Piacenza, Estate Farnese 2021: “Tosca”

Piacenza, Palazzo Farnese, Estate Farnese 2021
TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal dramma omonimo di Victorien Sardou.
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca CHIARA ISOTTON
Mario Cavaradossi FRANCESCO MELI
Il barone Scarpia LUCA SALSI
Cesare Angelotti MATTIA DENTI
Il sagrestano VALENTINO SALVINI
Spoletta ANDREA GALLI
Sciarrone FRANCESCO CASCIONE
Un carceriere SIMONE TANSINI
Un pastorello ELETTRA SECONDI
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Voci Bianche del Coro Farnesiano di Piacenza
Direttore Sesto Quatrini
Maestro del Coro Corrado Casati
Maestro delle Voci Bianche Mario Pigazzini
Messa in scena Giorgia Guerra
Visual Art Imaginarium Creative Studio
Costumi Artemio Cabassi
Luci Michele Cremona
Nuova Produzione Teatro Municipale di Piacenza
Piacenza, 01 agosto 2021
Ebbene sì: esiste un Palazzo Farnese anche a Piacenza – la famiglia era proprio di queste zone. E a dirla tutta somiglia molto più a una prigione del suo omonimo romano, forse perché venne eretto sulla precedente cittadella viscontea. Sembra quindi più che naturale decidere di ambientare nel suo suggestivo cortile una “Tosca”, che proprio a Palazzo Farnese vive il culmine del suo dramma. Inoltre, a interpretarla, sono chiamati due veri cavalli di razza dell’opera: Francesco Meli e Luca Salsi, cui, nei panni della protagonista, si accosta Chiara Isotton, soprano bellunese la cui carriera sta rapidamente decollando (impegni in mezzo mondo, compresa la prima della Scala il prossimo 07 dicembre). La serata, dunque, si preannuncia per lo meno interessante, e senza dubbio mantiene le promesse, in particolare grazie a questo strabiliante cast, alla direzione e alle prove dei cori. Il maestro Sesto Quatrini ha una chiara visione di “Tosca”, ed è quella della misura, soprattutto quando si tratta delle parti canore; i tempi sono tutti regolari, ma le dinamiche a volte stupiscono, perché per quanto verista, l’attenzione del direttore è rivolta all’esplorazione dell’emozione, alla resa atmosferica. E, ad esempio, per quanto sia poco usuale, non si può non apprezzare un “Vissi d’arte” imperniato sulle mezze voci, su un ritmo per nulla allargato, in grado di comunicare il risentimento e l’angoscia della protagonista, e non semplicemente la potenza vocale dell’interprete. Questa “Tosca” suona veramente pucciniana, cioè “ultra drammatica” (per citare lo stesso Puccini), ma anche creatura di sogno, dramma di coscienza (come l’aveva inteso Illica). Contributo decisivo a questa resa musicale viene da Chiara Isotton, che ha già interpretato più volte “Tosca” affronta il ruolo con una naturalezza disarmante: il timbro lirico, dalle sfumature vellutate, la linea di canto fluida e omogenea che si accosta alla ricchezza del fraseggio, la notevole consapevolezza scenica, parlano chiaro sull’effettivo talento della Isotton, e sul perché sia stata scelta per cantare accanto a  Salsi e Meli. Luca Salsi, dal canto suo, è lo Scarpia di riferimento per la sua generazione: non c’è nulla che si possa rimproverargli, lui è il Barone, con tutta la sua sottile perfidia, ma anche nell’erotismo represso nel “Te Deum”, e nel grottesco autocompiacimento della prima parte del secondo atto. La dizione è sempre chiara, la vocalità ben timbrata, il fraseggio è quasi prosastico da quanto è dettagliato. Sullo stesso piano il Mario Cavaradossi di Francesco Meli, che ci regala una vocalità piena, un porgere nobile, acuti svettanti (“Vittoria!” del secondo atto), ma anche sapiente morbidezza nella linea di canto (“Recondita armonia” molto ben calibrata); solo sul piano scenico forse Meli è un po’ distaccato, e talvolta il fraseggio si “raffredda” e ne risente (ad esempio in “E lucevan le stelle”). Positivi anche l’Angelotti di Mattia Denti, dai centri solidi e ben proiettati, il Sagrestano di Valentino Salvini, che associa alla buona prova vocale anche il giusto appeal scenico, e lo Sciarrone di Francesco Cascione. Meno a fuoco lo Spoletta di Adrea Galli, corretti il carceriere (Simone Tansini) e il pastorello (Elettra Secondi). Il punto debole della produzione giace, tuttavia, nell’assetto teatrale: la giovane Giorgia Guerra fa scelte molto azzardate, e la questione Covid non è una giustificazione a tutto quel che vediamo. Al posto di sfruttare appieno la spettacolare struttura di Palazzo Farnese, oltre che i due (non enormi) palchi montati per l’evento, l’azione si svolge per il 90% proprio su uno di questi palchi – peraltro il più piccolo – interamente nero e con pochissima attrezzeria: la sensazione è quella di stare per assistere a un saggio di scuola teatrale, ci si chiede come personaggi tanto grandi riescano a stare in spazi tanto piccoli. Il secondo palco, quello più ampio, è occupato dai cori, seduti come in un concerto, distanziati, tutti vestiti di nero a proprio gusto: lo straniamento raggiunge l’apice quando iniziano a cantare, come se fossero altrove – sebbene la prova canora sia ottima, coesa e solenne. Assistiamo de facto a due esibizioni: quella dei solisti e quella dei coristi, grandi e piccini. Quando poi, nel secondo atto, si decide di far cantare il coro in scena, si sfiora il caos, giacché i poveri Scarpia e Cavaradossi vengono travolti dalla cantata di Tosca, che invece dovrebbe essere un’eco lontana. A malapena le due voci si sentono, né possiam concentrarci su cosa canti il coro, non essendoci sovratitoli. Si creano dunque quattro effettivi minuti di confusione, e ciò non è francamente ammissibile in una produzione di tal pregio: si poteva e doveva cambiare la posizione del coro nel secondo atto. Secondo atto che, comunque, è quello meglio congeniato registicamente parlando: Salsi e Isotton ci fanno palpare il clima torbido, e la recitazione molto fisica dei due è certamente apprezzabile. Peccato che proprio in finale d’atto, la regia scelga di sostituire il posizionamento dei candelieri e della Croce sul corpo di Scarpia (giustificati da quell’ “or gli perdono” che segue la morte del Barone) con una specie di brindisi compiaciuto di Tosca: la scelta non è solo erronea da libretto, ma anche da partitura. Tuttavia la decisione più radicale risiede nel non far morire Tosca alla fine dell’opera, ma nel farla fuggire: scelta, ad avviso di chi scrive, svilente non solo di Puccini, Illica e Giacosa, ma soprattutto del personaggio e della sua coscienza. A questa regia discutibile si è associato anche un sistema di immagini a coprire la facciata di Palazzo Farnese (a cura dell’Imaginarium Creative Studio), che tuttavia sono semplici proiezioni ed animazioni, non un accurato videomapping. Le figure d’altro canto vorrebbero comunicare simbologie piuttosto ordinarie nei personaggi – Tosca i fiori, Scarpia i rovi, il rosso per il sangue, i toni dell’azzurro per l’Attavanti (che, va da sé, non è ritratta ma proiettata), i toni del rosa per Tosca – di cui francamente si poteva fare a meno: si sarebbe potuta studiare una successione di immagini più originali, e anche più interattive con la struttura, e non delle semplici proiezioni dei sentimenti dei personaggi. Per quanto questo assetto scenico sia stato limitante, la serata ha comunque goduto dell’ottimo apporto dell’apparato musicale, che ha sancito la piena riuscita dell’iniziativa – di critica e di pubblico, che è accorso numerosissimo e ha partecipato con calore. Un plauso anche all’organizzazione capillare e attenta, che ha garantito sempre distanziamento e impedito assembramenti.