Torre del Lago, 66° Festival Puccini: “Madama Butterfly”

Torre del Lago (LU), Gran Teatro “Giacomo Puccini”– 66° Festival Puccini
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa.
Musica di Giacomo Puccini
Madama Butterfly (Cio-Cio-San) SHOKO OKADA
Suzuki ANNUNZIATA VESTRI
Kate Pinkerton ANNA RUSSO
B. F. Pinketon RAFFAELE ABETE
Sharpless ALESSANDRO LUONGO
Goro FRANCESCO NAPOLEONI
Lo zio Bonzo DAVIDE MURA
Il Principe Yamadori ROBERTO ACCURSO
Il Commissario Imperiale LUCA BRUNO
L’Ufficiale del Registro ALBERTO PETRICCA
La Madre MERY ROSADA
La Zia GRETA LIRUSSI
Yakuside FILIPPO LUNETTA
La Cugina DALILA VIRGA
Orchestra e Coro del Festival Puccini
Direttore Enrico Calesso
Maestro del Coro Roberto Ardigò
Regia, Scene e Costumi Manu Lalli
Light Design Valerio Alfieri
Nuovo Allestimento Fondazione Festival Pucciniano
Torre del Lago, 08 agosto 2020
Da anni non si vedeva a Torre del Lago una “Butterfly” tanto elegante e riuscita scenicamente: il primo plauso di questa produzione va a Manu Lalli, per la sua scena invasa dalle piante ma che ci lascia (finalmente!) vedere il lago sullo sfondo, per i costumi di soli tre colori dalla simbologia forte quanto evidente (il bianco, il rosso, il nero), per una regia ricca di senso, che richiede giustamente impegno al cast, si avvale di sei abili figuranti e caratterizza in maniera intelligente il coro. L’intervento della regista, in questo caso, ha saputo pienamente integrare e arricchire l’immaginario dell’opera, e si possono perdonare anche quei due o tre momenti nei quali il libretto non viene rispettato – ad esempio, i riferimenti alla casa, che mai compare in scena. L’elemento giapponese c’è, senza scadere nel didascalico (un tori nel primo atto, alcune composizioni che richiamano l’ikebana e i costumi tradizionali) e consente all’idea registica di prendere forma: una Cio-cio-san farfalla, che vive nel giardino ed è contraddistinta da grazia e fragilità (ci riferiamo soprattutto a giochi di tessuti del primo atto, certamente sottolineati anche da una propizia brezza che spazzava la scena e dava costante movimento alle piante, oltre che ai veli della protagonista), teme il contatto fisico col marito (e qui anche la normativa anti-Covid ringrazia), si nasconde a lui quando compare in scena. Una donnina che danza in una nube di petali rossi, quasi scomparendovi in mezzo, e che trova nel soprano giapponese Shoko Okada l’interprete scenicamente ideale. L’artista si spende tutta nell’incarnare questa sposa-bambina. Vocalmente le cose vanno meno bene, linea di canto opaca e fraseggio distratto, poco vario (“Un bel dì” è reso con poche sfumature). Solo a partire dalla scena con Sharpless, nell’atto II, scatta qualcosa nella Okada che si sblocca, appare  più sonora e duttile – sfoderando pregevoli mezzevoci, ma anche fraseggio vario e scandito. Si arriva così a un  “duetto dei fiori” dolcemente languido e cristallino e a un “Tu, tu, piccolo Iddio” cantato con grande trasporto. Auguriamoci che la cantante trovi un maggior equilibrio nella resa vocale che, unita alle ottime capacità sceniche, ne farebbero una grandissima Cio-Cio-San. Accanto a lei Raffaele Abete, è un Pinkerton che non riesce ad andare oltre una generica routine, sia scenicamente che vocalmente: sul palco appare spaesato, e al bel timbro vocale non corrisponde un canto condotto in modo adeguato, né il tentativo di creare un fraseggio personale che si accordi alle situazioni teatrali. Di tutt’altro calibro lo Sharpless di Alessandro Luongo – vocalmente e teatralmente partecipe, con un fraseggio sempre attento e ricco di intenzioni. Annunziata Vestri (Suzuki), si riconferma mezzosoprano degno di tal nome: vocalità piena e sicura unita a una personalità interpretativa coinvolgente. Il resto della compagnia  di canto si assesta su una buona professionalità, dal  giusto colore “asprigno” di Francesco Napoleoni (Goro) e poi via, via tutti gli altri. Più in ombra ci sono parsi invece, Davide Mura (lo zio Bonzo) e Roberto Accurso (il principe Yamadori). Come sempre, bella e coinvolgente la prova del Coro diretto da Roberto Ardigò, qui impegnato anche in caratterizzazioni sceniche interessanti, sia nel I che nel III atto – quando, dopo il celebre “a bocca chiusa”, le artiste del coro si bendano gli occhi con un velo nero e come cieche vagano nel giardino di Butterfly, portando via le promesse d’amore appese ai rami delle piante. La direzione di Enrico Calesso, infine, contribuisce certamente al successo della serata: energicamente e in sintesi quasi perfetta con la scena, i molti e complessi colori della partitura sono ben comunicati dalla bacchetta del Maestro, che ci regala un’orchestra certo coesa ma anche dai suoni ben scanditi. Il pubblico riconosce a tutti il proprio merito con applausi scroscianti, e noi non possiamo che augurarci che questa “Madama Butterfly” possa entrare nel canone del Festival e venire ciclicamente riproposta anche in futuro.