L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

È buona la mia Tosca

 di Antonino Trotta

Rientrato sul podio del Teatro Regio di Torino, Daniel Oren impone la sua rodata Tosca anche alla seconda compagnia di canto: su tutti emerge Jonathan Tetelman che si lascia ammirare per il potenziale, seppur parzialmente espresso, del mezzo vocale.

Torino, 23 ottobre 2019 – Per i cantanti non deve essere stato affatto facile passare, nell’arco di un paio di recite, dalla Tosca del giovane Lorenzo Passerini – ascoltato sabato 19 ottobre – a quella di un direttore di vaglia quale Daniel Oren è. Le due letture del capolavoro pucciniano non potevano essere più diverse: il primo rilassa a dismisura tempi, esalta e esaspera il coté sentimentale della partitura, sembrando talvolta faticare nel controllo di un’orchestra invero reattivissima come quella del Teatro Regio di Torino; il secondo invece impone senza difficoltà alcuna ritmi taglienti, agogiche volubili e volitive, colori variegati seppur non propriamente approfonditi per la stringatezza delle prove che in fin dei conti si restringono alla recita del giorno precedente – «ha più forte sapore la conquista violenta che il mellifluo consenso» insomma – . E se sul riconquistato podio la prova di Daniel Oren non ottiene i risultati conseguiti nell’ultima Butterfly, quantomeno si può ammirare la maestria del concertatore di razza, capace di tenere sott’occhio buca e palcoscenico senza mai preferire l’uno all’altro. Perché sì, i cantanti si fanno in quattro per non perdere un solo attacco – Tosca rischia un torcicollo, soprattutto nel primo atto dove Oren incapriccia i complessi sabaudi per speziare l’ammiccante duetto –, ma è comunque vero che il maestro israeliano conosce le esigenze della ribalta e nell’escalation drammatica della “scena della tortura” concede più e più di una tregua.

Sforzi di coordinazione a parte, inevitabili e comprensibili, non tutto quadra nella seconda compagnia di canto. Accolto da caldi applausi a scena aperta e non, Jonathan Tetelman vince la medaglia d’oro nella serata di mercoledì 23 ottobre: con un materiale timbrico dalle interessanti screziature baritonali e forte di una presenza scenica di tutto rispetto, il tenore americano in erba, pressoché sconosciuto in Italia, sfoggia tanta potenzialità da finalizzare con un puntuale lavoro sull’emissione, spesso muscolare nella tessitura acuta. Il suo è un Cavaradossi dal fraseggio avventuroso e ingenuo, prodigo sul versante delle mezze voci e ardimentoso nel vincere la tensione del primo appuntamento con Oren – e anzi, a tal proposito, fa bella mostra di un’ottima tenuta del fiato nel duetto iniziale –, ma pur gli capita di cedere alle lusinghe di quelle stoccate espressive impropriamente additate come “veriste” – termine che dovrebbe qualificare una corrente, non un modo di interpretar –. Ivi dunque non si ravvisa appieno la caratura del personaggio su cui invece ben investe Davinia Rodriguez, Tosca dalle buone sfumature drammatiche. Civettuola e stupidina prima, passionale e impulsiva poi, senza tralasciare il rimorso per il gesto infausto che caratterizza il finale del secondo atto, il soprano spagnolo trova il suo tallone d’Achille nella resa vocale del ruolo che, spiace constatarlo, appare completamente fuori dalla sua portata per peso, resistenza e disomogeneità tra i registri – sgraziato quello acuto, inconsistente e artificioso quello grave –. Scarpia infine è Gevorg Hakobyan, inappuntabile sul piano musicale, corretto su quello interpretativo: voce di giusto volume e bel colore, ha senso della misura e buon gusto nel porgere, ma mai si finisce col tifare per il cattivo.

Del sontuoso allestimento firmato da Mario Pontiggia (scene e costumi sono di Francesco Zito) e del comprimariato si condivide quanto descritto dal collega Alberto Ponti nella recensione del primo cast.

Buona affluenza di pubblico e affettuose ovazioni per Oren: è buona la sua Tosca.


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