Verona: la Lucia di Lammermoor di tradizione trionfa al Filarmonico

La luna sanguina, come nella sinistra profezia di Jochanaan in Salome, mentre Lucia rievoca una terribile antica storia di amore e morte. Più tardi, quando il siderale belcanto che Donizetti forgia per la gran scena inciderà l’epitaffio del suo orribile delitto e soprattutto della sua follia, la “sposa di Lammermoor” si porterà appresso un bambolotto da un capo all’altro della scena, parlandogli come se fosse il suo amato. E pazienza se a qualcuno vengono in mente le scene di qualche thriller un po’ trash, made in Usa. Intanto, grossi rivoli di sangue scendono sullo sfondo. Alla fine, quando Edgardo si lascia cadere sulla spada mentre passa il feretro dell’amata negata, due colombe bianche spiccheranno il volo nella notte. Anime che si ricongiungono nella dimensione ultraterrena.

All’alba dell’opera romantica italiana, Lucia di Lammermoor (1835) resta stabile nel repertorio in virtù della sua capacità di disegnare archètipi melodrammatici che faranno molta strada, o di suggellarli stabilendo il “non plus ultra”. La scena della follia è uno di questi ultimi: un punto di non ritorno nel quale l’ormai esaurita tradizione belcantistica tenuta in vita da Rossini s’incarna nel tragico e nell’oscuro. Ma è forse anche più significativo cogliere nel personaggio di Edgardo la tipologia nascente del “bel tenebroso”, eroe solitario e tragicamente determinato, amico della notte: nasce con lui un “carattere” vocale che farà molta strada attraverso la drammaturga verdiana prima di perdere coesione e senso autentico al volgere del secolo. E viene da pensare che se Donizetti fosse andato più a fondo nel delineare il “vilain” della storia, il cupo e truce Lord Enrico, che sacrifica la sorella alla ragion di casata e al suo personale interesse, avrebbe creato un perfetto capolavoro ante litteram del Romanticismo italiano. Perché già aveva dimostrato di essere sulla buona strada grazie alla duttilità sfoggiata nel piegare la forma alle esigenze del dramma.

Posta a inaugurare la stagione lirica al Filarmonico della Fondazione Arena, Lucia di Lammermoor ha visto trionfare la messa in scena di tradizione firmata per regia e costumi dal due volte sovrintendente areniano Renzo Giacchieri (nel 2018 consulente formalmente incaricato, ma lasciato in disparte dalla Fondazione appena affidata a Cecilia Gasdia). In questo spettacolo prodotto originariamente dal teatro Verdi di Salerno (scene e project design di Alfredo Troisi, luci di Paolo Mazzon) la narrazione – giustamente sempre “notturna” e cupa, perché tale è l’opera – percorre una traiettoria evidente quanto manierata, dentro a una consuetudine rappresentativa che per essere datata non è necessariamente implausibile. Si è assistito a un esemplare di teatro “all’antica italiana”, cui non nuocciono tanto i simbolismi un po’ artificiali e ingenui di cui si parlava all’inizio, ma semmai la compassata gestione delle masse, lo schematico gioco di entrate e uscite, la gestualità accentuata eppure sostanzialmente vuota dei personaggi in scena, secondo un’attorialità insieme retorica e a rischio di caricatura. In generale, non è parsa la dinamicità la principale caratteristica dello spettacolo, risultato anzi alquanto statico, ma piuttosto il gusto del “tableau vivant”, sottolineato dall’eleganza dei costumi e delle “composizioni” di coro e figuranti sul palcoscenico.

Che un simile approccio – ai giorni nostri sicuramente minoritario rispetto ad altre tendenze interpretative – serva davvero a mettere a fuoco di più e meglio la musica e il canto è questione aperta. Che abbia un suo pubblico, al netto della tradizione altrettanto antica della claque, è però indiscutibile almeno per quanto riguarda lo spettacolo veronese. Al Filarmonico, infatti, un pubblico caldissimo anche se non proprio da tutto esaurito ha approvato ripetutamente e lungamente a scena aperta quasi tutti i protagonisti, suggellando lo spettacolo inaugurale con quasi dieci minuti di applausi.

La compagnia di canto si è in effetti fatta valere in maniera piuttosto convincente. Nel ruolo del titolo, Ruth Iniesta ha navigato nelle insidiose acque belcantistiche approntate al personaggio da Donizetti con agile eleganza, sottigliezze poetiche specie nella zona centrale della tessitura, sfumature dinamiche adeguate. La salita in zona sovracuta è sicura, anche se in alta quota il colore tende un po’ a sbiancare e il controllo non impedisce che il suono si appiattisca. Molto positiva anche la prova del tenore Enea Scala, un Edgardo appassionato e introspettivo, con il colore giusto e l forza espressiva che serve per sottolineare la funesta passione del personaggio. Positive anche le voci basse: Simon Lim è stato un Raimondo dolente e nemmeno troppo ipocrita, con linea di canto piena e corposa anche nella zona più bassa; Alberto Gazale ha risolto con esperienza la tensione espressiva che domina il “cattivo” dell’opera, Lord Enrico Ashton, anche se forse non è andato in profondità nella caratterizzazione come sarebbe stato auspicabile. Niente più che decorosi i comprimari (Enrico Zara – Lord Arturo –, Lorrie Garcia – Alisa – e Riccardo Rados – Normanno), non memorabile il coro istruito da Vito Lombardi, insolitamente poco a suo agio nel trovare misura e compattezza.

Dal podio, Andriy Yurkevych (al debutto operistico al Filarmonico) ha sbrigato la pratica senza voli pindarici, con una medietà che ha un po’ tagliato le ali alla febbrile drammaticità disegnata da Donizetti, spesso scegliendo tempi molto compassati e preoccupandosi soprattutto di trovare i colori giusti, anche a scapito dell’incisività del fraseggio. L’orchestra areniana l’ha assecondato assai bene, mettendo in vetrina specialmente la qualità dei legni, decisivi per disegnare clima e psicologia dell’opera.

Cesare Galla
(26 gennaio 2020)

La locandina

Direttore Andriy Yurkevych
Regia e costumi Renzo Giacchieri
Scene e Projection design Alfredo Troisi
Luci Paolo Mazzon
Personaggi e interpreti:
Lord Enrico Ashton Alberto Gazale
Lucia Ruth Iniesta
Sir Edgardo di Ravenswood Enea Scala
Lord Arturo Bucklaw Enrico Zara
Raimondo Bidebent Simon Lim
Alisa Lorrie Garcia
Normanno Riccardo Rados
Orchestra, Coro e tecnici dell’Arena di Verona
Maestro del Coro Vito Lombardi

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