“I Capuleti e i Montecchi” di Bellini tornano al Teatro dell’Opera di Roma

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2019/2020
“I CAPULETI E I MONTECCHI”
Tragedia lirica in due atti,
libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Romeo VASILISA BERZHANSKAYA
Giulietta MARIANGELA SICILIA
Tebaldo IVAN AYON RIVAS
Lorenzo NICOLA ULIVIERI
Capellio ALESSIO CACCIAMANI
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Daniele Gatti
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia, scene, costumi e luci Denis Krief
Nuovo allestimento del teatro dell’Opera

Roma, 26 gennaio 2020
Torna sulle scene del Teatro dell’Opera di Roma I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, opera qui rappresentata in passato solamente tre volte ed in genere titolo poco frequentato del catalogo belliniano anche per una non univoca considerazione da parte della critica, a dispetto di una magnifica invenzione melodica e di una non comune e capacità di sintesi e di intensità drammatica che oggi più che nel passato appare in sintonia con il gusto del pubblico. L’attuale allestimento è stato affidato alla bacchetta di Daniele Gatti ed a Denis Krief che ha curato con alterni risultati regia, scene, costumi e luci. Lo spazio scenico viene definito da un contenitore delimitato da scarne arcate che rievocano il clima metafisico di De Chirico ma forse anche il legname del Globe Theater con in fondo un lucente filo spinato a ricordare le divisioni e i conflitti di allora come di oggi. Una grata lignea viene calata al bisogno per i cambi di scena un po’ come se la vicenda si svolgesse in un luogo della mente e non in un tempo storico reale. Fin qui possiamo dire molto bene e in sintonia con la linearità delle melodie e l’essenzialità della orchestrazione belliniana. Francamente brutti viceversa sono apparsi i costumi che a colpo d’occhio richiamavano opere del genere verista come Cavalleria o la Fanciulla del West. Difficile trovare un’armonia plausibile tra un libretto che parli ripetutamente di acciari e spade in un contesto dal registro comunque elevato e i fucili o le pistole così ripetutamente e staticamente puntate o peggio infilate nei pantaloni come fanno i bambini quando giocano a indiani e cowboy. Poco efficaci e prive di magia nel creare le atmosfere della vicenda sono apparse le luci. Infine nella apprezzabile consapevolezza storica che sia un teatro che vada più ascoltato che visto, merito indiscusso di questa regia è stato quello di lasciare spazio alla musica. Ad essa infatti  spetta il compito principale di incantare e far sognare il pubblico riservando la narrazione e l’azione ai momenti di recitativo, non sovraccaricando mai l’elegante dipanarsi delle melodie con elementi inutilmente distraenti o peggio malamente sovrapposti. Molto elegante la direzione del maestro Gatti, capace di cogliere le infinite sfumature della partitura ed attentissima nel sostenere adeguatamente le linee vocali dei cantanti. Meno brillante del solito è sembrata la prova del coro che a tratti è parso non essere riuscito a trovare la bella omogeneità timbrica comunemente esibita. La ingannevole semplicità della scrittura belliniana forse lascia più scoperti voci e strumenti di quanto non si immagini.E veniamo alle voci di questa recita. Nel ruolo en travesti di Romeo il mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya con bella voce sicura, estesa, morbida ed omogenea ha disegnato con commossa partecipazione un ritratto convincente dell’innamorato per antonomasia, superando con apparente disinvoltura i non pochi scogli della scrittura vocale e esprimendo i vari caratteri del personaggio con sincera e commovente intensità. Soave Giulietta nonostante l’annuncio di una indisposizione vocale è stata il soprano Mariangela Sicilia, ben amalgamata timbricamente con la deuteragonista e raffinatissima nel fraseggio ricco di sfumature mai fini a se stesse ma sempre volte a esprimere un sentimento o a sottolineare una parola.  Dagli acuti sicuri il Tebaldo di Ivàn Ayòn Rivas viene a capo onorevolmente della impegnativa sortita con una visione del personaggio forse più sospirosa che non eroica ma sempre ben controllata ed in linea con le intenzioni del direttore.Alessio Cacciamani è stato un Capellio assolutamente convincente sul piano vocale aiutato anche dall’imponenza del fisico a raccontare il cieco ed ostinato mondo degli adulti in contrapposizione a quello giovanile. Infine Nicola Ulivieri con bella voce e ottima recitazione, trasformato da medico in uomo di chiesa, ha impersonato con giusta e misurata affettuosità del timbro e delle movenze il ruolo dell’unico adulto in grado di comprendere le ragioni dei due giovani innamorati. Ottimo infine il programma di sala presentato, per la cura e l’ampiezza dei contributi.Lunghi applausi a scena aperta ad ogni atteso appuntamento vocale ed alla fine meritato e brillante successo per tutti. Foto Yasuko Kageyama