Verona: l’Italiana in Algeri ai tempi della peste

Il surreale si addice all’Italiana in Algeri, che – come ormai sa anche chi di opera non si interessa – fu definita da Stendhal “una follia organizzata e completa” è sembrata la produzione perfetta nella temperie di emergenza sanitaria che ha colpito il Veneto, e non solo, in queste ultime ore.

Al Filarmonico di Verona il sipario si è alzato sulla Première domenicale e pomeridiana – nella città scaligera da qualche anno costuma così – del capolavoro rossiniano bordeggiando sulle virgole e soprattutto sulle tempistiche dettate dall’ordinanza del governatore Zaia e volta a limitare, o meglio a sospendere, manifestazioni pubbliche di ogni genere, ivi comprese quelle legate alle arti.

C’è da dire che le manifestazioni per il Carnevale – con buona pace del “Papà del Gnoco” – e la partita dell’Hellas Verona erano già state cancellate precedentemente; che a Verona esista un teatro che si chiama Filarmonico e ospita la stagione lirica invernale della Fondazione Arena, insieme a concerti sinfonici e recital di canto, deve essere sfuggito, o passato di mente all’amministrazione comunale.

Per una volta meglio così, dato che quello che si è visto e sentito, al netto di qualche distinguo, è un prodotto di ottima qualità.

L’Italiana in Algeri secondo Stefano Vizioli, uomo di teatro navigato e saggio oltre che musicista, è una festa di colori che vola sulle ali di una sapida leggerezza.

Lo assecondano in questa visione le scene e i costumi di Ugo Nespolo – illuminate da Paolo Mazzon – che in un una crasi perfetta tra pop-art e futurismo, contribuiscono ad esaltare l’aspetto brillante dell’Italiana senza mai farla cadere in una comicità fine a se stessa.

Colori brillanti e quinte decorate da  scritte di sapore marinettiano e capi di lingerie  fungono da cornice ad una regia che fa della semplicità la sua cifra essenziale. I movimenti – anche quelli mimici creati da Pierluigi Vanelli – sono calibrati al millimetro e procedono con la musica, assecondandola o contrastandola, esattamente come si addice alla “follia organizzata” di cui sopra.

La compagnia di canto appare sin dall’inizio affiatata e ben disposta a divertirsi e a far divertire.
L’Isabella di Vasilisa Berzhanskaya esibisce tutte le sfumature possibili del personaggio grazie ad un’estensione che va dal soprano leggero al contralto, permettendo abbellimenti funambolici, e nobilitando il personaggio con un fraseggiare ben ponderato.

Carlo Lepore disegna un Mustafà da manuale, poggiato su un canto solido e rigoglioso, trovando ulteriore forza in una recitazione che non concede nulla al caso.

Il Lindoro di Francisco Brito si caratterizza per la luminosità degli acuti unita ad una costante ricerca di accenti e colori che si ritrova non solo nelle arie a ma anche nei recitativi.

Assai bene fa Biagio Pizzuti, Taddeo irresistibile e saggiamente lontano da qualsiasi deriva macchiettistica.

Convince anche l’Haly “minaccioso” di Dongho Kim, così come risultano perfettamente credibili Daniela Cappiello come Elvira e Irene Molinari nei panni di Zulma.

Corretto il coro preparato da Vito Lombardi.

In controtendenza invece la direzione di Francesco Ommassini – indulgente nei portamenti – slegata dal palcoscenico, che in più di un’occasione si trova in difficoltà ove non in contrasto, con la buca, e ondivaga nei tempi.

Successo cordiale per tutti e neppure un colpo di tosse durante la recita.

Alessandro Cammarano
(23 febbraio 2020)

La locandina

Direttore Francesco Ommassini
Regia Stefano Vizioli
Scene e costumi Ugo Nespolo
Movimenti mimici Pierluigi Vanelli
Luci Paolo Mazzon
Personaggi e interpreti:
Mustafà Carlo Lepore
Elvira Daniela Cappiello
Zulma Irene Molinari
Haly Dongho Kim
Lindoro Francisco Brito
Isabella Vasilisa Berzhanskaya
Taddeo Biagio Pizzuti
Orchestra e coro dell’arena di verona
Maestro del Coro Vito Lombardi

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