Milano: Tosca vola alla Scala

Diciotto minuti di applausi, convinti e compatti, suggellano un successo pieno della Tosca “come non l’avevamo mai sentita – e come probabilmente, anche a detta di Roger Parker che ne ha curato l’edizione critica, non la sentì neppure il pubblico del Costanzi la sera del quattordici gennaio 1900 – che ha inaugurato la stagione 2019-2020 del Teatro Alla Scala.

Un applauso di quasi cinque minuti è stato dedicato al Presidente Mattarella, baluardo della democrazia, subito prima dell’inizio di una delle opere che maggiormente stigmatizza le devianze del potere politico.

Non poteva non destare curiosità, prima ancora che interesse, la musica espunta da Puccini a tutto vantaggio di una stringatezza drammaturgica che è caratteristica fondamentale della sua estetica e che Riccardo Chailly ha voluto ripristinare in nome di una verità storica più che condivisibile dal punto di vista musicologico ma che tuttavia fanno apprezzare ancor di più la versione definitiva e più stringente che da sempre conosciamo.

Le battute “in più” cantate da Cavaradossi nel duetto del primo atto sono iperglicemiche e indeboliscono la natura sensuale della pagina, mentre la maggior estensione del Te Deum non è del tutto censurabile.

Convince la maggiore ampiezza dedicata all’uccisione di Scarpia, con la musica che sembra preludere a quelle di Bernard Herrmann per i film di Hitchcock tanto è tagliente; mentre non convincono per nulla la coda a “E lucevan le stelle” e lo sfogo disperato di Tosca sul corpo di Mario.

Davide Livermore, al suo secondo Sant’Ambrogio, confeziona ancora una volta uno spettacolo capace di accontentare i palati più diversi miscelando con intelligenza tradizione e innovazione.

Il melomane passatista ci troverà “tutto quello che è scritto sul libretto” e l’appassionato “innovatore” si compiacerà della modernità di alcune idee registiche. Tutti d’accordo e tutti contenti dunque.

Livermore, complice l’apparato scenico realizzato da Giò Forma, sfrutta fino in fondo tutta la tecnologia di cui dispone il palcoscenico della scala consentendo vorticosi – ogni tanto anche troppo – cambi a vista, permettendo alle lesene di Sant’Andrea della Valle di lasciare celermente il posto alla cappella degli Attavanti e di far emergere dal fondo l’altare del santissimo Sacramento durante il Te Deum.

Nel secondo atto sono i video di D-wok a farla da padroni –  nel primo si era visto il ritratto “interattivo” dell’Attavanti-Maddalena – con le tele che ornano lo studio di Scarpia e che, come i quadri di Hogwarts nella saga di Harry Potter, prendono vita partecipando all’azione.

Per la prima volta, poi,  grazie all’innalzamento di parte della scena, appare la camera di tortura dove Cavaradossi viene “interrogato”.

Il terzo atto vede l’ala dell’Angelo di Castello a ricordare dove siamo e su questa si proietta la Mole Adriana di una stampa settecentesca, il tutto in un’atmosfera di ferrigna claustrofobia.

Il gesto scenico è ben calibrato e non si cade mai, o quasi, nella didascalia; particolarmente efficace il secondo atto con Tosca che, non paga delle coltellate, strangola Scarpia in un impeto ferino che lascia subito spazio ad una disperata impotenza.

Teatralissimo il finale, con la protagonista che non si getta nel vuoto ma rimane sospesa in un volo che la proietta in una dimensione di alterità cristallizzata.

Bellissimi i costumi di Gianluca Falaschi – che sembrano nati sotto l’ala benevola di Mariano Fortuny, soprattutto per quanto attiene ai tessuti – che rivisita l’Impero in chiave Liberty e si concede la licenza di una Tosca che entra in scena vestita come una popolana e non come una diva, quasi a svelarne le sue origini. Meravigliosi gli abiti di Scarpia e dei suoi sgherri tutti giocati su un cupo eppure vivido contrasto di rosso e nero.

Riccardo Chailly, e con lui l’orchestra in ottimo spolvero, scava nei meandri della partitura e la rende all’ascolto attraverso una minuziosa introspezione che si concentra più sul sottinteso che non sull’esternazione; ne consegue un arco melodico trattenuto, intimo, a tratti ritroso nelle dinamiche, con tempi che si allargano e ritmi fascinosi nella loro ritrosia.

La Tosca di Anna Netrebko è decisa e al contempo fragilissima, a momenti adolescenziale nelle reazioni ma neppure per un momento capricciosa. La voce corre sicura, soprattutto quando il soprano russo decide di alleggerirne il peso dando cosi sfogo ad acuti di luminosa bellezza.

Del “Vissi d’arte” la Netrebko fa un capolavoro di controllo del fiato e di ricerca di accenti, con un paio di prodezze sul legato che raramente è dato sentire.

Francesco Meli, voce di bellezza assoluta, disegna un Cavaradossi antieroe dalle mille sfumature grazie ad un uso sapiente delle mezzevoci e alla capacità di smorzare senza perdere peso e sostanza.

Il migliore della serata è Luca Salsi; il suo Scarpia è nobilissimo negli accenti, lontano da qualsiasi volgarità che negli anni la “tradizione” aveva imposto, capace di intimidire sussurrando e di imporsi con repentini e calcolati cambi d’intenzione. La voce corre sicura su una linea di canto impeccabile e la recitazione è misurata pur nella sua necessaria imperiosità.

Da manuale il Sacrestano di Alfonso Antoniozzi che ancora una volta pone la sua arte consumata a disegnare un personaggio vero e lontano da ogni inclinazione macchiettistica sottolineandone comunque la vis comica.

Carlo Bosi è Spoletta perfetto, vagamente querulo a mascherare la cattiveria che lo anima e che si giova del taglio riaperto nella sua litania irridente, cosi come Giulio Mastrototaro è Sciarrone di ottimo peso.

Corretto l’Angelotti di Carlo Cigni, così come il Pastore di Gianluigi Sartori e il Carceriere di Ernesto Panariello.

Il coro preparato da Bruno Casoni si comporta egregiamente.

Alessandro Cammarano
(7 dicembre 2109)

La locandina

Direttore Riccardo Chailly
Regia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-wok
Personaggi e interpreti:
Tosca Anna Netrebko
Mario Cavaradossi Francesco Meli
Il barone Scarpia Luca Salsi
Cesare Angelotti Carlo Cigni
Il sagrestano Alfonso Antoniozzi
Spoletta Carlo Bosi
Sciarrone Giulio Mastrototaro
Un carceriere Ernesto Panariello
Un pastore Gianluigi Sartori
Orchestra e coro del Teatro Alla Scala
Maestro del coro Bruno Casoni

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