Il “Don Giovanni” di Mozart all’Opera di Roma

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2018/2019
“DON GIOVANNI”
Dramma giocoso in due atti, libretto di Lorenzo Da Ponte.

Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni RICCARDO FASSI

Donna Anna VALENTINA VARRIALE**
Don Ottavio  ANICIO ZORZI GIUSTINIANI
Il Commendatore ANTONIO DI MATTEO
Donna Elvira GIOIA CREPALDI
Leporello GUIDO LOCONSOLO
Masetto ANDRII GANCHUK*
Zerlina RAFAELA ALBUQUERQUE*
*dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
** diplomata “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Jérémie Rhorer
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Graham Vick
Scene Samal Blank
Costumi Anna Bonomelli
Luci Giuseppe di Iorio
Movimenti coreografici Ron Howell
Nuovo allestimento del teatro dell’Opera di Roma

Roma, 04 ottobre 2019
In scena al teatro dell’Opera di Roma il Don Giovanni di Mozart affidato alla regia di Graham Vick, quale ideale compimento dei titoli dapontiani  affrontati nelle stagioni precedenti, ed alla direzione del maestro Jérémie Rhorer. L’opera è stata eseguita nella versione di Praga priva delle due impegnative arie destinate a don Ottavio e donna Elvira. Lo spettacolo viene ambientato in un immaginario grigio e squallido presente nel quale campeggiano un albero secco e due nubi la cui forma ricorda vagamente gli emisferi del’encefalo sulle quali è scritto il titolo dell’opera. Tutto lo spettacolo scorre in maniera veloce e disinvolta narrando in maniera chiara la vicenda per altro non tra le più ingarbugliate del grande repertorio, giungendo verso un finale ad effetto nel quale il protagonista anziché essere spinto nella fossa scavatagli da Commendatore da una brutta copia della mano michelangiolesca della creazione di Adamo, a sorpresa ne rompe un dito, lo butta via e mentre tutti cantano il finale si arrampica sull’albero secco sul qual è salito innumerevoli volte durante lo spettacolo lasciandosi anche spenzolare appeso ad un suo ramo per le gambe mentre canta. L’idea probabilmente è che morte e vita siano uguali, che sostanzialmente non vi sia alcuna punizione per la dissolutezza di fronte alla quale anche la mano di Dio diviene impotente, il tutto raccontato con una pretesa ironia attribuita al dramma giocoso che dovrebbe alleggerire gli eventi estremi della vita. Una recitazione molto curata e mai stereotipata predomina su una certa meccanicità dei veloci recitativi e del fraseggio, come se l’attenzione degli interpreti fosse per forza di cose più concentrata sui movimenti di scena che sulle capacità espressive della parola e della musica. Incomprensibile e inutile citazione massonica è sembrata la comparsa  delle piramidi che fanno transitoria mostra di sé nel secondo atto. Assolutamente gratuite e di solo cattivo gusto sono risultate la violenza con la quale il protagonista infierisce sul commendatore o la trivialità con la quale  indica i propri genitali o si avventa sul cibo. Il ‘900 è stato il secolo dell’immagine, siamo stati abituati a vedere di tutto e a superare o a dimenticare le categorie dello scandalo e della riprovazione ma il brutto resta comunque tale e senza possibilità di redenzione.  Assolutamente slegato dai momenti della vicenda è poi apparso il gioco delle luci nel definire per esempio la notte ed il giorno.  Infine francamente brutti i costumi con don Ottavio che entra in scena in ciabatte e pigiamino da discount, donna Elvira vestita da suora forse quale anticipazione delle scelte future o quale ridicolizzazione dell’amore virtuoso che dovrebbe incarnare, don Giovanni e Leporello abbigliati sostanzialmente in modo identico per cui resta di difficile comprensione il gioco dello scambio di abiti e donna Anna conciata come una persona di servizio dei nostri giorni con due grandi buste ecologiche da supermercato. Nessun riferimento o cenno viene fatto nei costumi e nelle movenze alle distanze sociali abissali che separano e caratterizzano i vari personaggi, descritte doviziosamente da testo e musica. La direzione del maestro Rhorer molto chiara nella concertazione è sostenuta dall’idea che l’opera sia una sorta di corsa verso l’inferno e in tale ottica i recitativi vengono declamati a grande velocità talvolta a scapito della comprensione del testo e tutta la lettura appare impostata su una crescente e febbrile corsa verso il finale che alla fine risulta un po’ monotona. Sostanzialmente su un livello di mediocre correttezza gli interpreti vocali tutti assai impegnati e con buoni risultati nell’andare a tempo, eseguire i complessi movimenti scenici e caratterizzare i personaggi ma in qualche caso con dei limiti vocali. Riccardo Fassi ha risolto ruolo eponimo con singolare bellezza  e disinvoltura scenica, correttezza vocale ma poca varietà nei recitativi, nelle dinamiche e nel fraseggio. Espressiva  e sicura vocalmente la donna Anna di Valentina Varriale eseguita con bella voce e elegante musicalità. Corretto il don Ottavio di Anicio Zorzi Giustiniani sia pure con qualche prudenza e qualche suono nasale di troppo. Autorevole e morbido nell’emissione ma con un registro grave non troppo sonoro è sembrato il Commendatore di Antonio di Matteo. Assai asprigna nel timbro e monocorde  la donna Elvira di Gioia Crepaldi. Prestante scenicamente ma molto compassato e con alcune disuguaglianze vocali il Leporello di Guido Loconsolo. Ottimo il Masetto di Andrii Ganchuk per sicurezza ed omogeneità di emissione, prestanza e appropriatezza scenica e altrettanto brava la Zerlina di Rafaela Albuquerque anche se più superficiale ed esteriore nella resa delle molte sfumature del proprio personaggio forse anche per indicazione di regia, entrambi allievi del progetto “Fabbrica”.Applausi di cortesia ai vari appuntamenti vocali da parte di un pubblico distratto, irritato ed evidentemente impreparato che ha iniziato ad applaudire a metà dell’aria del catalogo ed ha lasciato rumorosamente cadere e rotolare una bottiglietta d’acqua fra le poltrone della platea fin verso la buca. Alla fine molti fischi all’indirizzo della regia e della messa in scena. Foto Yasuko Kageyama