Venezia, Teatro Malibran: “Luci mie traditrici” di Salvatore Sciarrino

Venezia, Teatro Malibran, Lirica e balletto, Stagione 2018-2019
LUCI MIE TRADITRICI”
Opera in due atti, Libretto e musica di Salvatore Sciarrino da “Il tradimento per l’onore” di Francesco Stramboli con un’elegia di Claude Le Jeune su testo di Gilles Durant de la Bergerie.
La Malaspina WIOLETTA HEBROWSKA
Il Malaspina OTTO KATZAMEIER
L’ospite CARLO VISTOLI
Un servo della casa LEONARDO CORTELLAZZI
Voce dietro al sipario LIVIA RADO
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Tito Ceccherini
Regia Valentino Villa
Scene Massimo Checchetto
Costumi Carlos Tieppo
Luci Fabio Barettin
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 13 settembre 2019
Luci mie traditrici è la settima opera di Salvatore Sciarrino, rappresentata in prima assoluta il 19 maggio 1998 al Rokokotheater di Schwetzingen. La forte attrazione che la musica antica ha sempre esercitato nei confronti del compositore siciliano, lo indusse a progettare, nella prima metà degli anni Ottanta, un’opera su Gesualdo da Venosa, ma, venuto a sapere che Alfred Schnitrke stava lavorando a un soggetto analogo, abbandonò almeno parzialmente l’idea, mettendosi a produrre un testo, tratto da Il tradimento per l’onore, dramma seicentesco inizialmente attribuito al fiorentino Giacinto Andrea Cicognini, ma successivamente riconosciuto come opera del veneziano Francesco Stramboli. Ne nascerà il libretto di Luci mie traditrici. La scelta da parte di Sciarrino del lavoro di Stramboli fu dovuta alle sue analogie con con la cupa vicenda di Gesualdo, responsabile di un delitto d’onore, passato alla storia. Sciarrino ridusse drasticamente il testo, tra l’altro eliminando qualsiasi riferimento diretto al musicista di Venosa. L’azione si svolge in una sola giornata, nel corso della quale si passa dalla felicità coniugale del duca e la duchessa di Malaspina all’improvviso accendersi della passione di lei per un amico (L’ospite), all’inesorabile vendetta del marito, cui ha denunciato l’adulterio un servo, innamorato della nobildonna. La rappresentazione al Malibran di Luci mie traditrici – il lavoro teatrale più rappresentato di Sciarrino è suggellata, in prima assoluta, da un congedo, “Distendi la fronte”, madrigale a cinque voci con strumenti, rielaborazione di quello a quattro voci e strumenti composto per la rappresentazione dell’opera a Basilea nel ’17. In Luci – proseguendo la sua ricerca sul canto, già ravvisabile in Lobengrin e Perseo e Andromeda – Sciarrino raggiunge una vocalità matura, stilizzata, ben diversa dal tradizionale declamato: le linee di canto spesso iniziano con una nota tenuta, a partire dalla quale intervalli si producono per progressivo distacco da quel suono, con esiti funzionali alla reiterazione di parole e frasi. Prevale una dimensione monodica, di ascendenza gregoriana, in modo da dare massimo risalto ad ogni intervallo, cui fa da sfondo un rarefatto paesaggio sonoro, che evoca le voci – fortemente stilizzate – della natura o materializza il “flusso di coscienza” dei personaggi. L’intera vicenda si svolge in un crescendo di tensione, che diventa sempre meno sostenibile, tanto che alla fine il canto viene sostituito dal parlato o da sussurri soffocati. Estremamente valida, a questo proposito, è stata la prestazione offerta dai cantanti, che hanno saputo rendere, con fraseggio chiaro ed espressivo, le esitazioni, le concitazioni, le coazioni a ripetere, caratterizzanti la vocalità sciarriniana, la cui forza drammatica era esaltata dal loro sorvegliatissimo gesto scenico. Otto Katzameier è stato un Malaspina tenero e fragile all’inizio, per assumere il carattere diabolico di chi assapora lentamente, freddamente, con inesorabile progressione il gusto della vendetta. Gli ha corrisposto una Wioletta Hebrowska (LaMalaspina), che analogamente ha convinto nel suo graduale passaggio da sposa fedele, sostegno del proprio consorte, ad adultera, vinta dalla passione, a docile vittima consapevole della propria colpa, che si offre spontaneamente al terribile castigo. Perfettamente adeguati ai loro ruoli sono apparsi Carlo Vistoli un Ospite, amante appassionato – e Leonardo Cortellazzi nei panni del Servo bieco e delatore. Non è stata da meno Livia Rado nel Prologo e poi nel madrigalesco Congedo. Il maestro Tito Ceccherini si è confermato uno specialista assolutamente collaudato nel repertorio contemporaneo, guidando con geometrica precisione i cantanti e l’orchestra, che li accompagna con una musica altamente evocativa quanto rarefatta – nei modi tipici di Sciarrino –, fondata su rapide figure, oltre che su suoni di fondo a volte quasi impercettibili. La compagine strumentale ha brillato, in particolare, nei tre intermezzi orchestrali, che formano una sorta di percorso parallelo a quello delle scene, in cui progressivamente si trasforma e dissolve l’antica musica – un’elegia a tre voci di Claude Le Jeune sulla perdita della bellezza della donna amata con la morte –, intonata nel Prologo da una voce di soprano. Non tanto il fatto in sé, quanto il progressivo acuirsi della tensione sta alla base della drammaturgia creata da Sciarrino, che non a caso ha ridotto la trama all’estremo, quasi si trattasse di una sceneggiatura cinematografica, fatta di poche sequenze: il dramma sta nell’attesa. In tal senso, il regista Valentino Villa non ha, opportunamente, dato eccessivo spazio al “fatto di cronaca”, per mettere in rilievo la dimensione psicologica dominante nell’opera, che, anche strutturalmente, soprattutto in questa versione – in cui Prologo e Congedo creano una sorta di cornice metateatrale – pare svolgersi in un tempo circolare, in cui la vicenda può ripetersi ciclicamente, in un nietzschiano Eterno Ritorno. Questa impostazione si riflette nell’allestimento, che nella prima scena presenta la casa dei Malaspina come un luogo abbandonato, subito dopo i fatti delittuosi. La storia procede a ritroso nel tempo: dalla stanza, ormai invasa dalla vegetazione, in cui si ripete ancora una volta – ma all’interno – l’iniziale scena del giardino, fino all’ultima scena della vendetta, che ci riporta al momento, in cui si svolsero per la prima volta i fatti, in un ambiente “ripulito”. Davvero indovinate le scene, ideate con l’apporto di Massimo Checchetto, che si ispirano a un razionalismo stile Bauhaus al pari dei costumi di Carlos Tieppo, gradevoli nella loro foggia contemporanea. Efficace l’uso delle luci da parte di Fabio Barettin, con evidente simbolismo: generalmente soffuse, si accendono di rosso in relazione ai momenti più tragici della vicenda. Successo pieno con un lungo applauso finale.