexiglass. Insomma, un pasticcio, se inseriamo questi costumi di Kati Zoób nelle scene di design contemporaneo di cui sopra. Ci piacerebbe dire che il terzetto canoro abbia regalato momenti indimenticabili, ma senza dubbio solo il tenore messicano Fabián Rodríguez Lara offre alcuni momenti di vero pathos: vocalità interessante, solida e dall’acuto pieno, Lara fraseggia con un’impronta “verista” il ruolo di Roberto (in maniera non del tutto corretto, trattandosi questa di un’opera di gusto scapigliato, quindi tutt’al più decadente, ma glissons) e conferisce al non certo simpatico protagonista maschile una qualche nobiltà; convinto interprete in scena è il baritono Raffaele Raffio, che pur mostrando una linea di canto omogenea e un timbro caldo, tende però a “intubare” e, in zona acuta a perdere, qua e la, il controllo dell’intonazione. In questa recita appare invece debole Dafne Tian Hui, che tratteggia una Anna vocalmente discontinua, sia nell’intonazione che nell’emissione. Il  fraseggio è approssimativo, la linea di canto è poco controllata, e manca del tutto di quel lirismo evanescente che Puccini vedeva nella povera vittima d’amore – specie nella scena del secondo atto, in cui Anna torna in forma lacrimosa di fantasma. Per fortuna che la musica e la danza sono gli aspetti preponderanti della serata: infatti, immediatamente a seguito di “Le Villi”, l’orchestra attacca un pezzo funebre scritto dal giovane Puccini (1890) – dall’eloquente titolo “I crisantemi” – che funge da trenodia per Roberto e Anna. Anche questo pezzo viene danzato dal Pécsi Ballet, che vi ha costruito un numero di danza che, dopo l’attacco, lentamente scende in platea e si dilegua. La soluzione è suggestiva e riuscita, e anche la bacchetta di Veronesi, in questo piccolo pezzo malinconico, sa accordarsi alla diafana tristezza sprigionata dai suoni e dal gesto coreografato. È in effetti una degna conclusione, sia per la breve opera, sia per la serata, e non possiamo che augurarci che questo giovane capolavoro, che sa offrire davvero tanti spunti estetici (arte, canto, danza, recitazione, musica sinfonica) possa ritornare stabilmente nel repertorio dei nostri teatri, magari ancora nella forma “prolungata” dagli struggenti “Crisantemi”. Foto Giorgio Andreuccetti