Verona: Zanetto opera di confine

Una rarità di Mascagni, l’atto unico Zanetto, era al centro dell’ultimo appuntamento operistico della stagione di Fondazione Arena al teatro Filarmonico, prima del festival estivo in anfiteatro. Detta così, sembra una constatazione da tempi normali, ma poiché questi mesi normali non sono, è giusto sottolineare che il teatro veronese ha proposto un calendario coraggiosamente deciso a far sembrare ordinaria una situazione che non poteva esserlo. E alla quale altre Fondazioni liriche hanno reagito semplicemente evitando di andare in scena, o facendolo solo sporadicamente.

Annunciata da tempo, come si conviene alla programmazione anche in tempi di pandemia, l’occasione era interessante dal punto di vista musicale e lo è diventata ancor più perché è coincisa con la riapertura del Filarmonico al pubblico dopo i lunghi mesi della chiusura totale e dello streaming come unico mezzo di comunicazione con gli appassionati. Di fatto, restrizioni e accorgimenti organizzativi e tecnici di vario tipo la fanno ancora da padroni. Anche per questo spettacolo, la buca dell’orchestra è stata portata a livello di platea, con l’inevitabile sacrificio di qualche fila di poltrone ma con un risultato acustico niente affatto disprezzabile; controlli ormai di routine all’ingresso, uscite “scaglionate”, distanziamento in sala degli spettatori, non solo sistemati a posti intercalati, ma anche a file alterne. Inevitabilmente assai ridotta la capienza e ancor più la presenza, considerando anche che la proposta non era di quelle dalla facile popolarità.

Zanetto è una curiosa operina scomparsa dal repertorio pochi anni dopo la sua prima andata in scena, avvenuta al Liceo Musicale di Pesaro quando il compositore livornese ne era il direttore, nel 1896. Per qualche tempo, aveva avuto in sorte addirittura di costituire “dittico” con Cavalleria rusticana, ma ben presto le ragioni del successo e del botteghino sono prevalse e hanno consigliato altri accoppiamenti. In realtà, l’accostamento non era poi così assurdo, nella logica dei contrasti su di uno stesso tema per costruire uno spettacolo. Da una parte, nella Sicilia verghiana, l’amore rovente che genera la violenza e la morte; dall’altra, nella Firenze rinascimentale, l’amore vagheggiato e la rinuncia come atto morale e nuova speranza esistenziale.

Nella costante volontà di sottrarsi ai cliché del Verismo, dopo l’exploit di Cavalleria, Mascagni approda qui a un soggetto portato al successo sui palcoscenici della prosa da Sarah Bernhardt, la commedia Il viandante di François Coppée, autore ascritto al novero dei “Parnassiani” che in Francia nella seconda metà dell’Ottocento avevano cercato di sottrarsi all’eredità del Romanticismo in nome del nitore espressivo e dell’eleganza. Non era un’operazione di immediata attualità culturale, bisogna pur dire: negli ultimi anni del secolo, quando Mascagni metteva mano alla partitura a partire dal libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, ben altre correnti culturali stavano aprendo la strada alla modernità, il Simbolismo su tutte. Ma è un’operazione musicalmente onesta e niente affatto pretestuosa, che dimostra come l’autore di punta della Giovane Scuola avesse una visione ampia e anche avvertita. Dal confronto-scontro fra la tradizione melodrammatica italiana e il wagnerismo, può uscire anche un lavoro come questo, nel quale il canto di conversazione di due soli personaggi – voci di soprano e di contralto – si piega a una notevole duttilità nei vari aspetti del declamato, con la melodia che talvolta indugia su se stessa in una introspezione espressiva non banale, mentre la scrittura strumentale va alla ricerca di una trasparenza in altre opere mascagnane assai meno evidente.

Zanetto è insomma una “prova d’autore” che dimostra la volontà e la capacità del livornese di mantenere larghe le sue vedute drammaturgiche e musicali. Dopodiché, la struttura stessa dell’operina e la sua caratteristica di lungo duetto che poi corrisponde per molti aspetti all’affiancamento di due soliloqui, ne segnavano fin dall’inizio il destino: qui non accade praticamente nulla, ci sono due anime che restano misteriose una all’altra svelando a chi assiste le sfumature di una psicologia sentimentale miracolosamente immune da derive decadenti (altrove ormai dominanti) e semmai propensa a un’eleganza ornamentale, sofisticata nella sua semplicità.

In questo senso  Zanetto è stato letto al Filarmonico dal regista Alessio Pizzech: come un’opera “di confine” al passaggio dal secolo romantico al Novecento, nella quale le connotazioni decadenti implicite nella vita dissoluta di uno dei protagonisti, la cortigiana Silvia, sono depurate e semplificate alla luce di un intrigante decorativismo, evidente nelle scene pur essenziali di Michele Olcese (un’alcova, un giardino, una notte di luna piena in pochi ma nitidi segni visivi), nei costumi di evocazione preraffaellita di Silva Bonetti, nelle luci notturne di Paolo Mazzon. Uno spettacolo in stile liberty, per molti aspetti, che ha il pregio di sottolineare le caratteristiche della partitura di Mascagni con naturale immediatezza.

Così ha fatto anche il direttore Valerio Galli, che ha proposto di Zanetto una lettura morbida, dal fraseggio elegante e dall’ampia gamma chiaroscurale nelle dinamiche. Assai positiva la prova dell’orchestra areniana, con gli archi in primo piano e i legni capaci del giusto equilibrio nel sobrio impasto timbrico disegnato da Mascagni. Donata D’Annunzio Lombardi ha dato vita al ruolo sofferto di Silvia con la giusta interiorizzazione e solo pochi squilibri nella parte alta della tessitura, ma linea di canto sempre stilisticamente appropriata. Bene anche il contralto Asude Karayavuz, che ha risolto il ruolo del titolo con apprezzabile colore e giusta sottolineatura dell’eleganza leggera di cui il personaggio è l’incarnazione. All’inizio, invece della Sinfonia Mascagni propone un coro “madrigalistico” fuori scena che è stato proposto dal complesso areniano istruito da Vito Lombardi non senza qualche preoccupazione rispetto alle contrastanti esigenze della chiarezza e della necessità di “arrivare” in platea.

Lo spettacolo – accolto da vivissimo successo e numerose chiamate per i suoi protagonisti – si era aperto con una sorta di composita introduzione orchestrale intitolata “Antologia verista”. Un mosaico di pagine a destinazione operistica dello stesso Mascagni (la Sinfonia da Le maschere, l’Intermezzo Atto III da Guglielmo Ratcliff e quello da Cavalleria Rusticana), di Francesco Cilea (Intermezzo Atto II da Adriana Lecouvreur) e di Alfredo Catalani. Il morbido Preludio Atto III da La Wally di quest’ultimo, per soli archi con arpa, è sembrata la pagina più in sintonia con le atmosfere notturne e trepidanti di Zanetto.

Cesare Galla
(9 maggio 2021)

La locandina

Direttore  Valerio Galli
Regia Alessio Pizzech
Assistente alla regia Lorenzo Lenzi
Scene Michele Olcese
Costumi Silvia Bonetti
Luci Paolo Mazzon
Personaggi e interpreti:
Zanetto Asude Karayavuz
Silvia  Donata D’Annunzio Lombardi
Orchestra e coro dell’Arena di Verona
Maestro del coro Vito Lombardi

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