Venezia: Mozart, Salieri e il laboratorio di Giuseppe II

Tedesca o italiana, seria o buffa, nella Vienna di Giuseppe II l’opera era una questione di Stato. Controllata e gestita, in quel penultimo decennio del XVIII secolo (l’unico in cui il primogenito di Maria Teresa d’Austria sia rimasto libero dall’ingombrante tutela materna) con la cura e la talvolta perfida sottigliezza che l’imperatore riteneva di volta in volta necessarie. E ne avrebbe fatto le spese Mozart, inconsapevole “instrumentum regni” cinicamente sacrificato – secondo alcuni biografi – alla necessità di tagliare le unghie all’aristocrazia. Il che non toglie nulla, evidentemente, alla sublime grandezza dei lavori che gli costarono il favore del cosiddetto “mercato”, ovvero in misure diverse le tre opere su libretto di Lorenzo Da Ponte.

Uno dei segnali che Mozart era entrato nella “scuderia” di Giuseppe II, dopo il precoce incarico per Il ratto dal Serraglio, è dato dalla convocazione del salisburghese, a meno di tre mesi dalla prima delle Nozze di Figaro (1° maggio 1786), per la realizzazione della singolare iniziativa con cui l’imperatore si prese il gusto da un lato di mettere a confronto l’opera italiana e quella tedesca, dall’altro di “scoprire gli altarini” del mondo operistico fissando come tema della “serata mondana” del 7 febbraio, destinata a un folto parterre nobiliare, il sottogenere nel quale il teatro per musica parla di se stesso, fiorente fin dall’inizio del secolo. E dunque, ai due lati dell’Orangerie di Schönbrunn vennero allestiti due palcoscenici che ospitarono la rappresentazione prima del mozartiano Der Schauspieldirektor e quindi dell’atto unico Prima la musica e poi le parole del regio-imperial Kapellmeister Antonio Salieri, in quel momento il vero “divo” della musica a Vienna.

Vista nella nostra prospettiva, l’iniziativa appare come un vero e proprio “laboratorio” utile a Giuseppe II per mettere a punto le proprie politiche operistiche e chissà, anche per studiare le reazioni del “pubblico”, ovvero dell’aristocrazia. Di fatto, c’è un’evidente sproporzione fra i due lavori, voluta o comunque benevolmente accolta. Il tema è del tutto analogo: bisticci fra primedonne, dispute fra musicisti e librettisti, dominio dell’avidità, meschinità del “dietro le scene”. Ma mentre l’operina di Salieri è strutturata, per così dire, su grande scala, con articolazione in arie solistiche, duetti o terzetti e concertati, quella di Mozart è un anomalo “Singspiel” (autore lo stesso del Ratto, Johann Gottlieb Stephanie) nel quale tutta la prima parte (una buona mezz’ora) è recitata, quasi a far intendere che l’impresario teatrale di cui al titolo si occupi essenzialmente di prosa, e solo gli ultimi venti minuti vedono irrompere la musica. Così, i contrasti fra gli interpreti assumono un’aria di maniera, superficiale, quasi posticcia. E per converso emerge anche più limpidamente la limpida vena teatrale-musicale di un autore che nelle due Arie per soprano, nel terzetto in cui alle primedonne si unisce un tenore e nel finale che diventa quartetto con l’aggiunta di una piccola parte per basso, sta scalando fulmineamente i gradini della grande maturità che rifulgerà nelle Nozze di Figaro. Di più, il lavoro di Salieri su libretto dello “scandaloso” librettista Giovanni Battista Casti, abate specializzato in storie licenziose, contiene – più o meno allusivamente – riferimenti a personaggi e citazioni di eventi della vita operistica viennese di quei mesi, cosa che non si riscontra con la stessa chiara evidenza in Mozart. Se non forse nella parte recitata.

Questo singolare dittico è finalmente approdato a Venezia, sul palcoscenico del Malibran, a conclusione della molto complicata stagione 2019-2020. Ed è stata una prima volta che da un lato ha sanato la sorprendente assenza di qualsiasi titolo operistico di Salieri dai teatri della città lagunare (ma è chiaro che ben altri lavori del compositore di Legnago meriterebbero un allestimento) e dall’altro ha avvicinato la Fenice al completamento storico dell’opera omnia per la scena del salisburghese: ora dalle locandine e dagli annali, come annota Franco Rossi nel programma di sala, manca soltanto La finta giardiniera.

Lo spettacolo è stato affidato a Italo Nunziata, che ha scelto due chiavi di lettura diverse ma complementari per questa doppia incursione nel mondo dell’opera sull’opera. Con l’efficace collaborazione della Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia (un lavoro di squadra con in prima fila Francesca Donati, scene Salieri, Giulia Tonussi, costumi Salieri, Federico Pian, scene Mozart, e Dea Bejleri costumi Mozart), l’atto unico di Salieri è stato reso con un taglio per qualche aspetto “realistico”. L’ambientazione era collocata negli anni Quaranta in una sorta di ufficio-retropalco, ma i prosaici contrasti fra i personaggi e i loro caricaturali atteggiamenti non hanno impedito voli di fantasia e soprattutto di ironia. In piena corrispondenza con la sua particolare forma, l’operina di Mozart è stata invece l’occasione di un breve viaggio nel teatro sul teatro all’insegna dell’astrazione scenica e della sapida interscambiabilità fra personaggi e ruoli, dentro a una cornice anni Cinquanta. E dunque, si sono visti gli interpreti entrare ed uscire, alla lettera, dagli abiti “normali” ai costumi di scena per una rappresentazione che non avviene peraltro mai, è solo immaginata, talvolta “proiettata” nel gioco suggestivo dei pochi figuranti permessi dalle norme anti-Coronavirus.

Nell’un caso e nell’altro, il risultato è stato uno spettacolo brioso, accattivante: in grado di sopperire con le sue sorridenti invenzioni alla maniera musicale non sempre entusiasmante di Salieri e di sottolineare invece, nell’essenzialità delle immagini, la poesia di Mozart e la sua rivelatoria vena drammatica.

Le due partiture sono state affidate a Federico Maria Sardelli, sempre stilisticamente consapevole, propenso a tempi di nitida incisività e a colori ben stagliati. Una direzione elegante in Salieri e illuminante in Mozart, la sua, grazie anche all’ottima condizione dell’orchestra della Fenice.

Le due primedonne, in Salieri come in Mozart, erano Francesca Boncompagni e Rocío Pérez: giovani interpreti di sorvegliata musicalità, entrambe più a loro agio nel singspiel, per tessitura e per espressività, ma comunque in grado di offrire una linea di canto ricca di sfumature. Con loro Simon Chojnacki (il compositore in Salieri e un attore in Mozart) e Francesco Ivan Vultaggio (il librettista in Salieri) hanno dato prova di presenza scenica disinvolta e vocalità di buona comunicativa, entrambi misurati e gradevoli nel timbro e nell’emissione. Il cast vocale era completato (per Mozart) dal tenore Valentino Buzza. Tutti da citare, per ironia e sapida vena caricaturale, gli attori nel Singspiel, recitato in italiano. Erano Karl-Heinz Macek, Marco Ferraro, Francesco Bortolozzo, Michela Mocchiutti, Roberta Barbieri e Valeria de Santis.

Cesare Galla

La locandina

Direttore Federico Maria Sardelli
Regia Italo Nunziata
Regista assistente Danilo Rubeca
Scene e Costumi Scuola di Scenogra a dell’Accademia di Belle Arti di Venezia
Light designer Andrea Benetello
Personaggi e interpreti:
Prima la musica e poi le parole
Maestro di cappella  Szymon Chojnacki
Donna Eleonora Francesca Boncompagni
Tonina Rocío Pérez
Poeta  Francesco Vultaggio
Der Schauspieldirektor
Frank Karl-Heinz Macek
Eiler Marco Ferraro
Buff Szymon Chojnacki
Herz Francesco Bortolozzo
Signora Pfeil Michela Mocchiutti
Signora Krone Roberta Barbiero
Signora Vogelsang Valeria de Santis
Signor Vogelsang Valentino Buzza
Signorina Silberklang Francesca Boncompagni
Signora Herz Rocio Perez
Orchestra del Teatro La Fenice
Maestro al clavicembalo  Roberta Paroletti

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