La video opera Three Tales a Madrid

Beryl Korot e Steve Reich riflettono su scienza e tecnologia

Three tales (Foto Sara Janini)
Three tales (Foto Sara Janini)
Recensione
classica
Matadero, Madrid
Three tales
05 Marzo 2020 - 06 Marzo 2020

Il teatro Real di Madrid ha voluto presentare, per la prima volta in Spagna, negli spazi del “Matadero”, centro polivalente della capitale, la video-opera di Beryl Korot, con musica di Steve Reich,Three tales, (2002), come corollario di una serie di eventi wagneriani che coincidono con la presenza della Tetralogia nel cartellone del teatro. Con una programmazione che quindi si apre a logiche fatte anche di libere associazioni (ci ricordano un po’ quelle della trasmissione “Sei gradi” di radio 3 rai): in Three tales infatti Reich esordisce con il leitmotiv ritmico dei Nibelunghi per articolare una struttura che si sviluppa secondo i modelli tipici del compositore americano, quelli di una complessa architettura contrappuntista, che si viene formando dalla sovrapposizione graduale di cellule motiviche e ritmiche.

I ‘tre racconti’ del documentario della Korot volevano stimolare una riflessione sulla scienza e sulla tecnologia, sulla pretesa da parte dell’uomo di dominare, ma anche di violentare, la natura. Tre momenti che rispettivamente trattano della tremenda esplosione del dirigibile Hindenburg avvenuta nel 1937, dei preparativi e dei successivi esperimenti nucleari statunitensi, nell’atollo Bikini del Pacifico, avvenuti nel dopoguerra, con lo sgombero forzoso dei suoi abitanti, e dei primi esperimenti di manipolazione genetica negli anni ’90, con la successiva clonazione della celebre pecora Dolly. 

Una narrazione, quella della video artista statunitense che, assieme alla musica di Reich, voleva caratterizzarsi come una nuova formula espressiva, ricollegandosi ad un lavoro dello stesso tipo del 1993, The Cave. Una formula espressiva in cui lo scorrere delle immagini sullo schermo, vuoi di tipo documentaristico o di reportage giornalistico, si sincronizza con suoni elettronici e la musica dal vivo: in epoca di estrema e sempre più raffinata digitalizzazione, come quella odierna, tutto ciò assume in fascino ed il colore di qualcosa di velatamente vintage. Lo è nel mirabile montaggio delle immagini ma anche per l’effetto dell’esecuzione live di una piccola orchestra, disposta sotto lo schermo cinematografico, che ci riporta al tempo delle origini cinema, prima dell’avvento del sonoro.

Se lo sviluppo del discorso compositivo di Reich si muove secondo i canoni che sono propri della logica del ‘suo’ minimalismo, nello stesso tempo il suo linguaggio sa articolarsi secondo una prospettiva eminentemente filmica, coerente con il ritmo delle immagini e i livelli di tensione o di lirismo che si succedono. 

In tal senso una funzione cardine è svolta dall’ossessività ritmica, che porta alla deflagrazione dello Zeppelin o quella dei vari conti alla rovescia, scanditi con precisione metronòmica, in un crescendo di tensioni progressive, fino allo scoppio accecante del fungo atomico di Bikini.

Queste sequenze sonore di grande tensione, con fotogrammi che si duplicano e si moltiplicano progressivamente, si alternano sapientemente ad altre, di stampo più lirico, sottolineate dagli archi, ad accompagnare scene di vita quotidiana, tra lo sfocato e il pittorico, degli abitanti dell’atollo che furono costretti ad abbandonare le loro terre.

E’ interessante il cambio di registro espressivo che Reich viene adottando nel trattare il filmato successivo, che si sviluppa mescolando spezzoni di interviste, fatte ai protagonisti dell’esperimento della clonazione della pecora Dolly, con altri di tipo documentaristico. 

Vediamo qui un’intenso lavoro di interazione con la parola, la parola delle interviste, delle dichiarazioni, trattata ritmicamente, ripetuta, rielaborata, come in un gioco di spettri sonori, a volte enfatizzando un concetto particolarmente forte - come quello che vede il corpo umano come una macchina imperfetta  - a volte rendendola asemantica, quasi svuotandola di senso, concentrandosi sul suono o sul ritmo della medesima, quasi in una sorta di rap. 

Dietro l’angolo c’è l’eco della lezione di Berio ma unitamente si percepisce il tentativo, forte, di entrare nei contenuti, tra evocazioni bibliche ed anche con una forte dose di ironia, in una critica al crescente dominio della tecnologia nella vita dell’uomo.

Impeccabile l’esecuzione dell’ensemble, di elementi dell’orchestra del Teatro Real, disposto sotto lo schermo, formato da percussioni, piano e quintetto vocale (ensemble Synergy vocals): con  il direttore musicale Nacho de Paz che, con mirabile sincronismo, ha saputo perfettamente coordinare il ritmo della musica dal vivo, con quello delle immagini e, cosa più complessa, con quello della parola registrata.

 

 

 

 

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